Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 17 Martedì calendario

“È IL PRECARIATO CHE UCCIDE LA RICERCA”

«L a ricerca si fa per passione, non per la fama o i soldi». Così dice Fabiola Gianotti, la scienziata italiana più famosa al mondo, a capo del team che l’anno scorso ha annunciato la scoperta del bosone di Higgs, la particella che, dando massa alle altre, fa esistere ciò che conosciamo, compresi noi stessi. A Torino per il «Premio StellaRe 2013», consegnato dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, è inevitabile ricordarle la polemica del giorno, lanciata dalla neo-senatrice a vita, Elena Cattaneo, stupita dalla differenza tra i suoi due stipendi: 3300 euro al mese per dirigere il maggiore laboratorio d’Italia di cellule staminali e 12 mila per lo scranno. Risposta: «E’ un problema ancora più generale».

Ci spieghi.

«Anche gli insegnanti sono pagati poco, dalle elementari all’università. Gli stipendi non sono paragonabili a quelli della Svizzera, dove lavoro. Non sono adeguati al loro ruolo».

Cosa si deve fare per guarire quella malata cronica che è la ricerca italiana?

«Fare ricerca nel proprio Paese è quanto di più bello si possa immaginare. Però devono sussistere le condizioni: stipendi decorosi, appunto, e un sistema meritocratico. E si deve risolvere la piaga del momento, il precariato. Non si può pensare che un ricercatore rimanga fino a 40 anni nell’incertezza. A quel punto la scelta dell’estero diventa obbligata. E’ il precariato a uccidere la ricerca».

E così continua la fuga dei cervelli.

«Il flusso dei cervelli è positivo se è bilanciato: i nostri giovani vanno all’estero e altrettanti dovrebbero venire da noi. Il problema è quando il flusso ha una sola direzione e diventa “fuga”. E la ricerca si impoverisce. Penso al patrimonio della fisica, che si basa sui “Ragazzi di Via Panisperna”, Fermi, Rasetti, Pontecorvo, Segrè e Amaldi: è una tradizione che si è perpetuata anche grazie all’Infn, l’Istituto di fisica nucleare, e alle università. Ma, quando i giovani se ne vanno, basta saltare una generazione per bloccare tutto. Accade come con le botteghe del Rinascimento: il sapere deve tramandarsi di padre in figlio».

Non crede che gli scienziati debbano farsi sentire di più?

«Ci sono segnali forti che vengono dagli scienziati italiani. Dall’Infn, che si impegna a spiegare ai politici ciò che fa facciamo e l’impatto sulla società, e dall’estero, dato il prestigio dei nostri scienziati. Ma ci deve essere la volontà politica di investire nella ricerca».

Come si convincono i politici?

«In un momento di crisi la tentazione è tagliare gli aspetti che non hanno un’influenza immediato sulla vita quotidiana, ma è una reazione a corto raggio. Senza ricerca fondamentale non ci sono idee, senza idee non ci sono applicazioni e senza applicazioni non c’è progresso. Alla lunga si paga. Un Paese costretto a comprare conoscenza all’estero è senza futuro».

Va però peggio per le donne: perché quello della fisica è un mondo ancora maschilista?

«C’è un aspetto storico: 30-40 anni fa non erano molte le donne che studiavano le “scienze dure”. Oggi al Cern sono il 20%, ma la percentuale cresce, anche se una donna fa ancora un po’ più fatica dei maschi».

Ha subito discriminazioni?

«Non sento di averne subite. Lo dimostra il fatto che sono stata eletta da 3 mila fisici per coordinare il test “Atlas” al Cern di Ginevra».

Lei è celebre. Copertina di «Time», citazione di «Forbes» e tanti premi: come ci si sente a essere la scienziata italiana numero uno?

«Non sono sicura di essere la più famosa! L’Italia produce tanti scienziati di alto livello».

Com’è cambiata la sua vita?

«Quello che ha cambiato la mia vita - prima di tutto scientifica è il bosone di Higgs: trovare una particella così importante è il coronamento di anni di lavoro collettivo, di migliaia di scienziati, tra cui 600 italiani. Ma anche il resto della mia vita è cambiata: non mi sarei mai aspettata una risposta così positiva dai giovani per una scoperta da “addetti ai lavori”».

Come se lo spiega?

«Credo sia il fascino che il bosone esprime. E’ una particellachiave per capire la struttura e l’evoluzione dell’Universo. Molti, anche i teenager, mi scrivono e vengono alle mie conferenze».

Lei che consiglio dà?

«Inseguire i propri ideali, con determinazione ed entusiasmo».

L’ha sorpresa la nominadi Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo a senatori a vita?

«Napolitano ha fatto scelte eccellenti e forti».

Ora sogna il Nobel?

«Premiare la scoperta del bosone è difficile, perché si tratta di una collaborazione di migliaia di scienziati. E prima di loro ci sono stati i fisici che hanno sviluppato la teoria. Vedremo che ne pensano a Stoccolma!».