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 2013  settembre 17 Martedì calendario

LO STRANO OTTIMISMO DEI MERCATI

Il Grande Provocatore è uscito di scena. Lawrence Summers, Larry per gli amici e i nemici, non vuole più diventare il banchiere centrale più importante del mondo. Il presidente Barack Obama voleva che rimpiazzasse Ben Bernanke a gennaio ma vista l’opposizione da destra e sinistra, dalle donne che aveva offeso a Harvard e dai burocrati che non ne sopportano l’arroganza, il capo della Federal Reserve lo farà qualcun altro.

Summers, con il suo enorme intelletto e il suo ego di simili dimensioni, si ritirerà nelle torri d’avorio di consigli di amministrazione, editoriali e accademia.

Summers – vecchio segretario del Tesoro sotto Clinton e poi uber-consigliere nel primo quadriennio Obama – è un personaggio quasi tragico. Assomiglia, in molti sensi, a Mario Balotelli – una figura di cui non si discutono il talento e le capacità ma i cui comportamenti ed esternazioni provocano reazioni estreme negli interlocutori.

Un periodo bizzarro – in cui la scelta di un ruolo che dovrebbe essere al di sopra delle parti si è trasformata in campagna elettorale – si è concluso in maniera bizzarra: con una lettera mandata da Summers al mentore Obama e riportata dal Wall Street Journal. Dopo Summers, il diluvio? Lo dubito. Come la natura, la politica monetaria americana aborre il vuoto e gli uomini di Obama fanno sapere che non ci vorrà molto a scegliere un nuovo condottiero per la Fed. Janet Yellen – che rappresenta la continuità con l’era Bernanke – sembra ben piazzata per diventare la prima governatrice in capo della Fed. Altri nomi, tra cui l’ex-segretario del Tesoro Tim Geithner, e Roger Ferguson, che guida l’enorme fondo d’investimento Tiaa-Cref (e sarebbe il primo nero a prendere le redini della banca centrale) stanno spuntando un po’ dappertutto.

Ma anche senza sapere l’identità del nuovo capo, vale la pena riflettere sia sulle condizioni oggettive dell’economia americana, sia sugli effetti dell’esperimento-Summers sulla Casa Bianca e la banca centrale.

Non è un caso che i mercati abbiano risposto con entusiasmo alla notizia del ritiro di Summers. La grande paura di investitori e banche era che Larry Il Terribile – sempre sicuro di sé e non sempre attento ai consigli dei collaboratori – avrebbe subito spento la macchina che sta pompando denaro nell’economia Usa. Che la Fed di Summers avrebbe accelerato la fine dell’incredibile stimolo monetario creato da Bernanke e i suoi (Yellen inclusa) per rivitalizzare una nazione che era stata messa in ginocchio dalla crisi del 2008-2009.

Ora, invece, gli investitori credono e sperano che la Yellen o gli altri papabili ci andranno con i piedi di piombo per paura di far ricadere l’economia Usa nella recessione.

Mi sembra una strana speranza. La Fed probabilmente deciderà gia domani – sotto la presidenza Bernanke – di cominciare a ridurre gli interventi miliardari nel mercato delle obbligazioni. È improbabile che la Yellen, o tantomeno un Geithner o Ferguson, possano introdurre nuovi tempismi in un calendario deciso dal loro predecessore.

Non per la prima o l’ultima volta i mercati sembrano essere più ottimisti della realtà. Chi invece non deve, o può, essere ottimista è il presidente Obama. Il fallimento dell’esperimento-Summers è una sconfitta pesante per un’amministrazione che non riesce a farsi rispettare dal Congresso.

Che un presidente in carica da ormai cinque anni non sia riuscito a convincere molti membri del suo partito ad accettare la sua scelta come capo della Fed è veramente incredibile. Il fatto che gli stessi problemi si siano replicati nel caso dell’attacco alla Siria, dimostra che, purtroppo, Obama è un’anatra zoppa. E che né lui né i suoi collaboratori hanno imparato l’arte sottile ma indispensabile di trattare con il Parlamento.

Politicizzare la scelta del capo della Fed era una tattica rischiosa, vista l’importanza dell’istituzione ed il suo ruolo di arbitro indipendente della politica monetaria. Ma politicizzare il dibattito senza ottenere l’obbiettivo voluto è molto molto peggio.

Il primo compito di chi rimpiazzerà Bernanke, sarà quello di rivalutare non il dollaro ma l’importanza e l’imparzialità della Fed.