Paolo Mastrolilli, La Stampa 16/9/2013, 16 settembre 2013
“IO, BIMBA FELICE A AUSCHWITZ MIO PAPÀ ERA IL COMANDANTE”
Brigitte ha ottant’anni e dorme ancora sotto una foto del padre e della madre scattata nel giorno del matrimonio, che sta appesa sopra il suo letto. Sorridono felici, come una coppia qualsiasi, e a prima vista è bello sentire che la loro figliola è rimasta così devota. I nipoti di Brigitte, però, non hanno mai saputo chi è quell’uomo. Sanno che è il bisnonno, ma non conoscono il suo vero nome, perché lei finora si è vergognata di informarli che discendono dal comandante del campo di Auschwitz.
Proprio così. Inge-Brigitt Höss, nata in una fattoria sul Mar Baltico il 18 agosto del 1933, abita dal 1972 in Virginia, a pochi passi da Washington. Nessuno però sapeva che era la figlia di Rudolf, responsabile della morte di oltre un milione di ebrei, fino a quando l’ha rintracciata lo scrittore Thomas Harding, che ha raccontato la sua storia sul «Washington Post». Nel 2006, quando era andato al funerale dello zio Hanns Alexander, Harding aveva scoperto dall’elogio funebre che dopo la guerra lui era stato un cacciatore di nazisti. Si era messo a studiare ossessivamente, e aveva scoperto che lo zio aveva catturato proprio Rudolf Höss. Quindi ha saputo che la figlia del comandante di Auschwitz vive in America ed è andato a trovarla a casa, per scrivere un libro in uscita che si intitola «Hanns and Rudolf».
Brigitte era cresciuta passando da un campo di concentramento all’altro: Dachau da uno a 5 anni, Sachsenhausen da 5 a 7, e Auschwitz da 7 a 11. Il papà Rudolf e la mamma Hedwig si erano conosciuti in una fattoria, dove andavano i giovani tedeschi infatuati dal mito della purezza della razza. Avevano avuto cinque bambini, vivendo un’esistenza di lusso anche nei campi di sterminio. Hedwig definiva la loro villetta di Auschwitz come il «paradiso», anche se guardando bene si intravedevano i forni. I prigionieri lavoravano in giardino, al punto che una volta, per giocare, Brigitte e i fratelli si vestirono a strisce e appuntarono sul petto stelle gialle, rincorrendosi fino a quando il padre non li fermò.
Dopo la guerra scapparono verso Nord, e si divisero: la madre e i bambini in una fattoria di St. Michaelisdonn, il padre vicino al confine con la Danimarca, in attesa del momento buono per fuggire in Sudamerica. Hanns Alexander, però, li scovò: «Ricordo ancora il giorno in cui bussò alla nostra porta, mi torna l’emicrania». Hedwig, temendo violenze contro i figli, rivelò il nascondiglio. Quando Hanns raggiunse Rudolf, lui negò la propria identità. Allora Hanns gli chiese l’anello di matrimonio, ma Rudolf disse che era bloccato al dito. Hanns minacciò di tagliarglielo, il dito, e quindi l’ex comandante di Auschwitz cedette: all’interno c’erano incisi i nomi di Rudolf ed Hedwig.
Nel 1950 Brigitte scappò in Spagna, dove lavorò come modella per Balenciaga. Conobbe un ingegnere americano e si sposarono. Gli rivelò la verità, ma lui rispose: «Eri bambina, non hai colpe. Mettiamo il passato alle spalle». E così fecero. Liberia, Grecia, Iran e Vietnam, per seguire il lavoro del marito, che nel 1972 si trasferì in Virginia. Lei trovò posto in una boutique, ma una volta che aveva bevuto raccontò la sua storia alla manager. La manager la rivelò ai proprietari, che però decisero di tenerla: erano due ebrei tedeschi, scappati negli Usa dopo la Notte dei cristalli, ma lei non lo sapeva.
Brigitte e il marito si separarono nel 1983, e lei è rimasta a vivere nella stessa casa con il figlio, che conosce l’identità del nonno. Ai nipoti, invece, non hanno detto nulla: «Non vogliamo turbarli». Ora però a Brigitte è stato diagnosticato un cancro, e vuole chiarire il suo passato: «Penso che lo farò, è venuto il momento». Col marito avevano un tacito accordo: non parlarne mai. Non serviva perché «è dentro me, non se ne va». Brigitte non contesta l’Olocausto, ma le sue dimensioni: «Se furono uccisi così tanti ebrei, come mai ci sono così tanti sopravvissuti?». Dubita anche della confessione fatta dal padre: «Gli inglesi gliela estorsero con la tortura». Rudolf lo ricorda come «l’uomo più dolce al mondo. Doveva avere due facce: quella che conoscevo io, e poi un’altra...». Lei sopra al letto conserva ancora la foto della prima faccia, illudendosi che fosse quella vera.