Piero Negri, La Stampa 14/9/2013, 14 settembre 2013
HO SCRITTO OPEN DI AGASSI PER COLPA DI UNA SCIMMIA
Né lui né Andre Agassi sapevano che Open , il libro che hanno scritto insieme, in Italia è stato un best-seller da 300 mila copie, lanciato dal passaparola e dall’endorsement di Alessandro Baricco e Alessandro Piperno. Jr. Moehringer lo ha scoperto a Mantova la settimana scorsa, al Festivaletteratura. «Ho subito chiamato Andre - racconta - era sorpreso quanto me: “Che grande notizia - mi ha detto con l’entusiasmo che gli è tipico - devo venire subito in Italia”».
Jr. Moehringer è ancora nel nostro Paese, in vacanza. «Per qualche ragione - racconta - l’Italia entra in molti momenti decisivi della mia vita. Quando dissi sì alla proposta di Andre, per esempio, dopo avergli risposto no almeno sei volte, ero a Venezia. Poche settimane prima, il mio giornale, il Los Angeles Times , mi aveva incaricato di scrivere la storia dello scimpanzé che aveva interpretato Cita, la scimmia di Tarzan. Avevo incontrato lo scimpanzé e il suo addestratore, il quale mi aveva rivelato che la sera, guardando abbracciati la tv, i due si spulciavano a vicenda sul divano di casa. Avevo raccontato la storia facendo parlare lo scimpanzé e il mio capo ne era stato letteralmente entusiasta. Mi aveva chiesto, anzi, ordinato, di tornare in quella casa e di scrivere un pezzo più lungo e approfondito, che era probabilmente ciò che avevo meno voglia di fare al mondo. Gli amici cercavano di convincermi: hai vinto il Pulitzer, ma se te ne vai ora verrai per sempre ricordato come “quello dello scimpanzé”!. A quel tempo il “Los Angeles Times”, già in crisi, aveva cominciato a offrire buonuscite per chi accettava di andarsene: i soldi, lo scimpanzé e l’offerta di Agassi mi convinsero a prendere una decisione che mai avrei immaginato di prendere. A Venezia, in una camera con vista sul Canal Grande, chiamai Andre e gli dissi che avrei lasciato il Times : “Posso trasformare i miei no in un sì?”. E lui rispose: “Benvenuto a bordo”».
Jr. ha pubblicato tre libri. Il più recente si intitola Pieno giorno e racconta la storia del mitico rapinatore Willie Sutton, detto l’Attore, e nasce dalla rabbia per «l’avidità e la trascuratezza delle banche che hanno causato la crisi finanziaria di questi anni». Il primo, Il bar delle grandi speranze , era un memoir, «la storia di come sono diventato adulto grazie a un bar e di come quel bar e le persone che lo frequentavano mi hanno salvato la vita».
«Agassi - racconta Moehringer aveva letto quel libro e gli era piaciuto come avevo raccontato i miei personaggi, gente tutt’altro che perfetta, che però, mi ha detto, avevo affrontato “con amore e umanità”. Aveva appena chiuso con il tennis dopo essere stato un grande di quello sport, si sentiva nostalgico, soprattutto voleva mettere le cose a posto con le persone con cui aveva avuto rapporti difficili e importanti, suo padre, Brooke Shields e altri. Io avevo molti dubbi e un altro progetto: volevo scrivere la storia, bellissima, di un grande personaggio del football universitario americano, che mi aveva garantito un accesso completo alla sua vita».
Poi arrivò la partita di football più importante dell’anno, il Superbowl tra Giants e Patriots, che si disputava a Phoenix, dove Moehringer faceva il corrispondente per il Times : «Tutti i giornalisti sportivi più importanti d’America arrivarono in città - racconta - e una sera molti di loro mi convocarono a cena in un ristorante di lusso. Sembrava una scena dal Padrino , ma intorno a me c’erano gli autori dello biografie ufficiali di Wayne Gretzsky, Bill Walton, Jerome Bettis, Joe Montana e altri miti dello sport americano: “Questa sera - attaccò un amico, firma di Sports Illustrated eEspn - siamo riuniti per convincere Jr. a dire di no a Agassi”. E cominciarono con le loro “horror stories”: come l’eroe del loro libro non voleva dire nulla di sé o, se inavvertitamente l’aveva fatto, li aveva costretti a cancellare ogni dettaglio interessante dalla versione finale, o di come quegli ex sportivi erano andati in tv a raccontare che avevano scritto il libro senza aiuti o, peggio, a disconoscere il frutto di tutto quel lavoro, condannandolo all’oblio. Mai accetterò le proposte di Andre, dissi a me stesso quella sera».
Moehringer cambiò idea, e fece bene: per quanto il suo nome non appaia in copertina («Una scelta a cui due sole persone si sono opposte: Andre Agassi e mia madre»), Open gli ha dato fama e possibilità, oltre (e questo non era mai accaduto per il libro di uno sportivo) la considerazione degli altri giornalisti e scrittori. Da solo, Open ha dato lustro e status al genere negletto dell’autobiografia di una star, e all’ancora più negletto ruolo di ghost-writer.
Quando glielo si dice, lui finge di stupirsene, poi prova a spiegarsi perché. Il segreto, forse, è dire tanti no: «Nel mio caso - dice - ha funzionato, alla fine ho capito che lui ci teneva veramente. Un giorno mi disse: “Faremo qualcosa che non si è mai visto, un libro di cui io sarò orgoglioso e tu pure”. E tenne fede alla promessa».
Poi, dentro alla storia di una vita, ci deve essere una verità alla quale tutti, e in particolare chi la racconta, si identifichi: «Nel caso di Open - dice - è stato il demone del perfezionismo, radice di molti mali. Per me il senso più bello del libro è che non è sano cercare di essere il più grande tennista al mondo, basta vincere un punto alla volta». La storia deve essere universale: «In Open tutti trovano il modo di arrivare al centro del libro: quando vinci un match - dice Andre - non provi vera gioia, al massimo sollievo. E vale anche se pubblichi un libro, o scrivi un bell’articolo, o ottieni una promozione in ufficio».
E che cosa deve avere una vita per interessare Moehringer? «Nel caso del Bar delle grandi speranze è facile, la vita era la mia! Però, attenzione, scrivere non è catartico, la catarsi deve avvenire prima. Più che altro, quel libro mi ha permesso di ringraziare persone per le quali provo gratitudine. Nel caso di Pieno giorno , l’attualità del discorso sulle banche e le incredibili contraddizioni delle informazioni su Willie Sutton: lui stesso ha scritto due libri in cui dava due versioni diverse degli stessi avvenimenti. Una pacchia, per uno scrittore».
Uno scrittore che non ha smesso di sentirsi reporter: «La redazione, i colleghi, l’adrenalina... Del quotidiano mi manca tutto. Non riesco a immaginarmi senza giornalismo: se sei curioso del mondo, è la vita più bella che ci sia. La sera, quando avevamo messo a letto il giornale e la tensione calava, ho vissuto i momenti più divertenti della mia vita, con le persone che più mi hanno fatto ridere. Ora sono famoso e decisamente più solo. Sinceramente, da molti punti di vista stavo meglio prima».