Paola Jadeluca, Affari&Finanza 16/9/2013, 16 settembre 2013
MARINI, MISTER ROLEX “È GIUNTA L’ORA DI FAR CRESCERE IL SECONDO MARCHIO”
«Continueremo a crescere solo per crescita organica. E il prossimo anno spingeremo il nostro secondo marchio, Tudor ». Una sfida impegnativa quella che annuncia ad A&F, in una delle sue rare interviste, Gian Riccardo Marini, amministratore delegato mondiale di Rolex. Il gruppo svizzero di orologi da lui guidato, infatti, da sempre si caratterizza per la completa identificazione del nome dell’azienda con il marchio, e Rolex è diventato il brand più venduto al mondo, il più forte per immagine.
Swatch, per esempio, è il numero uno mondiale del settore in termini di fatturato, ma il giro d’affari globale è il frutto della somma di una costellazione di marchi. La forza di Rolex, invece, è sempre stato il Rolex. La maison, non quotata, per policy non diffonde dati. Ma gli analisti di Vontobel, non a caso banca d’affari svizzera, ogni anno elaborano delle stime considerate dal mercato più che attendibili. Secondo Vontobel nel 2012 Rolex, terza per fatturato globale, svetta però in cima per penetrazione del brand, con vendite record per 4.500 milioni di franchi svizzeri, circa 3.700 milioni di euro. Oltre due milioni di franchi di vantaggio rispetto al secondo marchio, Cartier, del gruppo Richemont, secondo dopo Swatch per giro d’affari globale: Cartier vende per 2.380 milioni di franchi. Bisogna arrivare al terzo posto per trovare, con 2.230 milioni di franchi di venduto un marchio della Swatch, Omega. Al quarto Patek Philippe, una casa indipendente. A scendere Longines, altro marchio della scuderia Swatch. Al sesto, Tag Heur, di proprietà della Lvmh, il gigante del lusso capitanato da Bernard Arnault che, dopo l’acquisizione di Bulgari, sta premendo sull’acceleratore per scalare il mercato degli orologi, altamente profittevole.
Tudor, il secondo marchio di Rolex, si posiziona come fascia di prezzo appena sotto Rolex, è sulla stessa linea di Cartier e arriva a lambire poco più in basso Tag Heur. Già oggi Tudor rappresenta un 10% delle vendite globali della casa madre. Confrontando le performance dei concorrenti, il potenziale di crescita risulta elevato. Creare un nuovo brand nel lusso, sostengono gli analisti, costa molto di più che comprarne uno già affermato. Ma Tudor, di fatto, è la porta d’ingresso al mondo Rolex e vive e cresce nell’alveo di una strategia comune. E se la spinta alla concentrazione è forte anche in questo settore, Rolex resta solidamente radicata nella sua identità: «Nessuna acquisizione in vista — afferma Marini — né quotazioni di Borsa: continuiamo nel rispetto dei principi di governance della Fondazione». Rolex fa infatti capo a una Fondazione, creata nel 1960 dal fondatore, Hans Wilsdorf, che al momento della sua morte ha voluto lasciare un testamento di continuità gestionale. In Svizzera molte case di produzione sono indipendenti, fanno capo a famiglie o fondazioni e non sono quotate. Saldamente ancorate alla fascia alta del mercato, con basi finanziarie solidissime, difficilmente potranno diventare il target di nuove acquisizioni, sostengono gli analisti.
Se alcune case indipendenti hanno già predisposto il ricambio generazionale, che le blinda rispetto a scalate ostili, nel caso delle Fondazioni il ricambio è garantito dai manager che scelgono il più bravo, il più promettente nel perseguire le finalità della Fondazione stessa: non il profitto, ma la perpetuazione e l’accrescimento. «Fondazioni come quella di Rolex sono la rappresentazione concreta dell’idea messa a punto da John K. Galbraith delle imprese capitalistiche democratiche», racconta Armando Branchini, vicepresidente Fondazione Altagamma. Tecnostrutture, le chiamava Galbraith, nel senso non di comunità di tecnici ma di “competenze tecniche”, che vanno dal marketing, alla logistica, alla tecnologia, al commerciale. Gian Riccardo Marini ha costruito tutta la sua carriera nel mondo Rolex. Milanese, classe 1947, a 25 anni entra nell’azienda di famiglia, che si occupa della distribuzione degli orologi Rolex in Italia e che avrebbe poi dato origine a Rolex Italia; tre anni dopo viene nominato Procuratore, nel 1980 Direttore Commerciale e nel 2000 Amministratore Delegato di Rolex Italia S. p. A. «Ha fatto diventare il mercato italiano uno dei più importanti», spiega Branchini. E l’Italia, insieme alla Germania, dicono gli analisti di Crédit Suisse, è quella che sta dando segnali di maggior ripresa in Europa, con una crescita nella prima metà dell’anno del 13%.
Molto probabilmente è questa una delle molle che ha spinto Marini, nel maggio 2011, sulla poltrona di Ceo mondo. «La cosa che più mi fa onore è il riconoscimento dell’ascendenza delle capacità, dell’autorevolezza che l’Italia ha conquistato in questo settore», commenta Marini. Non solo dunque creativi, stilisti o design; gli italiani sanno fare anche altro: «La poltrona di Ceo è un riconoscimento della capacità gestionale nell’alto di gamma», incalza Branchini.
Dal quartier generale milanese alla “tecnostruttura” ginevrina di Rue François-Dussaud, dove pulsa il cuore dell’industria degli orologi. Il 95% di tutti gli orologi venduti a un prezzo superiore a 1.000 franchi svizzeri sono infatti prodotti in Svizzera, segnalano gli analisti di Vontobel. Tra le case indipendenti, tutte posizionate nell’alto di gamma, ciascuna s’è ritagliata il suo segmento: gioielleria per Chopard, il lusso per Patek Philippe, tra sport e lusso Audemars Piguet, orologi per l’aviazione Breitling. E Rolex? «Da sempre la sua identità forte è l’orologio a un tempo tecnologico e sportivo», commenta Branchini. Un legame scandito dalla precisione cronometrica, perno del prestigio voluto fin dagli esordi dal fondatore. Bavarese di nascita, inglese di adozione, Hans Wilsdorf fonda Rolex a Londra nel 1905, ma si trasferisce successivamente in Svizzera, In un’epoca in cui gli orologi da taschino dominavano il mercato, Wilsdorf scommette sul successo di un orologio da polso. Pioniere e innovatore, nel 1926 presenta l’Oyster, primo orologio da polso impermeabile all’acqua e alla polvere. Un anno dopo, la nuotatrice Mercedes Gleitze attraversa a nuoto la manica con un Rolex Oyster al polso: dopo 10 ore sotto acqua, l’orologio approda incolume. Cinque anni più tardi, altra novità: il primo movimento a carica automatica, il rotore Perpetual.
Da sempre il legame con lo sport è indissolubile. Rolex sostiene gli eventi sportivi più prestigiosi del tennis, del golf, e della vela. Non è un semplice sponsor. Misura sul green o in alto mare l’affidabilità e la qualità del prodotto e lo racconta nella competizione a tutto il mondo. Ora, dopo il matrimonio con Formula 1, si cimenta anche sul circuito in qualità di cronometro e orologio ufficiale delle corse. Ma l’hi-tech avanza. Samsung, per esempio, ha appena presentato un orologio che “parla” con il pc e lo smartphone. Il futuro non rischia di rivoluzionare il mercato? «No, e la storia dell’orologeria lo prova. Rolex da sempre ricerca l’eccellenza a partire dalla qualità del prodotto, l’eccellenza nella ricerca di nuovi materiali e di nuove tecnologie sempre all’avanguardia ma sempre fedeli al Dna della marca, nel rispetto delle tradizioni», commenta Marini. I dati gli danno ragione. Dopo un periodo di flessione, il mercato in generale ha ripreso a correre. Ma l’export di orologi elettronici è sceso del 6%, mentre quello degli orologi meccanici è cresciuto del 12%. La Federazione svizzera degli orologi aveva manifestato qualche paura per la campagna di moralizzazione del nuovo governo della Cina, il mercato a maggior crescita, che imponeva uno stop ai regali costosi. Ma la paura sembra ora rientrata. «Il flusso di turisti cinesi in occidente cresce a doppia cifra e la maggior parte delle spese alto di gamma dei cinesi vengono effettuate proprio all’estero», spiega Marini. La rincorsa degli orologi, dunque, parte da occidente? «Registriamo segnali di ripresa anche in Usa, dove confidiamo di crescere ancora».