Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 16 Lunedì calendario

GOVERNANCE I PECCATI DELLA GRANDE FINANZA


La crisi del 2007 2009 ha molteplici cause, ma alla radice vi è la cattiva governance di molte istituzioni finanziarie che hanno perseguito rendimenti non sostenibili, nel convincimento che i guadagni sarebbero stati privatizzati dai manager e dalle imprese stesse, e le eventuali perdite sarebbero state socializzate. La stessa innovazione tecnologico-finanziaria, invece di essere rivolta a ridurre i costi dei processi di intermediazione è stata coartata all’elusione delle regole e alla ricerca di elevati ritorni di breve periodo, generando gravissimi costi economici e sociali nel medio termine.

L’esigenza di impedire che la crisi finanziaria si traducesse in una implosione dell’attività economica ha indotto molti governi a far ricadere sul taxpayer il salvataggio di molte imprese too-big-to-fail addossando, quindi, sul cittadino le perdite generate non solo da rischi “tradizionali” (di mercato, di credito, di liquidità), ma anche dai rischi di compliance, derivanti da comportamenti e attività illecite/ illegali/criminali per eludere le regole esistenti.
La globalizzazione coinvolge anche le attività illegali. Si manifesta un crescente e profondo intreccio fra le attività illecite e criminali e le rispettive controparti finanziarie. I fatti criminosi devono essere registrati sotto due aspetti speculari: quello reale (ovvero l’atto criminale) e quello monetario-finanziario. In ragione dell’illegalità delle entrate di cassa, e quindi
dell’esigenza di occultarne la provenienza, la criminalità ricorre al sistema finanziario per “lavare” e riciclare i proventi delle sue attività.
L’aggregazione delle principali organizzazioni criminali e la rilevanza della elusione/evasione fiscale hanno determinato una crescente interconnessione fra le attività illegali e l’utilizzo del sistema finanziario globale e dei “paradisi fiscali”. Come è stato affermato da David Luna, Direttore dei Programmi Anticrimine negli Stati Uniti, l’«economia globale illecita si sta espandendo a ritmo assai elevato attraverso uno spettro molto ampio di attività illegali. Secondo le stime disponibili, l’economia illegale rappresenta fra l’8% e il 15% del reddito mondiale, distorcendo le economie, riducendo fortemente i redditi imprenditoriali legittimi, creando conflitti e influenzando negativamente le condizioni sociali».
La necessità di “lavare” i proventi delle attività illecite spinge al ricorso al sistema finanziario, utilizzando le forme più sofisticate di innovazione finanziaria (segnatamente i prodotti derivati complessi e Over-the-Counter), passando per Paesi con tassazione bassa o nulla. L’opacità del sistema e il passaggio attraverso Stati “sovrani” indipendenti rendono particolarmente difficile il ruolo delle Autorità giudiziarie e delle Forze di polizia dei principali Paesi nell’assicurare il rispetto delle leggi. Da questo punto di vista, particolare rilievo ha assunto la Financial Action Task Force on Money Laundering (Fatf) che, nell’ambito dell’Ocse, assicura il coordinamento tra Paesi e la peer pressure sugli Stati sovrani noncompliant (black list).
Al centro del sistema finanziario internazionale operano grandi banche globali: è emersa, negli ultimi anni, la rilevanza di attività illecite e illegali svolte anche al loro interno. Sono state poste in evidenza gravi carenze nella triade virtuosa tra buona corporate governance, rispetto delle regole (compliance) e attenta gestione dei rischi. In particolare, il sistema di compliance comprende: rispetto di standard di condotta di mercato, protezione degli interessi dei clienti, controllo dei conflitti di interesse, prevenzione di attività illegali (quali riciclaggio, money laundering, evasione fiscale, complicità nell’evasione fiscale dei clienti, creazione di cartelli operativi, manipolazione nel processo di fissazione dei tassi di cambio, vendita fraudolenta di polizze assicurative e carte di credito, finanziamento di attività terroristiche, …). Non si tratta di un elenco teorico. Tutte le operazioni descritte sono state, o sono, oggetto di un contenzioso che si è aperto fra le autorità giudiziarie e quelle di vigilanza, da un lato, e le grandi banche internazionali, dall’altro.
Gli elementi quantitativi raccolti in un mio studio in corso di pubblicazione mostrano la rilevanza delle attività illecite e illegali di grandi banche internazionali. Casi molto noti sono rappresentati: dalla sanzione di $2 miliardi comminata dal Tesoro americano e dal Dipartimento di giustizia a Hsbc per moneylaundering con l’Iran, con organizzazioni terroristiche, con cartelli della droga e con criminalità organizzata; dalla multa di $340 milioni a Standard Chartered per finanziamento di attività vietate con l’Iran; dagli arresti e dalle multe per la manipolazione dei tassi Libor, che influenzano circa $10 trilioni di prestiti a livello mondiale; dalle sanzioni concordate da Barclays e Ubs per una serie di illeciti per quasi $1 miliardo. Le principali contestazioni per attività illecite/illegali sono state rivolte dalle autorità americane a Bank of America e a JPMorgan Chase. L’Amministrazione Obama ha, inoltre, deciso di proporre cause civili come parte lesa anche nei confronti delle società di rating, per gli intrecci con alcune banche globali nella valutazione del merito di credito dei mutui subprime, richiedendo danni per oltre $5 miliardi.
Sulla base delle stime raccolte (peraltro lacunose e incomplete), i costi per litigations delle grandi banche europee e americane per il periodo 2010-2012 ammonterebbero a circa $95 miliardi. Il costo futuro stimato per il triennio 2013-2015 si aggirerebbe su $140 miliardi. Il totale generale supera, quindi, i $230 miliardi (3/4 dei quali ascrivibili alle grandi banche americane, in particolare Bank of America e JPMorgan Chase).
L’evidenza sopra ricordata mostra che i fenomeni di non compliance continuano. Al di là degli standard sul capitale, che hanno concentrato l’attenzione di supervisori e regolatori, è fondamentale che i modelli di corporate governance, di compliance e di risk management siano pienamente rispettati dalle banche, anche per l’azione della vigilanza.