Ettore Livini, Affari&Finanza 16/9/2013, 16 settembre 2013
ALITALIA, ULTIMA CHIAMATA PER ABU DHABI
È nuovo l’amministratore delegato. Sono cambiate le strategie (stop alla guerra suicida alle low cost) e i pretendenti alle nozze, con Etihad pronta a soppiantare - o meglio ad affiancare - l’eterna fidanzata Air France. L’avventura di Gabriele Del Torchio alla cloche di Alitalia è partita però nel segno del più vecchio dei problemi del gruppo: la caccia ai soldi.
Un deja vù: la compagnia brucia ancora più quattrini di quelli che incassa, il piano di rilancio darà frutti - nel caso - a medio termine, i 95 milioni raccolti tra i soci con un prestito obbligazionario sono quasi finiti. Risultato: il cda del 26 settembre, convocato con il solito clima un po’ da ultima spiaggia, dovrà trovare la quadra per portare nelle casse di Alitalia in tempi brevi nuova liquidità.
Un centinaio di milioni subito per garantire l’operatività. Altri 300 in tempi non troppo lunghi. E Del Torchio - impegnato nelle ultime settimane 24 ore su 24 per arrivare all’appuntamento con una soluzionetampone - dovrà riuscire in un triplo miracolo: convincere i soci (un po’ riottosi) a rimettere mano al portafoglio, placare le banche che - dopo aver visto saltare i covenant su molti dei loro prestiti - sono chiamate ad accenderne di nuovi e mediare tra Parigi e Abu Dhabi destinate in ogni caso, con pesi ancora da chiarire, ad assumere sempre più peso nella gestione dell’aerolinea tricolore.
Il neo amministratore delegato, del resto, sapeva che cosa lo aspettava. La cordata dei patrioti voluta da Silvio Berlusconi ha trasformato Alitalia in una realtà molto più efficiente, moderna (l’età della flotta è tra le più basse d’Europa) e regolare del vecchio carrozzone pubblico. Ma i conti non tornano lo stesso. I pilastri strategici del piano Fenice - la scommessa su mercato domestico e medio raggio e l’addio a Malpensa - si sono trasformati in un boomerang. Il braccio di ferro con Ryanair e Easyjet ha dissanguato le casse. Le perdite si sono divorate quasi tutto il patrimonio - puntellato grazie alla rivalutazione del programma Mille Miglia - e anche il primo semestre 2013 rischia di andare in archivio con un profondissimo rosso, probabilmente più dei 200 milioni dei primi sei mesi dell’anno precedente.
Rocco Sabelli e Andrea Ragnetti, i predecessori dell’ex-manager Ducati, hanno già provato a far quadrare i conti mettendo all’asta un po’ dell’argenteria di famiglia: nel 2012 sono stati venduti degli slot a Londra Heathrow per 63 milioni, sono finiti sul mercato un Boeing 767 e nove motori di A320. Ma non è bastato. La recessione e il caro-greggio si sono mangiati plusvalenze e risparmi (il costo del lavoro è calato dell’1% lo scorso anno) e la spia della liquidità, una costante sul cruscotto Alitalia, è sul rosso fisso. Ben 63 aerei della flotta, quasi tutti quelli di proprietà, sono in pegno ai creditori. E su 335 milioni di debiti a breve con le banche, ben 219 milioni avevano già «fatto scattare le condizioni per cui è possibile la richiesta di rimborso anticipato», come è scritto nell’ultimo bilancio. Morale: Del Torchio ha dovuto riprendere il lavoro esattamente da dove l’aveva lasciato Ragnetti, la ricerca di mezzi freschi.
Il compito, ovvio, non è facile. Lo scoglio più impegnativo è quello delle banche, con Intesa, Unicredit, Mps e Popolare di Sondrio in cima alla lista dei creditori. Roberto Colaninno, non a caso, ha deciso di affidare a Leonardo & Co - la banca d’affari guidata da Gerardo Braggiotti - il compito di tirare le fila su questo fronte e un primo punto della situazione dovrebbe essere portato sul tavolo del cda della prossima settimana.
La partita è complessa: si tratta di negoziare un riscadenzamento del debito esistente e convincere gli istituti ad aprire i cordoni della borsa garantendo un altro po’ di prestiti. Operazione che equivale a una scommessa al buio sul nuovo piano industriale di Del Torchio.
Non solo: alle banche sarebbe chiesto di fare da consorzio di garanzia per un aumento di capitale - stimato tra i 100 e i 150 milioni - da proporre ai soci vecchi e nuovi. E qui i nodi vengono al pettine. Molti degli azionisti minori della compagnia non hanno voluto (o potuto) fare la loro parte nel prestito obbligazionario di inizio anno. Immsi, Intesa, Benetton, Pirelli - e a maggior ragione i Riva che si sono visti sequestrare la loro quota del 10% nell’ambito della questione Ilva - non sono oggi nelle condizioni (o hanno la volontà) di firmare assegni a troppi zero e il rischio è che il rubinetto della liquidità resti mezzo chiuso costringendo le banche a tappare il buco.
Del Torchio lo sa. E non a caso in queste ore si sta ragionando su un intervento a tappe: prima l’accordo per la ristrutturazione dei debiti con i creditori e l’apertura di nuove linee di finanziamento per qualche decina di milioni. Obiettivo, raccogliere quegli 80-100 milioni necessari per traghettare la società al 2014. Questa boccata d’ossigeno potrebbe consentire poi di affrontare con più calma il resto dei nodi da sciogliere, pianificando nei prossimi mesi gli interventi necessari per trovare gli altri 300 milioni necessari per il piano industriale dei prossimi tre anni.
In questa occasione, ormai l’hanno capito tutti, si giocherà la partita del futuro azionario di Alitalia. E in campo per prenderne il timone (a parte un’offerta non troppo convinta di Aeroflot) sono rimaste solo Air France e Etihad. Gli scenari di scontro tra le due compagnie dipinti in queste settimane sono, va detto subito, senza fondamento. Parigi e Abu Dhabi sono già alleate in SkyTeam e l’aerolinea transalpina, già socia al 25% della società italiana, vanta un indiscusso “ius primae noctis” sul suo futuro. I due pretendenti, però, potrebbero trovare più conveniente trovare un’intesa preventiva. Air France non ha troppi soldi in cassa, è impegnata in una ristrutturazione interna e non ha molta voglia di consolidare nei suoi conti il miliardo di debiti di Roma. Negli ultimi tempi, oltretutto, ha manifestato una certa irritazione nei confronti di alcuni dei soci minori del vettore italiano, colpevoli, a suo dire, di cercare nuove alleanze. Etihad invece ha soldi e voglia di crescere: negli ultimi mesi ha rilevato partecipazioni in Aer Lingus, Air Serbia, Air Berlin, nell’indiana Jet Airways, in Virgin Australia e Air Seychelles. Alitalia (con cui ad oggi ha negoziato intese commerciali) le farebbe fare un salto di qualità sullo scacchiere europeo.
Del Torchio e Colaninno, viste le carte in tavola, stanno provando a far cadere tutti i tasselli al loro posto. Obiettivo: mettere assieme i due promessi sposi nell’interesse di tutti e chiedere a loro di sottoscrivere un bel pezzo dell’aumento di capitale prossimo venturo. Togliendo le castagne dal fuoco ai piccoli (e poveri) soci italiani e gettando le basi per il salvataggio definitivo e reale della compagnia tricolore. Ovvio che a quel punto la cordata dei patrioti sarà soltanto un ricordo. E l’italianità di Alitalia - con buona pace di Silvio Berlusconi - pure.
Air France avrà realizzato il suo sogno, conquistare il mercato del Belpaese, spendendo meno della metà di quello che aveva messo sul piatto nel 2008. Etihad si sarà ritagliato il suo pezzo di gloria in Europa. Gli azionisti della cordata dei patrioti potranno uscire di scena con meno perdite del previsto. Il cerino in mano, alla fine, sarà rimasto solo ai contribuenti tricolori, che hanno pagato quattro miliardi a fondo perduto per regalare Alitalia a chi cinque anni fa era disposto a comprarsela senza lasciare un centesimo di debito ai contribuenti italiani.