Laura Montanari, la Repubblica 16/9/2013, 16 settembre 2013
I DODICI UOMINI DELLA CONTROL ROOM
SARÀ il “comandante Nick”, oggi all’alba, a dire “let’s go” con quel suo strano slang che mescola l’inglese agli accenti dei tanti paesi in cui è stato.
SARÀ Nick Sloane, il direttore di questa strana orchestra di ingegneri navali e tecnici venuti da ventiquattro Paesi per un’impresa unica: raddrizzare il relitto della Costa Concordia. Gli occhi del mondo puntati addosso, mille telecamere accese per un’Italia in cerca di riscatto da quella tragica notte del 13 gennaio 2012. Si giocano molti destini in queste ore, dieci o dodici, di dirette tv e web, dalla Cina all’Australia tutti collegati, con il fiato sospeso su quel relitto triste e accasciato, davanti all’isola del Giglio. Si cerca un altro finale a questa storia cominciata con uno sciagurato inchino, un comandante a cena con una ballerina, una collisione mascherata come un black out. Un’altra cartolina, uno scatto sul finale, vincere una sfida mai tentata prima, rimettere la Concordia com’era, in verticale.
Passa da una piccola piattaforma galleggiante, che è la plancia di comando di questa complessa e rischiosa operazione, da monitor e martinetti idraulici telecomandati, numeri e modelli matematici, ma anche incognite e zone d’ombre su cui camminare senza scivolare. Il direttore per il consorzio Titan Micoperi, sudafricano di Cape Town, appassionato di vela, golf e buoni vini, maglietta a maniche corte ieri, malgrado la pioggia, saluta mille facce sull’isola in cui è ostaggio oramai da un anno e mezzo, era in Nuova Zelanda a salvare un’altra nave e l’hanno convocato d’urgenza: «Venga al Giglio, c’è da lavorare su Concordia». A chi gli chiede cosa succederà indicando la sagoma bianca della grande nave da crociera rovesciata, lui risponde semplicemente: «La giriamo e la tiriamo su, siamo carichi, una squadra pronta». Tensioni e paure aleggiano nell’aria, ma sono mascherate bene. Hanno fatto anche una prova generale ieri ha detto Sloane: «Abbiamo testato quattro cassoni, c’è stato uno spostamento di tre centimetri, è sufficiente per capire che la nave può essere ruotata». Sessantacinque gradi, non uno scherzo.
Oggi “captain Nick” sarà in regia sulla “control room”, la piattaforma-container, il posto più vicino alla Concordia: dodici postazioni a sedere, computer e monitor collegati alle telecamere disposte a prua e a poppa, ai robottini subacquei che andranno avanti e indietro sul fondale per mostrare in diretta le varie fasi dell’operazione. Ipad e cellulari sui tavoli, da lì ordinerà di azionare i martinetti idraulici, di accelerare o rallentare i carichi di forza sulle corde che imbrigliano il relitto. Nelle stanze di comando, fra un hotel affacciato al mare e la piattaforma galleggiante, si decideranno le sorti del relitto: saranno affollate di tecnici e informatici, esperti navali ed esperti subacquei. Ci saranno anche Franco Porcellacchia, 60 anni, l’ingegnere navale genovese che per la Costa coordina tutto il progetto di rimozione dal Giglio e Sergio Girotto, altro ingegnere che lavora per Micoperi, l’azienda di Ravenna che ha curato le perforazioni e gli impianti messi sul fondale, cioè quella montagna di acciaio che fa sembrare la nave, un grande cantiere siderurgico: «Tra pali, piattaforme e cassoni abbiamo portato qui 30 mila tonnellate di acciaio, abbiamo fatto lavorare molte le aziende giorno e notte, quasi tutte italiane, da Fincantieri a Rosetti a Cimolai. I costi in questa operazione non sono mai stati un problema».
Infatti: sono lievitati dai 300 milioni di euro iniziali agli attuali 600 e non è finita. I costi non sono un problema perché in quel quadrato di cinquecento metri di mare davanti alle coste della Gabbianara si gioca la credibilità di Costa e di tutti gli altri che hanno firmato passo dopo passo, foglio dopo foglio, questo cammino di frontiera che ha portato al parbluckling, una parola che sembra qualcosa di moderno, ma che invece ha radici nel passato, la usavano nell’Ottocento per far rotolare i barili con una doppia corda: «Certe cose non le potevamo prevedere, ma solo sperimentare — racconta Porcellacchia — Ora ci sono tutte le possibilità che l’operazione riesca, preferiamo non parlare di piani B».
«Abbiamo perforato il fondo marino che in questo punto è molto difficile perché alterna roccia e sabbia per mettere pali d’acciaio di due metri di diametro recuperando i detriti intubandoli in speciali calze per non creare danni all’ambiente » aggiunge Girotto. Quando si parla di Concordia è tutto grande, tutto esagerato. Undici cassoni (alti come palazzi di 7 o 11 piani) sul lato emerso fissati da 36 cavi di acciaio che verranno tirati con una potenza che va dalle 4mila alle 5mila tonnellate, ma che «potranno arrivare fino a 12mila all’occorrenza» spiegano i comandanti del parbuckling. Bisognerà sganciare dalle rocce il grande scafo come fosse un lem spaziale, comandandolo a distanza, cominciare a ruotarlo piano piano, come quando si toccano le ferite nel profondo, evitando le infezioni.