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 2013  settembre 15 Domenica calendario

TOKYO 2020


«Ehi, arbitro, sostituzione». Il coach guarda l’iPad in panchina e decide che è il momento di cambiare. Più che decidere, esegue.
La sostituzione in realtà l’ha suggerita una app. L’ha consigliata confrontando la scheda sugli infortuni passati del giocatore e i dati appena ricevuti, trasmessi da un sensore applicato dietro le orecchie degli atleti, con il quale è valutata l’entità dell’impatto sul cranio nei contrasti di gioco. È stato sperimentato dalla squadra femminile di lacrosse della Stanford University, ma il “concussion detector” potrà rappresentare soprattutto nel football americano una risposta alle polemiche sugli scontri e le drammatiche conseguenze, a medio e lungo termine.
In principio fu il fotofinish. Pareva il massimo delle diavolerie. Riusciva a stabilire quale fra due atleti giunti spalla a spalla sul traguardo avesse davvero vinto una corsa. Addirittura. Era il 1932, il primo vero bivio dello sport. L’altro, decenni dopo, fu la macchina sparapalline di casa Agassi, costruita da papà Mike sul retro di casa, Andre non smetterà di maledirlo. Nera, le ruote di gomma, la chiamavano “il drago”. Artigianato puro, ma avanguardia.
Dopo, un po’ alla volta, abbiamo visto calciare palloni con un microchip all’interno verso porte di calcio su cui sono puntate delle telecamere, il campionato inglese ha appena adottato il Goal Decision System: quando la linea bianca è superata, l’arbitro riceve un impulso sul suo orologio. Abbiamo visto tennisti fermare il gioco per puntare lo sguardo all’insù e controllare su un maxi schermo se il colpo era dentro o fuori. Abbiamo assegnato in Italia uno scudetto di pallacanestro con l’instant replay, la moviola a bordo campo. E oggi, tra porte di pallanuoto che si illuminano allo scadere del tempo consentito per il tiro e spade collegate in wireless con la postazione dei giudici di scherma, la frontiera si è spostata un po’ più in là. O forse la frontiera non c’è più.
La Sampdoria, per esempio. Ha introdotto nel calcio l’uso dei droni. Sul campo di allenamento di Bogliasco, e poi nel ritiro estivo di Bardonecchia, un mini elicottero senza pilota, regolato da un computer di bordo, ha ripreso dall’alto gli allenamenti e le partite della squadra. Si solleva fino a 40 metri d’altezza, un’innovazione nata per essere al servizio della tv tematica del club, ma che è diventata subito supporto tecnico: delle immagini si giova anche l’allenatore, Delio Rossi, peraltro un tradizionalista, uno che di anticipi e posticipi non vorrebbe neppure sentir parlare: se fosse per lui, farebbe ancora giocare tutte le partite di campionato in contemporanea, la domenica pomeriggio, dopo pranzo. La società Flyonaction aveva finora usato il drone per le riprese di corse ciclistiche, mai una squadra di calcio si era spinta a utilizzarlo sul proprio campo. Una scelta che spalanca il campo a fantascientifici scenari: lo spionaggio degli allenamenti avversari, del resto già praticato dagli staff dei tecnici italiani con i mezzi più rudimentali e creativi. Chissà se arriveremo al drone 007.
La Juventus invece monta a bordo campo, durante le sedute atletiche, un misuratore di prestazioni. Una scatoletta basata su tecnologia gps e sostenuta da un cavalletto. A guardarla in azione durante i test, fa l’effetto di un autovelox. In realtà, il software registra per ciascun calciatore i metri percorsi, la massima velocità toccata, accelerazioni e decelerazioni, cambi di direzione, spostamenti sul campo, frequenza cardiaca e tempi di recupero fra uno scatto e l’altro. In sostanza il cosiddetto autovelox registra l’intensità con cui ogni atleta ha lavorato: i dati sono rilevati per ben quindici volte al secondo (15 Hz). Così, Conte ha il vantaggio di misurare in tempo reale i parametri segreti di ogni calciatore: una specie di Grande Fratello puntato sul fisico di tutti i suoi. La nuova generazione di gps è utilizzata all’estero anche dal Manchester United, dal Chelsea e dagli All Blacks di rugby, la nazionale neozelandese.
Un Grande Fratello lo abbraccia pure il basket. Che ha inventato il pallone con la scatola nera. Come gli aerei. Un pallone collegato ad una app per smartphone o tablet. Presentato qualche mese fa al Mit Sloan Sports Analytics Conference di Boston, grazie al Bluetooth, il pallone trasferisce al device tra le mani del coach tutti i dati sui tiri a canestro, le finte, i palleggi. Numeri che sono poi confrontabili con i parametri ideali e con quelli di altri giocatori. Tutto in tempo reale. «È nostra intenzione portare questa tecnologia pure in altri sport», l’annuncio dato in rete da Mike Crowley, il fondatore di InfoMotion, l’azienda che in cooperazione con 94Fifty ha ideato il pallone intelligente. Il mondo del calcio è fra i primi a essere notevolmente interessato agli sviluppi dell’innovazione.
Il nuoto ha già il suo equivalente. Il ruolo di raccolta dati svolto sul parquet dal pallone, in acqua viene interpretato dagli occhialini dell’atleta. Un sensore ottico immagazzina dati sui chilometri nuotati, sulla qualità e il ciclo della respirazione, sulle calorie bruciate durante l’attività fisica. La trasmissione dei dati avviene attraverso l’arteria temporale. In più, rispetto al basket, c’è che la lettura dei dati (anche in questo caso in tempo reale) è dell’atleta stesso: la lente davanti ai suoi occhi cambia colore secondo il livello di sforzo prodotto, seguendo i battiti cardiaci. Un cavo che si collega a una porta Usb consente di scaricare successivamente i dati sul personal computer: un progetto (si chiama Instabeat) prodotto e lanciato da una start up libanese il 17 aprile scorso, con una campagna di crowdfunding su Indiegogo. Gli occhialini sono studiati in modo che non siano di intralcio alla bracciata, idrodinamici, l’attrito con l’acqua è ridotto. Pesano 30 grammi, la batteria ha una durata di 8 ore. Un’idea di Hinda Hobeika, 25 anni, ingegnere e nuotatrice per la squadra della American University di Beirut. «Quando sei con la testa sott’acqua», ha spiegato, «non c’è verso di comunicare con il tuo allenatore». Da questa frustrazione hanno avuto origine gli occhialini scientifici, che inizialmente dovevano portare il nome di Bufferfleyes, un gioco di parole traducibile più o meno in Farfallocchi.
Mentre gli sport professionistici statunitensi si stanno avvalendo dei vantaggi di una innovazione chiamata Spark Motion, una app che spacchetta in frame le immagini di un gesto ripreso in allenamento, consentendo ad allenatori e atleti di correggere posture e movimenti. A renderla possibile il lavoro di un gruppo di fisioterapisti, posturologi, esperti di biomeccanica, un ex marine. Le immagini sono anche sovrapponibili, consentendo così confronti fra gesti ripresi a distanza di mesi, oppure fra gesti di atleti diversi. Nel baseball viene utilizzata per perfezionare il lancio di palla, ma la tecnologia è stata introdotta anche nel basket Nba dai Los Angeles Lakers, Miami Heat e San Antonio Spurs, e nell’hockey Nhl dai Toronto Maple Leafs. Il fotofinish sembra un dinosauro.