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 2013  settembre 15 Domenica calendario

LE CONSEGUENZE DELLA LONGEVITÀ

I nostri pronipoti dovranno imparare ad avere molte carriere nell’arco della vita. Il loro destino è infatti quello di vivere molto a lungo. Molto più a lungo di quanto oggi immaginiamo: secondo i calcoli l’aspettativa di vita sale costantemente di 2,5 anni per decennio dal 1840. Sei ore al giorno! A questo ritmo nei paesi occidentali la maggior parte dei bambini nati nel Duemila festeggeranno i 100 anni nel 22esimo secolo. Fino a qui, è il risultato di un migliore tenore e stile di vita, una maggiore istruzione e un facile accesso alle cure mediche. In futuro, il rinvio della mortalità sarà alimentato dalla scoperta dei geni della longevità e il loro controllo (su questo fronte grandi contributi stanno venendo da due italiani, Paola Sebastiani, professoressa di biostatistica alla Boston University School of public health e Pier Giuseppe Pelicci, condirettore dell’Istituto europeo di oncologia di Milano), così come la medicina rigenerativa è una grande promessa per ringiovanire organi e tessuti.
A mettere insieme e correlare questi fattori è la bio-demografia, un nuovo campo di ricerca che vede nel professor James W. Vaupel, direttore esecutivo dell’Istituto Max Planck per la ricerca demografica, uno dei suoi fondatori nonché fra i massimi esperti sulla ricerca dell’invecchiamento. The Lancet l’ha definito l’innovatore della demografia dell’invecchiamento, essendo stato il primo a proporre la plasticità della longevità. Vaupel ha dimostrato che non c’è un limite preciso all’aspettativa di vita dell’uomo e ha avanzato l’ipotesi che la durata della vita umana non è fissa, ma varia anche in funzione delle dimensioni della popolazione.
Sempre suo il concetto di demografia evoluzionistica, che mette in relazione la mortalità specifica di ogni età con i processi evoluzionistici che la determinano. Per questo nel Duemila ha creato il primo database internazionale sulla longevità, che mette a disposizione degli studi demografici ampie informazioni sui supercentenari. Per Vaupel gli effetti dell’invecchiamento non sono inevitabili e possono essere rinviati e il suo approccio multidisciplinare al tema ha letteralmente rivoluzionato un campo "statisticamente" ingessato. «La demografia si trova a metà strada tra scienze sociali e scienze biologiche. Noi siamo in grado di fornire contributi a entrambi». Vaupel, che dirige una rete interdisciplinare chiamata MaxNetAging, è stato il primo a utilizzare studi sperimentali di laboratorio piuttosto che di popolazione.
L’evidente incremento dell’aspettativa di vita rende necessario una riconcettualizzazione della longevità e una rimodellazione della società.
«La longevità è uno dei fenomeni più importanti della nostra era che comporta profondi cambiamenti dal punto di vista sociale, culturale e medico-scientifico. Si trasformano i ruoli e i tempi di ogni età della vita, con conseguenze demografiche, economiche e biologiche ancora da esplorare – racconta Vaupel, che sarà ospite sabato prossimo a Venezia alla nona edizione di The Future of Science, promossa dalle Fondazioni Veronesi, Tronchetti Provera e Cini, quest’anno è dedicata «Ai segreti della longevità».
«Secondo i miei calcoli, gli statistici di tutto il mondo hanno sistematicamente sottovalutato il tasso di aumento dell’aspettativa di vita». Ma anche gli scienziati credevano che ci fosse un tetto massimo per l’aspettativa di vita di poco più di 80 anni, limite che già oggi si è spostato di un decennio ed è in costante crescita. Vaupel propone di lavorare fino a 80 anni. «Sì, ma solo 25 ore alla settimana già all’inizio della carriera lavorativa. Si tratta di una valida alternativa all’"ora di punta della vita" compensando i più giovani col lavoro in età avanzata. In termini socio-economici questo ha senso, nel 20esimo secolo abbiamo avuto una redistribuzione della ricchezza, nel 21esimo secolo la grande redistribuzione sarà in termini di orario di lavoro e tempo libero». In effetti, se sappiamo di vivere 100 anni, 90-95 dei quali in buona salute fisica e mentale, è probabile che spalmeremmo gli eventi salienti della nostra vita – studio, lavoro, educazione dei figli e tempo libero – in maniera diversa di quanto facciamo oggi. Dedicheremmo 3-4 decenni per cercare di conciliare lavoro e famiglia, sapendo di avere altri 4 decenni di tempo libero? Vista da fuori, appare effettivamente poco razionale. Eppure questo è quello che oggi facciamo. Cosa ne pensano gli economisti?
«È importante garantire che questa progressione non mini l’equilibrio del sistema di welfare e l’equità inter-generazionale, tenendo conto dei rischi implicati dal fatto che è politicamente molto più facile difendere i diritti delle generazioni viventi rispetto a quelli delle generazioni future (che non essendo ancora in vita non possono far sentire la loro voce con il voto, ndr)», risponde Carlo Favero, direttore del dipartimento di Finanza all’Università Bocconi di Milano che con Agar Brugiavini, professoressa di Economia all’Università Cà Foscari chiuderanno la giornata veneziana sull’economia della longevità: «Sono abbastanza d’accordo – e in parte questo fenomeno è già successo con lo spostamento in avanti dell’età lavorativa in seguito all’istruzione –, anche perché non ci possiamo più permettere un’uscita dal lavoro anticipata, non è più sostenibile economicamente in nessun paese».