Sergio Rizzo, CorrierEconomia 16/09/2013, 16 settembre 2013
SEMPLIFICHIAMO, MA I COSTI AUMENTANO
Si fa presto a dire: semplifichiamo. Da dieci anni le leggi che portano pomposamente nel titolo la parola «semplificazione» si susseguono a raffica senza che la vita per i cittadini, ma soprattutto per le imprese, venga resa più facile. Non c’è governo che non si sia esercitato in questa missione impossibile, con appena qualche divagazione parolaia dal tema principale.
Il governo di Mario Monti, per dirne una, al sostantivo «semplificazione» ha preferito la forma verbale, con un perentorio «Semplifica Italia», sulla scia del «Salva Italia», del «Cresci Italia».... Anche se questo scatto lessicale, va detto, non ha cambiato la sostanza.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Unioncamere, nel 2012 le imprese avrebbero sopportato costi per adempimenti amministrativi pari a 22 miliardi e 424 milioni, con un aumento di 236 milioni rispetto al 2011. I soli costi interni aziendali lambiscono la soglia dei 15 miliardi. Eppure i dati della Funzione pubblica starebbero ad affermare l’esatto contrario. I vari provvedimenti di «semplificazione» adottati fin dal 2008 dovrebbero avere come conseguenza, a regime, un risparmio di quasi 8 miliardi e mezzo di costi amministrativi. Una stima che tuttavia non sembra del tutto coerente con le valutazioni di organizzazioni imprenditoriali quali la Confartigianato, che in un recente studio ha calcolato un numero impressionante di norme fiscali, adottate proprio dal 2008 a oggi, capaci di complicare ancora di più gli adempimenti burocratici: 288, su un totale di 491 (quattrocentonovantuno!) diverse disposizioni tributarie varate dal Parlamento in soli cinque anni.
L’indagine che Unioncamere conduce periodicamente ci informa che quasi due terzi delle imprese (il 64,1 per cento) non hanno avvertito i risparmi di cui si parla. Mentre rispetto al 2011 la fetta di imprenditori che denuncia un aumento dei costi amministrativi è salita dal 23,8 al 30 per cento. Né le previsioni per quest’anno sono particolarmente migliori.
La quota di imprese che si attendono una crescita ulteriore dei costi è infatti al 22 per cento, più che tripla rispetto a quel 6 per cento che al contrario scommette sulla riduzione degli oneri. Ovvio che in questo caso la sfiducia giochi un ruolo importante. I precedenti, del resto, non sono davvero entusiasmanti. Né la dura realtà dei numeri autorizza grandi speranze di radicali cambiamenti. Se infatti sono stati fatti passi avanti nella riduzione dei tempi della burocrazia per avviare un’attività d’impresa (nel 2005 erano pressoché doppi rispetto a quelli del 2012), lo stesso non si può dire per altre variabili. Il pagamento delle imposte, per esempio. Il rapporto Doing business, che la Banca mondiale predispone ogni anno, afferma per esempio che in Italia quell’adempimento porta via, e soltanto per le tre tasse principali che gravano sul sistema produttivo, ben 269 ore: 71 in meno nel confronto con il 2005, ma quasi il triplo rispetto a Paesi come Francia, Svezia o Gran Bretagna,
Per non parlare del contenzioso commerciale, un cruccio irrisolvibile che contribuisce a tenere alla larga gli investitori esteri... Il Italia una causa civile per il rispetto di un contratto dura la bellezza di 1.200 giorni e deve passare attraverso 41 differenti fasi processuali. Con un abisso che separa Torino, dove «bastano» (si fa per dire) 855 giorni e Bari, dov’è possibile superare di slancio i cinque anni. La media europea è ben diversa: 550 giorni e 35 passaggi giudiziari.
Idem per i permessi edilizi. Nel nostro Paese sono necessari almeno 230 giorni, un tempo estenuante che non ha pari nel continente. Senza considerare, anche in questo caso, le differenze fra Nord e Sud. Perché se a Milano chi chiede la licenza di costruzione se la può cavare in 151 giorni, a Palermo ci vogliono cinque mesi in più.
Sergio Rizzo