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 2013  settembre 16 Lunedì calendario

ILVA. QUEI 1.200 MILIONI GIA’ SEQUESTRATI BASTEREBBERO AD APRIRE GLI IMPIANTI - C’è

un grande assente nel dibattito sull’Ilva ed è un numero misconosciuto benché accecante: un miliardo e 200 milioni. Sono gli euro sequestrati all’estero, in maggio, dai magistrati di Milano agli imprenditori dell’acciaio Emilio e Adriano Riva per «truffa allo Stato» e «trasferimento fraudolento di valori», dopo la scoperta dell’irregolare scudo fiscale utilizzato nel 2009 per ripulire maxiappropriazioni 1995-2006 ai danni dell’Ilva, poi convogliate a Jersey su 8 trust come «mero espediente giuridico al fine precipuo di occultare la titolarità». Questi 1.200 milioni sono soldi tutti diversi dai teorici 8 miliardi «per equivalente» che la magistratura di Taranto sequestrò sempre in maggio e a parziale garanzia dei quali ha ora bloccato 600 milioni in beni aziendali dei Riva fuori dal perimetro Ilva, sequestro al quale i Riva hanno risposto chiudendo sette fabbriche al Nord e licenziando 1.400 lavoratori. Quegli 8 miliardi sono una proiezione statistica dei profitti che i magistrati di Taranto calcolano i Riva abbiano accumulato negli anni, risparmiando sui costi delle misure ambientali per l’Ilva; invece il miliardo e 200 milioni sequestrato da Milano esiste qui e ora, è concretamente nelle banche dove i soldi sono stati bloccati. Sembra una rimozione psicoanalitica: perché solo dimenticando il piccolo particolare dell’esistenza di questi 1.200 milioni, si può prendere sul serio la storia dei proprietari costretti a chiudere e a licenziare dall’esondare dell’ultimo sequestro tarantino (peraltro attento a lasciare all’amministratore giudiziario la gestione dei 49 milioni di attivi sui conti delle aziende non Ilva, proprio «per prevenire effetti negativi sulla prosecuzione dell’attività industriale»). Invece della serrata, se davvero tengono alle aziende, i Riva non hanno che da abbandonare le opposizioni legali al sequestro milanese dei loro 1.200 milioni e da lasciarlo tramutare subito in confisca da parte dello Stato, che con esso ben potrebbe non solo garantire le quotidianità aziendali (e i posti di lavoro) ma anche finanziare l’avvio delle bonifiche.
Luigi Ferrarella