Paola Casella, la Lettura (Corriere della Sera) 15/09/2013, 15 settembre 2013
ODIO I CONFORMISTI DEL WEB
Giovedì scorso Bret Easton Ellis aveva 422.639 follower su Twitter (ma seguiva soltanto 156 profili): questo lo rende a tutti gli effetti una stella della Rete. Il suo parlare esplicito però gli procura spesso dei grattacapi: «Recentemente ho twittato che non avrei creduto a Matt Bomer, un attore dichiaratamente gay, come protagonista dell’adattamento cinematografico di Cinquanta sfumature di grigio; così ho dovuto scrivere un articolo su "Out" per difendermi dall’accusa di omofobia: io, da sempre apertamente omosessuale. Un’altra volta ho scritto che secondo me l’Academy aveva assegnato l’Oscar a Kathryn Bigelow solo perché è una donna, e una gran gnocca. Inutile dire che migliaia di follower, comprese mia madre e le mie sorelle, mi hanno messo alla gogna. Dai, erano soltanto opinioni».
L’ex ragazzo prodigio di Meno di zero e American Psycho, oggi quarantanovenne sceneggiatore di The Canyons, il film di Paul Schrader presentato fuori concorso a Venezia, è davvero un fenomeno pop o, per usare la sua autodescrizione, «uno scribacchino adolescenziale». Nei suoi tweet, Easton Ellis esprime pareri molto personali in fatto di arte, letteratura, cinema e politica, qualificandosi come opinion leader per i fan che lo amano, o amano odiarlo. «Il mio rapporto con i social media è puramente istintivo», dice. «Ho voglia di esprimere un pensiero, un’emozione, e lo faccio di getto. Ma la mia vita è ancora prevalentemente analogica: mantengo relazioni tattili, non mi basta chattare a distanza».
In che modo usa i social media?
«Ne faccio un uso improprio perché inserisco raramente link e hashtag, e non rispondo quasi mai ai messaggi altrui. Ho usato correttamente Twitter solo per incoraggiare i miei follower a fare crowdfunding, cioè a finanziare The Canyons attraverso la piattaforma di Kickstarter, e per cercare comparse per il film: postavo un tweet la mattina alle sei, alle undici c’era già la fila».
Che cosa pensa di Facebook?
«Non mi piace più, perché funziona soprattutto come cane da guardia: molti genitori lo usano esclusivamente per controllare i loro figli. E l’eroe di Facebook è Grumpy Cat, un gatto dall’espressione perennemente incazzata. Twitter invece è il mio principale canale di informazione, e un potente strumento espressivo».
Il limite dei 140 caratteri condiziona la sua scrittura?
«Costringe a limare costantemente, a essere severamente sintetico. In questa brevità coatta le opinioni sono espresse in bianco e nero, senza mezzi toni e sfumature. E poiché si materializzano in modo decontestualizzato, sembrano sempre proclami assoluti».
I social media hanno influenzato il suo stile?
«Un tempo sbrodolavo, oggi sono molto più conciso. Ma più che il mio modo di scrivere, Twitter e Facebook hanno modificato quello di leggere, abbassando drasticamente la mia capacità di concentrazione: se ieri ero in grado di divorare cento pagine di un romanzo in una sera, adesso fatico ad arrivare a venti. E sono anche più esigente per quanto riguarda la forma di ciò che leggo. Di un libro non mi interessa più la trama, mi concentro sulla prosa, che deve essere intensa ed essenziale, come la poesia. Attualmente, l’unico romanzo che mi sembra rispondere a questi criteri è The Goldfinch della mia amica Donna Tartt, che sto leggendo in bozze. È lungo quasi 800 pagine, ma non pesano perché sono scritte con grandissima cura».
Al contrario di molti testi su internet...
«Sono stufo di leggere blog scritti senza cura. Anche le interviste web sono solo trascrizioni di ciò che ha detto l’intervistato, senza un minimo di editing. Ciò che conta è buttare in Rete i contenuti in tempo reale. Ma in questo, probabilmente, c’è anche una maggiore autenticità».
In un tweet lei ha paragonato il suo utilizzo dei social media a quello di un teenager.
«Sì, perché esprimo sempre le mie opinioni in forma di iperbole: un libro, un film, sono ogni volta il più bello o il più brutto del mondo».
Spesso chi usa i social media si costruisce un alter ego.
«Contrariamente alla vulgata, io credo che Twitter mostri esattamente ciò che le persone sono veramente. La somma delle tue esternazioni crea una fotografia abbastanza accurata di chi sei, che tu lo voglia o no».
E lei chi è secondo Twitter?
«Secondo molti, uno stronzo presuntuoso. E dire che io mi sono sempre considerato una persona perbene...».
Molti l’hanno criticata per il tweet in cui esultava per la morte di J. D. Salinger: «Aspettavo questo giorno da sempre», ha scritto.
«È il classico esempio di come sui social network l’ironia non "passi". Io adoro Salinger. Volevo solo dire che finalmente con la sua scomparsa è diventato immortale e può smettere di preoccuparsi di tutti i rompiscatole che, negli anni, hanno cercato di strapparlo al suo isolamento».
Con David Foster Wallace è stato durissimo, anche in quel caso post mortem, descrivendolo in un tweet come «lo scrittore più noioso, sopravvalutato e pretenzioso della mia generazione».
«Resto del mio parere, e me la prendo soprattutto con i suoi fan. Come ho scritto in un altro tweet, leggere David li fa sentire intelligenti, il che contribuisce alla falsità del fenomeno».
Si è cimentato con cinema, letteratura, web. Il suo stile cambia con il medium?
«Non molto: si tratta sempre di creare contenuti e, al di là delle caratteristiche del contenitore, credo che la mia impronta resti evidente. Ogni mio testo è personale: non potrei scrivere di qualcosa che non mi riguardi direttamente. Mi piacerebbe, ma sono troppo narcisista per farlo».
A che cosa sta lavorando ora?
«A una serie televisiva che, nelle intenzioni, ha il respiro di un romanzo epico: durerà dieci ore e sarà ambientata a Brooklyn, Manhattan e nel Queens. Protagonista un gruppo di giovani, fra cui uno squilibrato violento».
Un altro «American Psycho»?
«Gli psicopatici sono la mia ossessione personale...».
Qual è secondo lei il futuro dei social media?
«Credo che diventeranno sempre più conservatori. Non c’è accettazione del pensiero altrui, soprattutto se espresso con candore, il che comporta un giro di vite sempre più stretto nella libertà di espressione. Su Facebook non puoi usare le parolacce altrimenti vieni censurato; e se esprimi un’opinione colorita su qualcuno o qualcosa i tuoi "amici" ti assalgono».
Perché ha così tanti follower?
«Proprio perché, nonostante la dittatura del politically correct, mi ostino a dire quello che penso, senza autocensurarmi. La gente se ne accorge e mi apprezza, anche quando non è d’accordo con me».
Tuttavia il suo messaggio più volte ritwittato è quello su quanto le piacciono i gatti...
«Questo la dice lunga su quanto valgo come maître-à-penser».
Paola Casella