Guido Santevecchi, Corriere della Sera 15/09/2013, 15 settembre 2013
I PICCOLI CARPENTIERI DEL WEB AL SERVIZIO DELLA CENSURA CINESE —
Sono laureati, età media 25 anni, lavorano in un palazzo moderno, seduti davanti a computer con grandi schermi, allineati in stanze con le pareti di vetro. Stretti, perché sono in tanti. Fanno parte dell’esercito dei tecnici della censura che ogni giorno controlla l’attività sul web di circa 500 milioni di cinesi iscritti a Sina Weibo, la versione locale di Twitter.
E per la prima volta si raccontano (sotto condizione di anonimato): lamentano di essere sfruttati con turni da 12 ore e sottopagati, perché guadagnano 3 mila yuan al mese, meno di 400 euro, «quanto un carpentiere che lavora in un cantiere a tirar su grattacieli». Sono praticamente tutti maschi, perché la censura in Cina è vigile 24 ore su 24, bisogna fare i turni di notte e le ragazze stanno alla larga. Nonostante i mugugni di questi Piccoli Fratelli al servizio del Grande Fratello di Pechino, il sistema ha una velocità di repressione sorprendente: si calcola che ogni guardiano della Rete «processi» tremila messaggi l’ora. Il sistema li aiuta segnalando subito le parole vietate o sensibili se associate ad altre: niente Tienanmen o Tibet, tanto per cominciare e nessuna critica destabilizzante alla linea del partito e del governo.
Circa il 5 per cento delle cancellazioni di post sgraditi al potere centrale avviene entro 8 minuti dalla pubblicazione; entro mezz’ora viene fatto scomparire un altro 30%. E quasi il 90% del materiale vietato viene spazzato via entro le 24 ore.
I Piccoli Fratelli che si sentono trattati da carpentieri del Web lavorano a Tianjin, mezz’ora di treno ad alta velocità da Pechino, pagati (poco) da Sina Weibo per eseguire gli ordini della censura di Stato. Hanno parlato delle loro frustrazioni con l’agenzia Reuters . «È un lavoro stressante e senza prospettive di carriera», «all’inizio ero combattuto, poi ci ho fatto l’abitudine e sono diventato insensibile». Ma c’è anche chi trova una giustificazione nobile: «Il nostro lavoro evita che Weibo venga chiuso dalle autorità, quindi noi diamo alla gente la possibilità di continuare ad esprimersi, certo, non è una situazione ideale, ma meglio di niente», dice un Piccolo Fratello.
Sina Weibo impiega almeno 150 controllori privati. Ma il partito comunista (che è lo Stato) dispone di un apparato sterminato: l’ufficio propaganda di Pechino ha 60 mila dipendenti ufficiali e altri due milioni di collaboratori e simpatizzanti. Il loro capo è il signor Lu Wei, direttore dell’Ufficio statale Informazione Internet: questa settimana ha detto che «la libertà significa ordine, la libertà senza ordine non esiste». Per garantire questo ordine, lunedì è entrata in vigore una nuova legge per la repressione delle «voci» diffuse sulla Rete. La pena per chi usa Sina Weibo «in modo irresponsabile» è commisurata al seguito dell’autore: se il messaggio è letto almeno 5 mila volte o è ritwittato 500 volte si rischiano tre anni di carcere. Un monito ai microblogger di successo.
La stretta della censura sulle «voci» tradisce la preoccupazione di Pechino: che prima ha incoraggiato i cittadini a denunciare online episodi di corruzione e cattiva amministrazione (perché è sempre meglio protestare nella piazza virtuale piuttosto che scendere davvero nelle strade). Poi è intervenuta di fronte alla valanga delle accuse sul Web (tra le quali naturalmente ci sono anche casi di diffamazione o ricatti).
Nelle ultime settimane decine di nomi famosi su Sina Weibo sono finiti in carcere. Il più celebre è Xue Manzi, un imprenditore con una dozzina di milioni di follower: per lui l’accusa poco credibile è di aver frequentato prostitute. Giovedì è toccata a Dong Rubin, noto per aver denunciato la morte di un detenuto che secondo le autorità del carcere si era rotto la testa «mentre giocava a nascondino con i compagni di cella». Venerdì un altro arresto eccellente: Wang Gongquan, milionario e membro del Movimento dei Nuovi Cittadini. Prima gli hanno chiuso l’account Weibo, poi hanno mandato venti poliziotti e lo hanno portato via per «disturbo dell’ordine pubblico».
La campagna per stroncare le «voci» sui social network è stata decisa al vertice: il presidente Xi Jinping ha detto al partito di mobilitare la macchina della propaganda, rendendola «efficiente come un esercito» per «conquistare il terreno dei new media».
Guido Santevecchi