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 2013  settembre 15 Domenica calendario

IL DEFICIT IN ORDINE? VALE UN BONUS DA 12 MILIARDI —

«Non ci sarà bisogno di nessuna manovra» ribadiscono al ministero dell’Economia, «quest’anno l’Italia starà con il deficit sotto il 3% del prodotto interno lordo», aggiungono. La regola che impone ai paesi dell’euro di stare sotto quel tetto nominale, a prescindere da come vada l’economia, «la rispetteremo e basta» puntualizza il presidente del Consiglio. Tra meno di una settimana Enrico Letta e Fabrizio Saccomanni lo scriveranno nero su bianco in un documento ufficiale, atteso anche in Europa per alleggerire la pressione sull’Italia. Un nuovo passo nella strategia del governo di creare sponda con Bruxelles per superare la difficile fase politica attuale, al tempo stesso assicurare i conti pubblici anche a beneficio dei partners, ma soprattutto guadagnare i margini per fare nel 2014 e nel 2015 una politica economica un po’ più attiva.
Se quest’anno l’Italia resterà fuori dalla procedura per i disavanzi eccessivi, da cui è appena uscita, tra l’anno prossimo e quello successivo avrà un “bonus” di bilancio di una dozzina di miliardi di euro. La spesa per il co-finanziamento nazionale dei fondi per i progetti europei verrebbe scomputata dal deficit pubblico. Anche dopo il 2015, e fino al 2020, ci sarebbe un risparmio annuo di 3 miliardi di euro, un buon pezzo di Imu. Per guadagnare quel bonus, però, bisogna stare assolutamente sotto il tetto nominale del 3% «virgola zero».
Venerdì prossimo il Consiglio dei ministri esaminerà e approverà l’Aggiornamento del Documento di economia e finanza della scorsa primavera, con la stima definitiva del pil atteso nel 2013 e nel 2014, ed il nuovo quadro dei conti pubblici, con il nuovo impegno al rispetto degli obiettivi Ue. Per quest’anno il rischio di sforamento del 3% è valutato dai tecnici di Palazzo Chigi e del Tesoro in termini «minimi». Tradotto, potrebbero essere 2-3 miliardi, magari tenendo conto anche dell’eventualità di dover rafforzare le coperture del vecchio decreto sull’Imu.
Coprire uno slittamento marginale è possibile anche con alcune manovre di carattere puramente contabile verso la fine dell’anno, posticipando di pochi giorni una o più spese di tesoreria, anticipando un’entrata. La vera preoccupazione del Tesoro e di Palazzo Chigi è l’andamento dell’economia reale, del pil, cioè del denominatore di quel benedetto rapporto del 3%.
Fino a pochi giorni fa c’era ottimismo sulla possibilità di ottenere il segno più, il primo dopo otto trimestri negativi, già nel terzo trimestre dell’anno. Poi i dati sulla produzione industriale di luglio hanno un po’ gelato le attese. Un ritorno anticipato della crescita, oltre a risolvere le tensioni sui conti di quest’anno, darebbe un ottimo spunto di avvio soprattutto per il 2014. E più margini per le politiche economiche che verranno definite con la legge di Stabilità. Un altro passaggio cruciale per il governo, in cui il confronto con la Ue sarà fondamentale.
La legge di bilancio del 2014 sarà varata dal Consiglio dei ministri nella settimana tra il 10 ed il 15 ottobre, subito dopo il rientro di Fabrizio Saccomanni dai vertici del Fondo Monetario a Washington, e approderà contemporaneamente in Parlamento e sulle scrivanie di Bruxelles. I margini di bilancio restano risicatissimi. Le riforme e i nuovi programmi vengono impostati a parità di gettito. All’inizio della nuova settimana arriveranno al Tesoro, e saranno discussi a Palazzo Chigi, i piani dei singoli ministri per il prossimo anno. Secondo le direttive avute da Letta e Saccomanni dovranno essere completamente autofinanziati, e ogni nuova spesa dovrà essere compensata da un taglio nella stessa amministrazione. Per la riduzione del cuneo fiscale, o comunque delle tasse sul lavoro, il governo al momento ipotizza un pacchetto di sgravi da 5-6 miliardi di euro. Altri 2-3 ne servono per dare fiato ai Comuni e ridurre, insieme alla riforma, le tasse sulla casa. E, più o meno, qui sono finiti i soldi: i margini sarebbero esauriti soprattutto se non ci dovesse essere una ripartenza rapida dell’economia. Resta il «bonus 3%», quei 12 miliardi, ma bisogna guadagnarseli.
Mario Sensini