Francesco Grillo, Il Messaggero 16/9/2013, 16 settembre 2013
RICALCOLARE LE PENSIONI PUO’ AIUTARE LA CRESCITA
Ha ragione il presidente della Commissione Ue, Manuel Barroso, quando dalle colonne del Messaggero ricorda che la situazione nella quale l’Italia si trova non è stata creata dall’Europa ma dall’accumularsi negli anni di errori commessi a livello nazionale. Le pensioni, che pure sono state una delle conquiste più importanti dello Stato sociale, si sono trasformate per decenni nel meccanismo più potente attraverso il quale - senza che se ne accorgesse nessuno - si è consumato un enorme trasferimento di risorse: a favore delle generazioni che erano rappresentate da chi decideva, e a sfavore di quelle che non erano ancora nate e non potevano difendere i propri interessi. Quello che pochi denunciano, però, è che le riforme di questi ultimi vent’anni, invece di intervenire sui diritti acquisiti di chi era stato già beneficiato, hanno prosciugato il trattamento futuro di chi ancora sta lavorando allargando ulteriormente la dimensione dell’ingiustizia.
Qualcosa, però, sta cambiando e, ad esempio, questo fine settimana alla festa del partito di Mario Monti che più di tutti ha fatto della battaglia sulle pensioni la sua bandiera, si sono moltiplicate le richieste di mettere in discussione i trattamenti per i quali ancora per tanti anni lo Stato continuerà a pagare molto di più dei contributi ricevuti e a imporre a chi lavora di finanziare l’errore.
Tuttavia, anche nelle proposte di chi vorrebbe accelerare il cambiamento si riscontra una forte sottovalutazione della dimensione del problema.Un problema che è anche l’opportunità più grande per aumentare il tasso di crescita potenziale dell’economia italiana che continua ad essere molto basso, come dimostra la scarsa reattività alla già debole ripresa europea. Leggendo l’ultimo rapporto dell’Inps si scopre che l’Italia spende in pensioni il 17,3% del Pil: una cifra più di tre volte superiore a quello che spendiamo in educazione, dalle scuole di ogni ordine e grado fino all’università. Spendiamo, cioè, in assegni destinati tecnicamente a chi non può più contribuire ad accrescere la ricchezza di tutti, quasi quattro volte quello che spendiamo nella preparazione di chi alla crescita dovrà dedicare tutta la vita.
È evidente che un Paese così non ha futuro, che qualsiasi discorso sulla crescita è esercizio retorico. Il confronto internazionale più stridente è quello con il paese che ha il sistema di welfare più robusto del mondo. In Germania la spesa per le pensioni è dell’11,8%. Questo non significa che gli anziani tedeschi siano trattati peggio di quelli italiani: secondo l’Ocse, in Germania sono molto meno numerose (l’8,4%) che in Italia (12,8%) le persone con più di 65 anni che vivono in uno stato di povertà. In teoria, se solo ci riallineassimo ai livelli di efficienza dei tedeschi, risparmieremmo cinque punti e mezzo di Pil – una cifra enorme rispetto alla più ardita delle proposte di revisione della spesa circolate in questi anni di complicatissime crisi – senza ridurre i livelli di protezione delle persone anziane. Del resto, pochi dicono che in Italia sono 20 milioni circa i percettori di pensioni rispetto ai 12,5 milioni di cittadini con più di 65 anni: ciò segnala che l’area del privilegio è molto più vasta di quella delle pensioni d’oro o di quelle dei parlamentari, e che a beneficiarne siano state intere generazioni. Abbiamo, in realtà, usato l’Inps per fare ciò che altrove si fa utilizzando risorse e competenze disegnate per combattere la disoccupazione e l’esclusione: questo errore semantico produce però le ingiustizie che stanno scollando questo Paese in corporazioni e generazioni vicine allo scontro tra poveri.
Se riuscissimo a conseguire in una legislatura anche solo la metà del risparmio potenziale, avremmo a regime 40 miliardi l’anno che sono sufficienti per poter, davvero, fare il miracolo: raddoppiare la spesa in educazione e moltiplicare le stime della crescita di lungo periodo; o in alternativa ridurre di un terzo il cuneo fiscale creando un poderoso incentivo ad assumere. Se volessimo, invece, lasciare il risparmio nell’ambito della spesa del welfare che in Germania pesa sul Pil quanto in Italia, avremmo risorse per garantire asili nido a tutti (fondamentale per consentire alle mamme di non uscire dal mondo del lavoro e alla società italiana di ricominciare a fare figli) e per un percorso di formazione a chiunque - non solo giovane – si trovi in uno stato di non occupazione. Non più un aggiustamento, ma uno shock, quello che le organizzazioni internazionali invocano per svegliare il Paese: è questo quello che varrebbe una riforma come quella che hanno fatto i tedeschi – gli stessi che molti italiani continuano a ritenere responsabili dei nostri guai - quando hanno messo mano al loro sistema di stato sociale. Invece, vent’anni di piccoli aggiustamenti del sistema previdenziale – il primo fu quello di Amato – hanno tutti eluso il problema: quello delle pensioni vecchie, con il risultato di non essere riusciti ad impedire un’ulteriore significativa crescita del peso del passato sul Pil, laddove diminuiva, invece, quello dell’investimento in futuro.
Non può essere l’incapacità dei sistemi informativi la barriera che ci impedisce di calcolare quanto l’assegno che riceve un pensionato è superiore ai contributi. E non può essere una sentenza della Corte Costituzionale a bloccarci: visto che le leggi sono nell’interesse di tutti, che il premier pone come sua priorità prima la modifica della Costituzione e che Giuliano Amato, tanto impegnato fino a pochi giorni fa sulla questione delle pensioni, ne è nuovo, autorevole componente. Chiediamo a questo punto, a lui, ad Amato, di fornire al Parlamento una consulenza di come la Costituzione dovrebbe essere modificata per poter affrontare quella che non è solo questione economica, ma di equità e, dunque, morale. Ridurre tutto a un dilemma non risolvibile tra crescita e rigore è sbagliato: si può ridurre la spesa pubblica senza ridurre il livello delle prestazioni, se se ne cambia la composizione. Bisogna, però, che chi governa riesca sul serio a dire la verità fino in fondo convincendo anche i privilegiati che sono finiti i soldi per finanziare un sistema arrivato al capolinea. Se davvero ha la volontà di offrire una soluzione e sfuggire alla maledizione che da vent’anni fa perdere le elezioni a chi si trova ad essere presidente del Consiglio.