Andrea Greco, la Repubblica 10/9/2013, 10 settembre 2013
Ha due logiche questa specie di follia. Una riguarda la banca di Siena, che in due settimane dovrà inventarsi un nuovo piano quinquennale di sangue con altri esuberi a migliaia, tra un anno tenterà di ricapitalizzare oltre il valore di Borsa (2,5 contro 2,33 miliardi, al tonfo di ieri) e dirà addio al passato senese, sia che l’aumento riesca - grazie a una pluralità di fondi stranieri o a una sola banca rivale - sia che al Tesoro tocchi nazionalizzarla
Ha due logiche questa specie di follia. Una riguarda la banca di Siena, che in due settimane dovrà inventarsi un nuovo piano quinquennale di sangue con altri esuberi a migliaia, tra un anno tenterà di ricapitalizzare oltre il valore di Borsa (2,5 contro 2,33 miliardi, al tonfo di ieri) e dirà addio al passato senese, sia che l’aumento riesca - grazie a una pluralità di fondi stranieri o a una sola banca rivale - sia che al Tesoro tocchi nazionalizzarla. «Ma se riusciamo a realizzare il piano - si dice tra le prime linee di Rocca Salimbeni - i nuovi investitori faranno un affare». L’altra logica riguarda i rapporti tra la gracile Italia e l’irruente Europa in fieri. «Se Mps non è la prova che l’Italia è già commissariata, e che sperimentano sulla pelle senese l’unione bancaria, ditemi voi - spiegava un banchiere d’affari londinese ai clienti ieri -. Ma l’Italia è così inerme che si fa commissariare da Bruxelles senza nulla in cambio: né aiuti, né fondi». Il perché dell’inerzia non risiede solo nel male della politica che attacca un paese in recessione permanente. Più protagonisti vedono in giro un clima di resa delle istituzioni: Consob, Bankitalia e Tesoro, a vario titolo lambite dallo scandalo dell’ex gestione Mps, non hanno dato il meglio di sé nel vigilarla, e oggi paiono prive di voglia e forza per porre condizioni a Bruxelles. In poche settimane hanno lasciato che il piano di riassetto della banca, perno che a marzo generò il Monti bond da 4 miliardi per tenerla in vita, fosse fatto a pezzi. Da riscrivere, per allinearlo alle istanze rigoriste che la Germania chiede ai paesi membri, e a una vigilanza bancaria unica che la Bce vorrebbe partisse senza macchie. Tutte istanze legittime, come pure il "bail in", principio che fa pagare agli stakeholder e non ai cittadini i crac bancari. Ma è il modo, che offende. Chi ha assistito ai frilli di Cernobbio del commissario Joaquin Almunia ha capito troppo bene. Dopo il summit lacustre con Fabrizio Saccomanni sul dossier Mps ha offerto ai giornalisti la linea dell’Ue su capitale, tagli, Btp del Monte. Neanche un funzionario del Tesoro, che pure ha messo i soldi (nostri) lo affiancava, mentre l’ad Mps Fabrizio Viola si faceva una doccia sconsolato nella stanza di Villa d’Este. L’indomani il Tesoro ha dettagliato le linee guida del nuovo riassetto Mps. Oltre alla forma c’era la sostanza: pochi i mesi per trovare 2,5 miliardi, e anticipare il rimborso degli aiuti di Stato. Un diktat diversissimo da tanti salvataggi bancari degli ultimi cinque anni tra cui Dexia, Ing, Commerzbank, Lloyds, Rbs, Hypo Re. Con tempi lunghi accordati a banchieri olandesi, francesi, tedeschi per rimettersi in sesto, e con magheggi contabili dei loro ministri per non computare nel debito pubblico gli attivi delle banche salvate. Sì perché il dossier Mps non è solo della concorrenza Ue: se la banca fosse nazionalizzata rischierebbe di gravare sui conti pubblici con i suoi 215 miliardi di bilancio, alterando i rapporti tra debito, deficit e Pil. Mps ha preso atto, come pure gli investitori, e tutti guardano al dossier come a una montagna da scalare dietro cui c’è una laguna. «Se riusciamo a realizzare il nuovo severo piano - ripetono i manager - chi punterà su Siena l’anno prossimo farà un affare». La storia da "vendere" è di taglio dei costi: per anni il territorio senese è stato viziato da Rocca Salimbeni, ma il vecchio piano contava già 4.600 esuberi. Purtroppo, e malgrado le proteste sindacali, se ne aggiungeranno a migliaia. Anche le condizioni di mercato potranno aiutare. "Mercato", perché il nuovo aumento da 2,5 miliardi dovrebbe andare sul mercato, aperto a tutti i soci (mentre la prima versione da un miliardo era riservata ai nuovi). Darà una mano quindi l’effettivo ritorno in positivo del Pil, e l’uscita del paese e di Piazza Affari dalle secche. Queste cose Viola e Profumo le sanno, e anche se sconforto e senso di solitudine a Rocca Salimbeni sono crescenti, non hanno intenzione di desistere. La ricapitalizzazione rinforzata, per paradosso, potrebbe invogliare nuovi compratori, perché - se riesce - allontana lo spauracchio della nazionalizzazione, e toglie voce a fondazione Mps, azionista poco glorioso che pare destinato a diluirsi dal 33% a circa il 5%. Il presidente, come già fece ai tempi di Unicredit, accarezza ancora la già espressa «pluralità di soggetti finanziari». Anche se ora non pare il caso di fare gli schizzinosi: se busserà una banca rivale sarà difficile fermarla. Anche se "il sistema", o quel che ne rimane, preferirebbe gruppi rodati - come Bnp Paribas che nel 2006 rilevò Bnl da Unipol - a banche emergenti tipo le russe.