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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I CONTI DISASTRATI


ROMA - Entra oggi in vigore la riforma che prevede il taglio di 1000 sedi giudiziarie tra tribunali, sedi distaccate, procure e uffici del giudice di pace. La misura era contenuta nei decreti legislativi 155 e 156 del settembre 2012 e viene applicata dopo il definitivo via libera ottenuto dalla Corte Costituzionale. Un provvedimento che ha provocato anche forti critiche e contro cui sono in atto diverse mobilitazioni.
A Sala Consilina, in provincia di Salerno, il caso più eclatante. Un uomo si è cosparso di benzina e ha tentato di darsi fuoco mentre protestava davanti al Palazzo di giustizia del paese. L’uomo è stato prontamente bloccato dagli altri manifestanti ma ha minacciato di riprovarci se entro 24 ore il ministro Cancellieri non darà una risposta positiva alle richieste dei manifestanti.
A Sulmona l’ordine forense ha attivato un presidio permanente all’interno del tribunale. Da lunedì gli avvocati inizieranno lo sciopero della fame. "Ribadiremo in ogni sede la grande mistificazione che si è perpetrata con la ’riforma epocale’ della geografia giudiziaria" dicono dal Comitato per la salvaguardia del Tribunale, prevedendo effetti disastrosi per la macchina giudiziaria.
In Calabria a Rossano (Cosenza) è stata bloccata la via d’ingresso al Palazzo di giustizia. Nella piazza davanti al tribunale sono state parcheggiate delle auto per evitare il passaggio di mezzi. All’ingresso del palazzo sono state ammassate delle sedie. Proprio oggi era previsto l’arrivo dei camion per il trasferimento del materiale dell’edificio nella sede di Castrovillari.
Manifestazioni anche a Pinerolo, in Piemonte. Una cinquantina di avvocati ha percorso il tragitto autostradale fino a Torino a passo d’uomo. La protesta si è conclusa con un presidio nell’atrio del palazzo di giustizia del capoluogo piemontese. La manifestazione si è poi sciolta spontaneamente.
A Camerino i dipendenti della ditta incaricata per il trasloco si sono trovati davanti una catena umana. Il blocco è durato cinque ore. Solo l’intervento di vigili urbani e carabinieri ha permesso ai facchini di riprendere il loro lavoro. A quel punto i manifestanti sono entrati nel palazzo e hanno continuato ad ostacolare i lavori per il trasloco.
A Potenza amministratori e consiglieri regionali hanno occupato la sala riunioni della giunta regionale della Basilicata insieme ai rappresentanti degli avvocati. In questo caso si protesta contro la chiusura del tribunale di Melfi. L’occupazione era stata preannunciata attraverso i social network. I promotori hanno spiegato che l’iniziativa continuerà fino a quando non arriverà una risposta dal ministro della Giustizia.
Proteste dagli avvocati. Risposta che difficilmente arriverà. Solo qualche giorno fa proprio Cancellieri aveva dichiarato che "la riforma deve andare avanti". "Non si può tornare indietro - aveva detto il guardasigilli - ce lo chiedono le istituzioni europee e la Banca Mondiale". Contro il Guardasigilli si mobilitano le associazioni degli avvocati. L’Oua, "Organismo Unitario dell’Avvocatura" ha chiesto le dimissioni del ministro "per la mancanza assoluta di volontà di confronto dimostrata" sulla riforma: un provvedimento che "porterà il prossimo 16 settembre al caos la macchina giudiziaria, che mette a rischio decine di migliaia di cause e che non produrrà alcun risparmio". Toni simili anche dal Consiglio nazionale forense (Cnf). Nel mondo dell’avvocatura emergono "ampie sacche di criticità, aggravate dagli effetti dell’entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria - protesta il Cnd -, tra cui l’incognita sulle date, sulla fissazione dei processi, i trasferimenti del personale in corso senza certezze, spese vive da sostenere senza indicazioni precise dei costi finali di tutta l’operazione".
Il Presidente dell’Anci, Piero Fassino ha invece chiamato in causa il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. In una lettera inviata a Via XX Settembre, il sindaco di Torino chiede "un intervento indispensabile a superare la grave crisi in cui versano i Comuni italiani in relazione alle spese degli uffici giudiziari". Fassino ricorda come queste spese ricadano sui bilanci degli enti locali, chiamati ad anticiparle per conto dello Stato e denuncia il mancato rimborso delle spese sostenute. La situazione ora secondo il sindaco di Torino si aggrava "per chi si trova a dover affrontare gli ulteriori costi all’accorpamento dei tribunali e delle sezioni distaccate sopprese".

REPUBBLICA.IT
MILANO - L’Italia torna nel mirino delle istituzioni europee. Prima la Bce che lancia l’allarme deficit, poi il monito dell’Unione europea. Ma Letta accetta la sfida: "Non sforeremo il 3% nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo". "L’Italia - ha detto il commissario agli Affari economici, Olli Rehn - ha avuto alcune turbolenze politiche, ma ora "si concentri sulle riforme economiche": per il ritorno alla ripresa infatti "è essenziale la stabilità politica". Anche perché entrando all’Ecofin al via in Lituania, il commissario Ue ha spiegato che "gli ultimi dati economici dell’Italia non sono buoni". La fiducia sul nostro Paese comunque non manca. "Il premier Letta e il ministro Saccomanni hanno ribadito più volte l’impegno a rispettare gli obiettivi di bilancio e a mantenere il deficit sotto il 3%, e abbiamo fiducia che il governo rispetti la parola perché è essenziale per il ritorno alla crescita", ha aggiunto Rehn al termine dell’Eurogruppo.
In generale, "Siamo ad un punto di svolta dell’economia dell’Eurozona, i dati sul Pil del secondo trimestre sono meglio delle attese, avremo una crescita più stabile nei prossimi mesi ma dire che la crisi è finita è prematuro, molti Paesi devono ancora fare riforme necessarie", ha detto il commissario, spiegando che i prossimi mesi saranno di "intenso lavoro", visto che a ottobre gli Stati devono presentare le finanziarie che a novembre Bruxelles valuterà
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: "Per l’Italia la cosa più importante è la stabilità politica". E il presidente ha annunciato un Eurogruppo straordinario il 22 novembre per discutere le prime valutazioni della Commissione Ue sulle leggi di stabilità che i Paesi della zona euro devono inviare entro metà ottobre. A preoccupare i partner europei sono i dati relativi all’economia che in Italia nel secondo trimestre ha registrato un calo dello 0,2% rispetto ai tre mesi precedenti.
Immediata la replica del presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta: "Ci attendono mesi molto importanti, per la credibilità e la serietà del nostro paese manterremo gli impegni rispetto ai nostri debiti, ma bisogna essere seri, non bisogna essere un paese che sembra essere sempre sull’orlo di un vulcano in ebollizione". Il premier italiano è convinto che non verrà sforato il deficit del 3%: "Ci sono tutte le condizioni" perché l’italia non sfori il tetto. Sono convinto che siamo tutti all’altezza della sfida", riferendosi all’allarme lanciato da Rehn. "Il tema del deficit - ha ribadito letta - è legato a una questione: mantenere stabilità e questo significa che i tassi scendono, che lo spread si abbassa, che il costo del debito è più basso e che stiamo dentro i parametri. Se viceversa c’è instabilità vuol dire che dovremo tenere conto della situazione diversa".
Ad alimentare le preoccupazioni, invece, contribuiscono anche i dati sull’occupazione rilevati da Eurostat che ha registrato un calo dello 0,1% nell’Eurozona nel secondo trimestre 2013 su quello precedente (-1% sul 2012). Nei 27 l’occupazione è rimasta stabile, mentre è calata dello 0,4% rispetto a un anno prima. In Italia il tasso è sceso dello 0,3% dopo il -1,2% dei primi tre mesi del 2013, ed è calato del 2,2% in confronto al secondo trimestre 2012.
Sul fronte dei Paesi in difficoltà, l’Eurogruppo ha stanziato altri 1,5 miliardi per Cipro che, in base al rapporto della Troika, sta proseguendo il programma di risanamento del proprio sistema bancario e dei conti pubblici per riportare il rapporto deficit/pil sotto il 3% entro il 2016. La tranche da 1,5 miliardi di euro dovrebbe arrivare, spiega la nota dell’Eurogruppo, "entro fine settembre, dopo l’approvazione formale da parte del board dell’Esm. Mentre il board del fondo monetario internazionale si riunirà il prossimo 16 settembre per decidere sulla tranche da 86 milioni di euro" anch’essa a favore di Cipro.
(13 settembre 2013) © Riproduzione riservata

L’ALLARME BCE
MILANO - La Banca centrale europea registra i segnali del miglioramento economico della zona euro e a sua volta alza le stime sul Prodotto interno lordo, sottolineando comunque che il recupero sarà "lento" nei prossimi mesi sulla scorta di "un progressivo miglioramento della domanda interna, sostenuta dall’orientamento accomodante della politica monetaria". E mette in guardia l’Italia sulla disciplina di bilancio, anche alla luce delle politiche decise dal governo che potrebbero rimettere sotto pressione gli obiettivi di finanza pubblica.
Conti pubblici, alert deficit. In un contesto generalmente positivo, per l’Italia si insinuano dei dubbi: il peggioramento del fabbisogno, dovuto soprattutto al rimborso dei debiti verso le imprese, "mette in risalto i rischi crescenti per il conseguimento dell’obiettivo di disavanzo" al 2,9% del Pil per il 2013. Al rimborso dei debiti della Pubblica Amministrazione, annotano gli economisti di Francoforte, si sommano anche le misure per compensare l’abolizione dell’Imu e il rinvio dell’aumento Iva. Secondo le informazioni aggiornate a luglio 2013, si legge ancora, il fabbisogno finanziario cumulato è a quota 51 miliardi di euro (3,3% del Pil), in aumento da quasi 28 miliardi (1,8% del pil) nello stesso periodo del 2012. Questo peggioramento, appunto, preoccupa. Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha precisato a riguardo che è una "preoccupazione condivisa dal governo".
Il peso di Imu e Iva. "In agosto - prosegue il bollettino - il governo ha annunciato, per l’anno in corso, l’abolizione della prima rata dell’imposta sulle abitazioni principali di proprietà. Il mancato gettito (pari a 2,4 miliardi di euro circa, ossia lo 0,1 per cento del Pil) sarà compensato mediante un contenimento della spesa e maggiori entrate. Sempre in agosto il parlamento ha deciso di rinviare di tre mesi, al 10 ottobre, l’aumento di 1 punto percentuale dell’aliquota ordinaria dell’Iva. Le inferiori entrate dovute a tale rinvio saranno bilanciate da maggiori accise su alcuni prodotti e da imposte dirette temporaneamente più elevate. Infine, è stato convertito in legge il "decreto del fare", che prevede una serie di misure intese ad accrescere gli investimenti in infrastrutture, semplificare le procedure burocratiche, aumentare il credito alle imprese (soprattutto alle piccole e medie imprese) e migliorare l’efficienza della giustizia civile".
Che si allarghino le maglie sul deficit, a Francoforte comunque non va giù: le nuove raccomandazioni Ue sul rientro dei deficit eccessivi contengono "ampie proroghe delle scadenze" e "un marcato rallentamento del risanamento". Per alcuni Paesi, come Portogallo e Spagna, si è ridotto il risanamento strutturale e "ciò potrebbe accrescere i rischi per la sostenibilità delle finanze pubbliche".
I conti dell’Eurozona. Per la fine del 2013, Francoforte si attende un saldo del Pil negativo dello 0,4%, ma tornerà a crescere nel 2014 con un tasso di espansione al ritmo dell’1%. Rispetto alle proiezioni dello scorso giugnoelaborate dagli esperti dell’eurosistema, il valore per il 2013 "è stato rivisto al rialzo di 0,2 punti percentuali per effetto, in ampia misura, dell’integrazione degli ultimi dati. Per il 2014 è stata invece effettuata una correzione di 0,1 punti percentuali al ribasso". Quanto all’inflazione, l’andamento dei prezzi è stato rivisto al rialzo all’1,5% per quest’anno e all’1,3% per il prossimo. A queste condizioni, "l’orientamento di politica monetaria resterà accomodante finchè sarà necessario, in linea con le indicazioni prospettiche fornite in luglio".
Lenta ripresa. L’economia dell’Eurozona è dunque uscita dalla recessione nel secondo trimestre e per i rimanenti mesi del 2013 e per tutto il 2014 l’attesa è di una lenta ripresa del prodotto interno lordo. E’ quanto scrivono gli economisti dell’Eurotower nel bollettino mensile pubblicato oggi. "Dopo sei trimestri con il segno negativo - si legge nel rapporto - nel secondo trimestre del 2013 la crescita del Pil in termini reali nell’area dell’euro ha registrato lo 0,3% sul periodo precedente. Tale incremento è in parte riconducibile a effetti transitori connessi alle condizioni meteorologiche nella prima metà di quest’anno. Da allora gli indicatori del clima di fiducia basati sulle indagini congiunturali fino ad agosto mostrano un ulteriore miglioramento a partire da bassi livelli, confermando nel complesso le precedenti aspettative del consiglio direttivo circa una graduale ripresa dell’economia".
Lo stesso Olli Rehn, commissario per gli Affari economici, ha detto che l’economia del Vecchio Continente "potrebbe essere a una svolta". Ma - come spesso accade - ha puntato il dito contro i "rischi significativi, fra cui l’instabilità politica in alcuni Paesi e la possibilità di passi indietro su alcune riforme". Anche in questo caso, il riferimento è all’Italia.
Disoccupazione alta, avanti con le riforme. Nell’area dell’euro, prosegue il rapporto, l’attività economica dovrebbe altresì beneficiare di un "graduale rafforzamento della domanda esterna di esportazioni". Inoltre i miglioramenti complessivi registrati dall’estate scorsa nei mercati finanziari sembrano trasmettersi via via all’economia reale, al pari dei progressi realizzati nel risanamento dei conti pubblici. A ciò si aggiunge che in tempi recenti i redditi reali sono stati favoriti da livelli di inflazione generalmente più bassi. Detto questo, la disoccupazione resta elevata nell’area dell’euro e i necessari aggiustamenti di bilancio nei settori pubblico e privato continueranno a gravare sull’attività economica. Tra le raccomandazioni della Bce, si ricorda ai Paesi dell’area dell’euro di continuare "a portare avanti il proprio programma di riforme". Dall’Eurotower si aggiunge: "I governi non dovrebbero vanificare gli sforzi già compiuti allo scopo di ridurre il disavanzo pubblico e riportare il rapporto debito/Pil su un percorso discendente".
Ocse. Altri dati sono arrivati dall’Ocse, e ancora c’è una menzione negativa per l’Italia: è il paese del G20 che ha registrato il maggior calo tendenziale del Pil nel secondo trimestre, con una flessione del 2,1% rispetto all’analogo periodo del 2012. All’altro estremo della classifica troviamo invece la Cina, la cui economia è cresciuta del 7,5% tendenziale nel secondo trimestre. L’organizzazione di Parigi sottolinea però come i dati congiunturali segnalino un rallentamento della recessione: il Pil italiano, contrattosi per l’ottavo trimestre consecutivo, risulta infatti sceso dello 0,3% rispetto al primo trimestre del 2013, quando l’economia era arretrata dello 0,6%.

CORRIERE.IT
Le istituzioni europee tornano a occuparsi dell’Italia: «Gli ultimi dati economici sull’Italia non sono buoni», ha avvertito stamane Olli Rehn. Secondo il commissario Ue agli Affari economici il nostro paese «ha avuto alcune turbolenze economiche e per questo si dovrebbe ora «concentrare sulle riforme economiche». La risposta del presidente del Consiglio Enrico Letta è arrivata poche ore dopo: «Ci sono tutte le condizioni perché non si sfiori il 3% - ha detto il premier - l’impegno è che «terremo i conti sotto il 3%».
FIDUCIA - . La fiducia c’è, ha detto il commissario Ue. «Letta e il ministro Saccomanni hanno ribadito più volte l’impegno dell’Italia a rispettare gli obiettivi di bilancio e a mantenere il deficit sotto il 3%», ha continuato Rehn. «Abbiamo fiducia che il governo rispetti la parola perché è essenziale per il ritorno alla crescita». Secondo Rehn però «la stabilità politica» è essenziale per la «ripresa economica». E sulla stessa linea si è detto anche il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem: «Per l’Italia la cosa più importante è la stabilità politica».
LETTA - «Non sono preoccupato - ha detto Letta - perché sono convinto che buonsenso e serenità alla fine prevarranno, perché ce n’è bisogno». «Il tema del deficit è legato alla stabilità». Stabilità politica che «vuol dire tassi che scendono e spread che si abbassa»: se la situazione fosse ribaltata, dunque con instabilità politica «vuol dire che dovremmo tenere conto di una situazione mutata». «Sono convinto - ha però detto il premier al termine della visita al cantiere di Expo 2015 - che saremmo tutti all’altezza della sfida».
CREDIBILITA’ - In mattinata il presidente del Consiglio aveva detto che per riacquistare credibilità serve «serietà di comportamenti», perché «una comunità nazionale che si è presa degli impegni deve mantenerli». «Il Paese è credibile se mantiene i suoi impegni, con serietà, per questo dobbiamo impegnarci per continuare ad essere credibili, non dare l’idea che ogni giorno si è sull’orlo di un vulcano in ebollizione». Proprio per questo i prossimi mesi saranno «molto importanti per il Paese. Bisogna essere seri per essere credibili e non dare l’idea di essere un vulcano sull’orlo dell’ebollizione». Il primo problema del Paese, ha spiegato Letta, è «il debito»: bisogna però essere credibili, «perché nessuno ci compra il debito se non lo siamo. Ma se non ci comprano il debito, non ce la facciamo». «Non è vero che non facciamo niente, facciamo una fatica enorme a tenere in piedi questo governo - ha continuato - Il nostro Paese si salva solo se ci sarà fiducia e la fiducia passa per la responsabilità di ciascuno di noi e la capacità di ognuno di fare la sua parte». «Siamo qui per lavorare perché la speranza e il futuro si declina con un Paese, che riprende ad avere una dinamica demografica diversa».
LE FAMIGLIE ITALIANE - «Le famiglie italiane», ha proseguito Letta, «hanno attutito l’impatto della crisi, hanno fatto sì che l’impatto sia stato meno invasivo e meno intrusivo rispetto ad altri Paesi europei pur essendo più pesante che in altri Paesi».

PEZZI DEL CORRIERE DI OGGI
MARIKA DE FEO
FRANCOFORTE — La Banca centrale europea vede la «ripresa graduale», ma avverte che i germogli della crescita sono «ancora molto verdi» ed esprime preoccupazione per il peggioramento dei conti pubblici italiani e i «rischi crescenti dell’Italia nel conseguimento dell’obiettivo di disavanzo delle amministrazioni pubbliche (pari al 2,9%), previsto nel 2013». Dopo una breve tregua, la Bce guidata da Mario Draghi è tornata a «bacchettare» il Belpaese attraverso il nuovo bollettino di settembre. È ancora recente l’uscita dell’Italia dalla procedura di deficit eccessivo inflitta negli anni scorsi, ma, fa capire l’istituto di Francoforte, potrebbe anche ritornarci.
Molto esplicito anche il commissario per gli Affari economici europei Olli Rehn. Il quale, da Riga, capitale della Lettonia, ha parlato apertamente di «rischi significativi, fra cui l’instabilità politica in alcuni Paesi e la possibilità di passi indietro su alcune riforme», che pesano sulla ripresa di Eurolandia.
Inoltre, entrando in dettaglio, il bollettino della Bce ha ricordato che i dati preliminari italiani di fine luglio riportavano un fabbisogno finanziario cumulato «di 51 miliardi di euro (pari al 3,3% del Pil), in aumento dai quasi 28 miliardi (l’1,8% del Pil) nello stesso periodo del 2012». Ma gli stessi dati, spiega sempre il bollettino con preoccupazione, sono poi «peggiorati ad agosto», con oltre 60 miliardi di fabbisogno cumulato, equivalente a quasi il doppio dello stesso periodo del 2012.
Secondo Eurotower, i rischi crescenti e il «peggioramento» in atto nel raggiungimento dell’obiettivo del deficit pubblico «sono dovuti soprattutto all’erogazione di sostegno al settore finanziario e al rimborso di arretrati». Come «l’abolizione della prima rata» dell’Imu e la decisione del Parlamento di rinviare di tre mesi l’incremento dell’1% dell’aliquota ordinaria dell’Iva, mentre i gettiti mancanti (2,4 miliardi dell’Imu) saranno compensati, rispettivamente, «da contenimenti della spesa, maggiori entrate» e «accise su alcuni prodotti e da imposte dirette temporaneamente più elevate».
Ma i banchieri centrali di Francoforte hanno puntato il dito anche sulle nuove raccomandazioni della Commissione europea, che «accordano ampie proroghe delle scadenze» sul rientro dai deficit eccessivi, di sei Paesi, ma soprattutto a Spagna e Portogallo, e accrescono «i rischi per la sostenibilità delle finanze pubbliche».
Le preoccupazioni di Eurotower non finiscono qui. Perché è in atto una «graduale ripresa», sia pure da un «livello basso», mentre lo staff della Bce ha aumentato le stime di crescita a un calo del Pil pari allo 0,4% e a un incremento dell’1% per il 2014. Ma le previsioni sono ancora gravate da «rischi al ribasso» e anche il presidente della Bce Mario Draghi, parlando da Riga, in Lettonia, ha espresso cautela sui «germogli della crescita ancora molto verdi». E per questo ha ribadito che «non abbiamo esaurito le opzioni di politica monetaria». Anche se, ha aggiunto, «siamo piuttosto soddisfatti di quanto fatto» dalla Bce, perché la frammentazione dei mercati, «sta rientrando». Ciononostante, «rimane ancora molto da fare per ripristinare la fiducia nelle banche».
Un passo in questa direzione è stato compiuto ieri dal Parlamento europeo, con l’approvazione dell’accordo con la Banca centrale europea per il controllo sull’autorità europea di vigilanza bancaria sotto il tetto della Bce. E nell’esprimere la sua soddisfazione per l’indubbio «passo avanti verso la realizzazione dell’Unione bancaria», Draghi ha sottolineato la necessità di «andare avanti» con i tasselli mancanti (riguardo l’autorità e il fondo di risoluzione delle banche, e il fondo di garanzia dei depositi, ndr ), nella costruzione di quella che «costituisce un elemento centrale di un’autentica Unione economica e monetaria».
Dopo il via libera del Parlamento la Bce può concentrarsi sulla creazione delle strutture necessarie al funzionamento del nuovo istituto (che conterà un migliaio di esperti) e procedere con i preparativi per l’asset quality review delle circa 130 grandi banche europee, i cui parametri saranno resi noti verso metà ottobre.
Marika de Feo

BAGNOLI
ROMA — La preoccupazione della Banca centrale europea sulla capacità di tenere il deficit sotto il 3% è «condivisa» dal ministero del Tesoro che in questi giorni sta lavorando ventre a terra per presentare venerdì prossimo in Parlamento la nota di aggiornamento al Def. Gli uomini di Fabrizio Saccomanni mostrano cautela, sono coscienti di ballare al limite del 3% ma hanno la responsabilità di ammettere che per loro la nota della Bce «non è un fulmine a ciel sereno». L’unica consolazione, forse davvero piccola, è che le parole di Francoforte fanno parte di un ragionamento su tutta l’eurozona, non si tratta insomma di una «uscita ad hoc solo per l’Italia». La sicurezza con cui l’altro giorno in Confindustria Saccomanni ha garantito il rispetto del 3% come base reputazionale sulla quale si costruirà il semestre italiano di presidenza della Commissione, lascia pensare che il tesoretto di cui si è parlato nelle settimane scorse derivante da una imprevista discesa dei tassi di interesse sia forse maggiore dei 9-10 miliardi di euro calcolati dagli analisti.
«I rischi di uno sfondamento del rapporto deficit-Pil sono ben chiari al governo — ha commentato ieri il ministro del Lavoro Enrico Giovannini — per questo abbiamo previsto la clausola di salvaguardia e un monitoraggio strettissimo da parte del ministero dell’Economia». Cruciale sarà la lettura della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) scritto sulla base di una stima di riduzione del Pil dell’1,3% purtroppo peggiorato all’1,6-1,7% in questi mesi. I tecnici di via Venti Settembre ricalcoleranno il totale delle entrate e delle uscite e la nota assumerà, in virtù della sua funzione da ultimo preconsuntivo su 8 mesi di consolidato alle spalle, l’architrave contabile sulla quale si costruirà politicamente la legge di Stabilità che dovrà essere pronta entro il 15 di ottobre per essere presentata in Parlamento e a Bruxelles.
I numeri e la politica. La Banca centrale europa non ha mancato di osservare come gli elementi che stanno facendo vacillare il rispetto del 3% sono la mole dei miliardi sdoganati per rimborsare le imprese dai crediti pregressi della Pubblica amministrazione (circa 50 miliardi entro il 2014) e gli ultimi provvedimenti per far saltare il pagamento dell’Imu sulla prima casa e lo slittamento dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22%. Saccomanni sia a Cernobbio che in Confindustria ha fatto capire come intende muoversi per racimolare le risorse che gli servono per rispettare gli impegni europei e nello stesso tempo per avviare la fase «sviluppista» con il taglio del cuneo fiscale come chiesto dai sindacati e dalle imprese nel Patto di Genova e promesso dal premier Enrico Letta al G20 di San Pietroburgo. Si tratta di giocare un nuovo affondo nella spending review con la nomina di una task force in grado di far dialogare i ministeri competenti, l’Istat, la Banca d’Italia e la Corte dei conti. E di riprogettare la valanga di agevolazioni fiscali secondo le indicazioni che in questi giorni stanno arrivando dalla commissione guidata dall’ex Bankitalia Vieri Ceriani.
Tempo per agire non ce n’è molto ma la sicurezza con cui si sta muovendo il ministro, in totale sintonia con gli gnomi di Francoforte e di Bruxelles, dimostra che i margini per stare sotto il 3% ci sono. Confindustria a giugno aveva ipotizzato uno sbandamento verso 3,2-3,4% e in questi giorni gli analisti di Citigroup vedono il rapporto ormai vicino al 4%. Scherzando ma mica tanto, Saccomanni l’altro giorno ha ricordato che il suo sbarco a Palazzo Chigi gli ha fatto capire che «la politica è la ricerca dell’impossibile più che l’arte del possibile», ma il suo compito è quello di farle coincidere, di far quadrare il cerchio. Per essere presente alla quadratura il capogruppo alla Camera del Pdl Renato Brunetta ha chiesto per l’ennesima volta a Letta di convocare la cabina di regia per le scelte economiche.
Roberto Bagnoli

di ANTONELLA BACCARO «Nel mese di agosto c’è stato un aumento sorprendente dei contratti a tempo indeterminato e a tempo determinato. Ci sono imprese che investono e crescono». Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ieri si è consentito un insolito accenno di ottimismo in tema di occupazione. Invitato in un talk show, ha poi precisato che il «governo, dopo anni ed anni di disinteresse completo, ha riformato i centri per l’impiego: l’Italia ha 7 mila operatori del settore, in Germania ce ne sono 90 mila, 100 mila in Inghilterra».
Insomma il ministro Giovannini mostra di sorprendersi non tanto e non solo perché ci sono dati sul lavoro finalmente positivi (certo, bisogna vedere anche quante sono state le cessazioni nello stesso periodo), ma soprattutto perché ci sono aziende che sembrano riuscite a trovare la manodopera nel momento in cui hanno cominciato a cercarla. E lo hanno fatto praticamente da sole.
Come ha spiegato bene Dario Di Vico sul Corriere del 5 settembre scorso, sono proprio i centri per l’impiego il «buco nero» dentro il quale scompare la ormai residua possibilità che domanda e offerta di lavoro in Italia s’incontrino. Col paradossale risultato di intermediare solo 3 assunzioni su 100. È stato spiegato che i centri seguono le sorti delle amministrazioni cui sono affidate, le Province, più o meno capaci di assolvere a questo difficile compito. E in questa situazione si è da tempo verificato il sorpasso delle agenzie private che hanno sviluppato un sistema di allocazione delle risorse umane più efficiente.
Se davvero siamo vicini a una ripresa, c’è un unico sistema per fare in modo che questa non sia asfittica e generi finalmente posti di lavoro: mettere mano all’attuale sistema del collocamento. Per non farsi trovare ancora una volta impreparati .

RITA QUERZE’ SUL CORRIERE DI STAMATTINA
«Mi rendo conto, si tratta di una scelta che rischia di farci apparire arroganti. Ma come possiamo affidarci alla giustizia italiana? I tribunali qui fissano udienze al 2018, 2019. Non possiamo permettercelo». A parlare è Michael McIlwrath, responsabile del contenzioso per General Electric Oil and Gas, la multinazionale che nei primi anni 90 ha acquisito il Nuovo Pignone. Quando in un contratto si tratta di fissare il foro competente in caso di controversie, GE non ha dubbi: meglio l’estero. E come lei fan tutte. Quella che per le multinazionali ieri era solo una scelta frequente, ora è diventata una prassi.
Ottima Londra. Benissimo Ginevra. Ben venga Vienna. Per l’arbitrato sempre più aziende puntano sulla nuova piazza di Singapore. Le multinazionali tedesche accettano Parigi. L’importante è che il foro competente in caso di contenzioso non sia in Italia. A taccuino chiuso le multinazionali parlano ancora più chiaro: «La vostra è una giustizia da terzo mondo. Già avete un fisco impossibile, una burocrazia che è un rompicapo. Se possiamo evitare i vostri tribunali, lo facciamo volentieri».
Le implicazioni per le controparti sono pesanti. Spesso si tratta di piccole-medie imprese che non possono permettersi l’onere economico e burocratico di una difesa in un tribunale straniero. «Con la crisi sopravvive solo chi lavora con l’estero. Di conseguenza negli ultimi anni il problema è diventato più evidente – conferma Paolo Galassi, presidente di Confapi Industria –. Le grandi imprese italiane non esistono più. E le poche sopravvissute fanno esattamente come gli stranieri: quando si tratta di litigare, ci chiedono di andare all’estero».
La difficoltà nella gestione del contenzioso tra piccoli e grandi risulta più evidente anche per un altro motivo: le liti aumentano, in generale. «Tre gradi di giudizio, lustri che passano senza un esito definitivo. Il foro italiano è evitato dagli stranieri? Mi stupirei del contrario – taglia corto Maricla Pennesi, vice presidente del comitato politiche legali della Camera di commercio americana in Italia –. Molto più logico scegliere Londra, la Svizzera, Parigi o Vienna». Capita anche che due imprese vincolate da un contratto particolarmente delicato preferiscano un foro neutro di una nazionalità terza. «Non mi risulta che l’Italia venga mai scelta come foro terzo. Una cartina di tornasole della nostra debolezza – aggiunge Vittorio Noseda, partner dello studio NCTM di Milano –. E’ vero, appena possono gli stranieri optano per un giudice estero. Il nostro vero limite, più che l’affidabilità delle sentenze, sono i tempi della giustizia».
In tutto questo, per fortuna c’è un’esperienza positiva da cui ripartire. Quella della Camera arbitrale presso la Camera di Commercio di Milano. L’unica vera camera arbitrale internazionale in Italia con una sessantina di contenziosi «sbrigati» ogni anno. «Siamo orgogliosi della credibilità che abbiamo conquistato presso le imprese – dice il segretario generale Stefano Azzali –. Certo, si tratta di un lavoro che abbiamo fatto in solitudine. E pensare che quando la Camera arbitrale di Parigi, un paio d’anni fa, era pronta a traslocare a Vienna il governo francese fece carte false per trattenerla...».
Dirimere in Italia il contenzioso tra impresa vorrebbe dire centrare tre obiettivi in un colpo solo. Rendere la vita più facile alle aziende di casa. Portare stranieri (e quindi affari) sul proprio territorio. Creare lavoro per avvocati, traduttori, stenotipisti. Ma il sistema Paese ancora non pare averlo capito.
Rita Querzé
rquerze@corriere.it