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 2013  marzo 12 Martedì calendario

DIARIO DELLA POLITICA IN PIAZZA


La Versiliana, Marina di Pietrasanta, 7 settembre, ore 12.40. Lorenza Carlassare, costituzionalista, è arrivata alla festa de Il Fatto quotidiano: «Scandaloso, è veramente scandaloso. Il governo ha creato una commissione di consulenti per modificare la Costituzione, la nostra Costituzione. Ci sono stata ben che vada un quarto d’ora, poi me ne sono andata». Applausoni. La dottoressa Carlassare si è scordata di spiegare perché avesse accettato di partecipare con entusiasmo a una commissione che denunciava ora come schifosa.

San Remo, Imperia, 9 settembre, ore 18.30. Silvio Berlusconi al convegno Controcorrente (Il Giornale) è atteso per lanciare da lì una bomba sul Paese. O forse, vedi mai, una corbeille di fiori. Le 350 persone, stipate nel teatrino rosso velluto del Casinò, non sono esattamente giovani di belle speranze. Una metà badante sostiene con amore la metà militante. «Lui viene? O non viene?». Lui non viene. Lo sostituiscono l’avvocato Maurizio Paniz e Magdi Cristiano Allam. La sala della nuova Forza Italia regge il colpo. Ma quanto sospira. Alla fila 8 la figlia cinquantenne dice al papa: te l’avevo detto io che non veniva. Alessandro Sallusti butta lì una speranza: «Magari viene domani. O dopodomani».

Mestre, 7 settembre, ore 19.30, Festival della politica senza politici, roba alta ideata da Massimo Cacciari. Gustavo Zagrebelsky: «La politica vive nella figura epica dell’Uroboro», il serpente che mangia se stesso ma poi si rigenera. Applausi incantati. Zagrebelsky affonda: «Un meccanismo nichilista costruito solo su se stesso senza un fine diverso». Altri applausi. Ecco palesarsi il progetto di democrazia costituente: l’Uroboro infilzato dalla toga. Il professor Cacciari, infastidito come sempre: «Viviamo in un costante stato di eccezione. Eccezione, per esempio, è il fatto che un leader politico vada a casa senza essere stato sconfitto politicamente...». Le parole scivolano sull’eco favolosa dell’Uroboro.

Importante considerazione storica da Marina di Pietrasanta. Paolo Mieli è ospite di riguardo: «State tranquilli, dopo la fine di Silvio Berlusconi non ci sarà nemmeno un ex berlusconiano in questo Paese, così come dopo Mani pulite non si è avuta più notizia di ex democristiani, o di ex socialisti. L’Italia ha la memoria corta». Ha fatto bene Mieli, in pubblico, a non porsi due domande: la prima, quanto fosse lunga la memoria propria, su Bettino Craxi e Berlusconi per esempio; la seconda, quanto abbia contribuito lui, in proprio, a scorciare la memoria degli italiani.
La Versilia è generosa con i rimbrotti. Michele Santoro spiega: «I comunisti amavano Stalin. Anche i più aperti al capitalismo, come Giovanni Amendola, se si trattava di scegliere la collocazione internazionale non avevano dubbi». Mentre lo stesso Santoro? Combatteva forse gli stalinisti alla testa della sua generazione? Insomma. Santoro ha fatto bene, in pubblico, a non ricordare come a quei tempi strapazzasse Amendola per manifesto tradimento dello stalinismo. E a tralasciare quel suo slogan giovanile così orgogliosamente scandito: «Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse Tung». Poi, certo, tutti evolvono, tutti si cresce, e Santoro più di altri.

Ricordi dolorosi per ricordi dolorosi, ce ne sono di recentissimi a destra, A San Remo, l’avvocato Maurizio Paniz ha la crudeltà di spiegare una fresca débâcle: la legge Severino votata dal Pdl ha fatto comodo soltanto a Filippo Penati, il nemico. Hanno votato una legge che condannava il Berlusca e salvava il Penati. È Sallusti a dirlo. Impietoso. Applausi? Applausi. Imbarazzo in teatro? Quel poco.

A Mestre, contemporaneamente, i cinquestelle contestavano Cacciari «politico della domenica». Ottavia Piccolo leggeva non per caso Savonarola. Il governo delle larghe intese è «una forma dell’antipolitica», ripeteva per la millesima volta Zagrebelsky. Mestre e Versilia, stessa lotta? Versilia e San Remo, stessa lotta? No, però...

Le larghe intese fortissimo non vanno: «Hai sentito Brunetta? Parla bene, poi nelle pesti restiamo noi» si brontola nel teatro del Casinò. Gli applausi si fanno scroscianti quando Magdi Cristiano Allam dice che l’euro ci ha impoverito, l’Europa è una dittatura franco-tedesca, bisogna riscoprire l’orgoglio nazionale. «Vedi, è più italiano Magdi Cristiano di tanti italiani veri» commentano le pantere grigie in sala.

A invocare la stabilità politica alla Versiliana compare una mosca bianca chiamata Paolo Scaroni, supermanager Eni cerimoniosamente intervistato da Antonio Padellaro e dal giovane Stefano Feltri. «Gad Lerner insinua che l’abbiamo invitato per trarre qualche vantaggio dai poteri forti. I no-stri-spon-sor-sie-te-voi» tromboneggia il direttore del Fatto rivolto alla platea. Sarà piuttosto La Repubblica, il giornale di Lerner, a insozzarsi con sponsor come Enel, Autostrade per l’Italia e Tim. Vero? Vero. E non sarà magari l’Eni un possibile sponsor del Fatto. Però una cosa è certa: il suo amministratore delegato non ha troppo sofferto, sotto i pini di Pietrasanta.

Una signora con bottiglietta vuota in mano si aggira ansiosa, cerca dove gettarla secondo i corretti dettami della differenziata. L’efficiente organizzazione della Versiliana non ha provveduto ai raccoglitori per la plastica, il servizio d’ordine rassicura, la getti pure in un cestino. Lei si rifiuta a un simile scempio. Antonio Ingroia, dal palco, sta tuonando contro «il ricatto piduista sulla Repubblica». La legge elettorale non si cambia con il voto, incita. No. Nelle piazze, se mai. Il popolo della festa, attentissimo al chilometro zero, al salvataggio del visone, ai diritti della carota, applaude. Le piazze, le piazze... Dimentica volentieri che il magistrato senza macchia e senza paura a cambiare le cose con le urne ci aveva provato. I risultati furono quello che furono. Dal megaschermo del collegamento Antonio Di Pietro si agita: troppi applausi al rivale trombato.

Esperienza e saggezza a sinistra: di Furio Colombo in Toscana e di Ezio Mauro in Veneto. Nessuna trattativa per cambiare la Costituzione, «con questa gente, con la gente del centrodestra, mai». Mai? Mai. È l’indicazione strategica di un uomo maturo come Colombo. Con loro non si discute, non si tratta, non ci si stringe neppure la mano. Nessun dialogo, nemmeno da parte del Quirinale. Questo ribadisce Mauro qualche centinaio di chilometri più in là. E mi raccomando: che i cittadini facciano sentire la loro voce. Stop. E giù applausi.

Esperienza e saggezza a destra, in Liguria. Questione assai curiosa. Il convegno di San Remo, che aspetta invano l’adorato Berlusconi, è unanimemente indirizzato a buttare nella spazzatura quello stesso governo che Berlusconi tenta fino all’ultimo di tenere in piedi. E al punto, ci tenta, da non venire a San Remo per paura che una sua parola in più possa farlo barcollare. Sono gli strani effetti provocati dalla pacificazione.
(ha collaborato Daniele Pajar)