Giuliano Aluffi, il Venerdì 13/9/2013, 13 settembre 2013
LAVORATORI ANZIANI? LE RICERCHE SONO ANCORA GIOVANI MA PROMETTENTI
Giardini pubblici di una grande città italiana, anno 2050. La scena sembra consueta: anziani che portano a spasso il cane o discutono serenamente sulle panchine buttando briciole ai piccioni. Ma a un certo punto, allo scoccare delle due del pomeriggio, si alzano tutti come un sol uomo commentando con rassegnazione la fine della pausa pranzo e ritornano in ufficio. Il lavoratore di domani sarà così, avrà i capelli sempre più bianchi. Altrimenti il mondo del lavoro collasserà su se stesso: «Oggi per ogni over 65 ci sono 3,5 individui in età da lavoro, nel 2060 ce ne saranno solo 1,7 (dati Eurostat). Se non si allunga il periodo di attività lavorativa, a fronte dell’allungamento della vita media e della crisi delle nascite, crollerà tutto.
La questione però non è solo politica, ma anche e soprattutto scientifica e tecnologica: siamo adatti a lavorare anche in età avanzata? Come dobbiamo riprogettare gli ambienti di lavoro?» si chiede Mark Cropley, docente di psicologia della salute all’Università del Surrey (e organizzatore di convegni sul tema) che sarà ospite il 20 settembre a Venezia alla conferenza internazionale The Future of Science. «Già entro il 2020 un terzo della forza lavoro europea avrà oltre 50 anni, siamo di fronte al più importante cambiamento nel mercato del lavoro» spiega Cropley. Lavorare più a lungo sarà una condanna o un’opportunità? «Da una parte è vero che lavorare oltre una certa età può aiutare la salute e la felicità, soprattutto quando si tratta di lavori che offrono un buon grado di socializzazione e rafforzano il senso di utilità delle persone» dice Cropley «ma da un punto di vista scientifico è più rilevante il fatto che i lavoratori anziani accusano di più la fatica e hanno bisogno di più riposo».
Sarà sempre più importante capire le necessità e le vulnerabilità dei lavoratori in un’ottica più personalizzata, superando la rigidità del modello odierno: «Lavorare per 5 o 6 giorni alla settimana, per una media di 40 ore, è inadatto ai più anziani: la settimana lavorativa ideale per gli over 60 potrebbe essere di 3 giorni, con 4 giorni per ricaricarsi. Oppure, tenendo presente che con l’età cambiano i ritmi di vita, ad esempio ci si sveglia prima, certi impieghi prevedranno una settimana di cinque giorni con lavoro solo al mattino».
La maggiore sfida per medici e fisiatri riguarderà la salute muscolo-scheletrica e quella cardiovascolare. Maggiore anzianità di lavoro significa anche maggiore esposizione a fattori di rischio, come posture scorrette o sollevamento di pesi: del resto il report Occupational health for the most vulnerable workers, pubblicato dal Parlamento Europeo nel 2011, indica che oltre il 70 per cento dei lavoratori over 55 accusa mal di schiena e dolori ai muscoli. «Superati i 40 anni, la massa muscolare tende a ridursi e con essa la forza fisica, che negli individui sani a 70 anni è ridotta del 20-40 per cento rispetto ai trentenni». Poi si riduce anche la densità delle ossa, con un aumento del rischio fratture: «Servirebbe più vitamina D, che l’organismo sintetizza grazie alla luce del sole, ma in genere chi lavora oltre i 60 anni lo fa al chiuso». Per questo diventerà ancora più importante di oggi l’uso del tempo libero. «Dovrebbe controbilanciare ciò che si fa al lavoro» spiega ancora Cropley. «Chi ha un lavoro indoor e sedentario dovrebbe, nel tempo libero, stare al sole e muoversi. Chi fa lavori manuali, a casa dovrebbe dedicarsi ad attività più passive e rilassanti».
Se si riuscirà a gestire in maniera intelligente questi fattori, quale sarà la marcia in più del lavoratore anziano? «Innanzitutto un vantaggio psicologico: gli over 50 sono meno vulnerabili alla cosiddetta ruminazione, ossia a quel continuo lasciarsi invadere, anche nel tempo libero, da pensieri stressanti, un fenomeno che si fa sentire soprattutto tra i 40 e i 50 anni. Più avanti cambia la filosofia di vita e si ha maggiore solidità». Oltre a una serenità – purché il lavoro sia vissuto come una scelta e non come una costrizione – dalle ricadute positive anche per gli altri: «Se gli ambienti di lavoro fossero soltanto ipercompetitivi, senza alcun tipo di collante sociale, lo stress a lungo andare diventerebbe insostenibile» osserva Cropley. «Avere dei colleghi che non hanno bisogno di sgomitare perché sono nell’ultima parte della loro carriera è rigenerante per tutti». Anche perché lo stress ha effetti serissimi sulla salute, come la sovrapproduzione dell’ormone cortisolo: «È un ormone catabolizzante, ossia intacca ossa e tessuti per produrre energia» spiega Cropley. «Quando è cronicamente alto, si riduce la massa magra del corpo e la densità delle ossa, si accumula più grasso viscerale e le cellule dell’ippocampo possono danneggiarsi. Studi come quelli dello psichiatra Charles Otte della University of California mostrano che le donne hanno una correlazione tra invecchiamento e produzione di cortisolo tripla rispetto all’uomo, forse perché la riduzione dei livelli di estrogeni, nelle donne in età più avanzata, favorisce il salire del cortisolo». Inoltre invecchiando cala il livello di melatonina, utile a regolare i ritmi sonno-veglia, e dura di meno la prima parte del sonno, quella dove il cortisolo è più basso. D’altra parte, però, almeno per certi lavori, passati i 55 anni si sta meglio.
«Philippe Kiss della Ghent University ha mostrato che i lavoratori tra i 40 e i 50 anni, e ancora più quelli tra i 50 e i 55, hanno un maggior bisogno di recuperare energie rispetto ai più giovani. Ma anche che, sorprendentemente, dopo i 55 anni lo stress si riduce» commenta Cropley. «Trarre conclusioni però è arduo, perché tutto potrebbe ridursi a quella distorsione statistica chiamata “effetto del lavoratore sano”: una specie di selezione naturale che fa sì che man mano che l’età avanza a rimanere occupati siano soprattutto coloro che hanno meno problemi di salute».
C’è ancora molto da studiare: di fronte a un fenomeno che oggi appare marginale – in Italia l’uscita media dal lavoro è di 61 anni per gli uomini e 58 per le donne – la scienza del lavoratore anziano è ancora giovane.
Giuliano Aluffi