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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

TRADIRE ISTRUZIONI PER L’USO


[Clemente Mastella]

Se ne sta a Londra, beato, con moglie, figlio e nipotino, a studiare l’inglese. Magari all’inglese ci poteva pensare un po’ prima, ma meglio tardi che mai e poi Clemente Mastella è uno che cerca, almeno, di non far mai dormire la testa e anche dai viali di Kensington si chiede, come molti, se quelli di Berlusconi («Spacco tutto, ammazzo il governo») sono veri ultimatum o, come è più frequente, graziosi penultimatum. «La mia tesi è che alla fine della fiera, quando il partito si schiererà al suo fianco e i suoi prometteranno di dimettersi da tutto in nome dell’amore per lui, lui compirà il beau geste permettendo invece la sopravvivenza del governo Letta in nome del bene del Paese».
Magari non c’è nemmeno bisogno del beau geste e i voti in Parlamento il governo li trova lo stesso.
«E certo. C’è il problema non dei franchi tiratori, ma proprio dei franchi franchi».
Sarebbe?
«Quelli che si richiameranno all’ideologia della responsabilità, responsabilità soprattutto nei confronti di se stessi e te lo dicono piatto piatto. Caro Berlusconi, ci dispiace tanto, ti siamo molto grati perché ci hai anche fatto eleggere, ma noi ce ne stiamo così bene qui al calduccio che ci vogliamo rimanere».
Nobili motivi occupazionali. Tutela del posto di lavoro.
«Anche. Ma non solo. Vuoi mettere fare il deputato o tornare a essere un ragioniere di Cefalù? Con tutto il rispetto per i ragionieri, e non solo di Cefalù. In fondo nulla è cambiato dalla vecchia Dc degli anni Ottanta».
La Dc dilaniata dalle correnti interne?
«E certo. C’erano i morotei, i dorotei, i basisti, e poi la corrente più solida e organizzata, i cazzimiei».
E che diavolo. Mastella, possibile che nemmeno lei riconosca un minimo di dignità a chi fa politica. Dov’è l’onore, dov’è la vittoria?
«Ma quale vittoria. Questi sono dei travet di periferia miracolati dalla Provvidenza. Berlusconi li ha messi in lista come tanti Scilipoti in Campania e in Calabria, ma mai pensava di vincere. E invece un pugno di senatori si è ritrovato lo scranno sotto al sedere senza nemmeno alzare un dito».
Lei va dicendo queste cose da giorni e qualcuno si sarà anche offeso.
«Ah sì. Mi hanno telefonato per dirmi che forse ho ragione, ma che i parlamentari pronti a mollare Berlusconi sono forse ben più numerosi di quanto uno può pensare».
Ah, traditori.
«Un momento, bisogna vedere».
E ti pareva.
«In politica possono esserci i traditori o quelli che fanno un’operazione politica che assume le sembianze di un tradimento, ma in realtà non lo è davvero. Per esempio quella che si realizzò con Cossiga e che permise a Massimo D’Alema di sostituire Romano Prodi nel ‘98».
Quell’episodio non rientra nella categoria tradimento?
«Macché. Quella fu un’operazione di valenza internazionale. C’era il problema dell’intervento nel Kosovo. Cossiga aveva parlato con un po’ di gente all’estero e fu chiaro che mandare gli aerei a bombardare Belgrado sarebbe stato più semplice con un governo D’Alema invece che con un governo di destra con i pacifisti in piazza tutti i giorni. Così Cossiga decise di mollare il centro destra».
D’accordo. Lei vuoi dire che fu una nobile manovra. Questi di oggi sono invece dei volgari sicofanti. Però evidentemente il tradimento paga.
«Mah, non saprei. Di sicuro chi tradisce ne ha un beneficio immediato, ma che svanisce piuttosto velocemente. È chiaro che nel primo periodo, coloro che hanno beneficiato del tuo tradimento ti coccolano, ti colmano di attenzioni, promesse e pacche sulle spalle. Dopo un po’ ti guardano con sospetto, non si fidano».
Per forza, non le pare?
«Chi ha tradito una volta può tradire di nuovo».
Appunto.
«Ti disprezzano».
Sei un infame.
«Però, ora, questi senatori che cincischiano, bisogna vedere come se la giocano».
Ci spieghi.
«Se sono determinanti a comporre una nuova maggioranza ma pensano solo alla pasta e fagioli di oggi, è un conto. Sono già contenti che non si vada a elezioni anticipate di cui hanno ovviamente una paura fottuta».
Oppure?
«Se trovano qualcuno che li guida possono trattare il loro appoggio e ottenere posti di governo o sottogoverno, no?».
I senatori inquieti sono quasi tutti del Sud. Lei pensa ci sia una propensione meridionale al tradimento?
«Beh, qualcosa del genere c’è. È un fatto di status sociale. Diciamo la verità. Un deputato al nord per strada non se lo fila nessuno. In un paese del sud è omaggiato e riverito. Conta di più. Al sud è chiamato onorevole e al nord se ne strafottono. Quando poi decadi sei davvero finito, non ti invitano più nemmeno per un caffè. Lasciare la poltrona è più doloroso al sud».
Meglio tradire.
«Non giudico».
Molto evangelico. In fondo anche lei un tradimentuccio sulla coscienza ce l’ha. Ha fatto secco il governo Prodi 2.
«Questa è la vulgata. Prodi sarebbe caduto comunque. I numeri erano già contro di lui. Veltroni del resto non lo sopportava più e anche la sinistra estrema lo avrebbe abbattuto presto. Si ricorda dei senatori Rossi e Turigliatto?».
Come no. Però ricordiamo anche che lei, caduto Prodi, passò immediatamente al Pdl di Berlusconi e nel 2009 fu eletto europarlamentare nel centrodestra. Come lo vogliamo chiamare questo?
«I miei colleghi di governo mi avevano abbandonato ai miei carnefici, politici e giudiziari. Fu il tradimento dei chierici politici nei miei confronti e non il contrario».
Ecco. E poi cosa le è successo? L’hanno chiamata traditore?
«Io mi sono ritirato, diciamo così. È stato un ritiro malinconico, drammatico, pieno anche di rabbia. Mi sono rimasti solo gli amici veri. Quelli che volevano far carriera politica, tutti spariti. E poi non sono stati più ricandidati da nessuno. Inghiottiti dal nulla».
E lei invece è ancora è lì.
«Tiè».
Luigi Irdi