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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

IL RICCO BUSINESS DI CHI FA CARTE FALSE PER DIVENTARE AVVOCATO


Nonostante gli avvocati in Italia siano 255.000 (300.000 con quelli che lavorano nella pubblica amministrazione), ben sei volte e mezzo la Francia (45.000), la debolezza delle norme che recepiscono le direttive europee in materia di circolazione della persone e della professioni sta creando una pericoloso ingresso di avvocati che evitano l’esame di Stato passando attraverso la Spagna e la Romania, che consentono di entrare più facilmente nell’Ordine e poi di “trasmigrare” in quello italiano. Fiorisce così un lucroso business fatto di società che vendono il “percorso” per arrivare all’agognato titolo di avvocato, immettendo però nel circuito “professionisti” che ingolfano ulteriormente il sistema e le cui credenziali restano tutte da verificare. Si crea inoltre un mercato delle illusioni di cui tanti giovani rischiano di restare vittime.
Una giovane laureata che ha saputo dire no è Iaria Fustinoni, della provincia di Bergamo. Ha conseguito il titolo a 25 anni alla Statale di Milano e dopo un periodo da praticante avvocato e molto studio ha superato il durissimo scritto dell’esame di Stato: «Avevo passato lo scoglio più difficile, poi però purtroppo non ho superato l’orale. Bisogna perciò rifare lo scritto, col rischio di non passare. In questo tipo di situazioni gli anni volano e anch’io, come tutti, ho bisogno di lavorare». Ilaria è stata avvicinata da due società che le hanno propoposto la “via spagnola”. «Una mi ha chiesto 30.000 euro, l’altra 20.000. Queste società di servizi si occupano di omologare il tuo titolo di studio in Spagna e di iscriverti all’ordine spagnolo come “abogado exercente”. Ti fanno firmare delle procure notarili perché là operano per conto tuo. Basta andare in Spagna una volta o due». Il contratto da firmare è oscuro: «Era un semplice formulario, in cui si impegnavano a fare le pratiche per omologare il titolo. Ma poi sorgeva un problema: una volta tornati si viene iscritti al registro degli avvocati “stabiliti” in Italia. Dopo tre anni arriva l’iscrizione all’albo, ma serve un avvocato o uno studio che ti tenga con sé a esercitare per tre anni in Italia. E queste società ti dicono: te lo troveremo noi dopo», spiega laria. vidente che qui nasce un secondo business: avvocati compiacenti che in cambio di denaro consentono agli “stabiliti” di figurare per tre anni in uno studio a prescindere che la pratica sia effettivamente prestata. «Per 30.000 euro ti garantiscono solo l’omologazione del titolo di studio in Spagna e ti preparano a un esame in spagnolo con domande a risposta multipla. E le spese non finiscono mai: c’è la doppia tassa forense in Spagna e in Italia, viaggi, alberghi, la pratica posteriore per tre anni non pagata. Alla fine ho detto di no, preferisco sacrificarmi e tenere duro per passare l’esame».
Come si comportano gli Ordini degli avvocati di fronte a questa situazione?
Il presidente del Consiglio dell’Ordine di Milano, Paolo Giuggioli, ammette la difficoltà a gestire l’ondata di richieste di iscrizione all’Ordine da parte di “abogados” che di nome fanno Rossi o Bianchi, spesso pluri-bocciati all’esame di Stato: «Attualmente gli abogados iscritti ai registri degli Stabiliti sono 250, solo qui a Milano. Una sentenza di Corte di Cassazione del 2013 ci obbliga a iscriverli se è tutto formalmente in ordine, ma abbiamo creato una Commissione di 5 persone che fa una valutazione accurata dei documenti e del percorso compiuto. È una situazione paradossale, se si considera che gli avvocati in Italia, compresi quelli che lavorano nel pubblico, sono circa 300mila. Urge una legge che, pur senza contraddire le direttive europee sulla libera circolazione delle professioni, ponga delle barriere, dei paletti precisi».

Le lacune del sistema. Oltre all’invasione degli abogados c’è un’altra emergenza: i laureati italiani ora tentano una via ancora più veloce di quella spagnola, quella romena. L’avvocato Enrico Moscoloni, segretario del Consiglio dell’Ordine di Milano, spiega: «Disinvolte società consentono l’iscrizione a un fantomatico ordine rumeno. Peccato che l’organizzatore, Pompiliu Bota, sia stato già oggetto di vari procedimenti giudiziari. Abbiamo segnalato il problema al consolato di Romania a Milano».
L’esame di Stato in Romania – per chi paga – è una passeggiata. Ma non i costi: fonti dell’Ordine parlano di somme oscillanti tra i 50 e i 100.000 euro. E si parla di un avvocato che è riuscito a portare in Romania fino a 500 persone in un colpo e a far sostenere loro l’esame lo stesso giorno dell’arrivo, lucrando cifre altissime grazie all’esistenza di un fantomatico Ordine parallelo cui vengono iscritti i laureati italiani.
Un avvocato giuslavorista di Verona, Giampaolo Perdonà, commenta: «Il nostro esame di Stato resta un baluardo nell’accesso alla professione ed è noto che ormai passa solo un 30-40% dei candidati, a fronte del 90% di coloro che in passato lo superavano facendolo a Reggio Calabria e a Catanzaro. Ora il problema viene dalla Spagna e dalla Romania: tutti noi conosciamo uno o due colleghi con questa storia. Spesso si tratta di persone che non hanno le carte in regola per esercitare una professione che resta comunque delicata».
L’avvocato Andrea Bulgarelli di Modena, autore di uno studio intitolato Avvocati a marchio Ce (o Cepu?), ha analizzato una interessante ordinanza del Tribunale di Verona (13 dicembre 2012) che poneva quesiti su questi strani percorsi: «La pronuncia del tribunale di Verona critica questa prassi. La norma Ue si presta ad abusi. Chi ha difficoltà a passare l’esame si fa ammaliare da società che omologano il titolo e iscrivono all’Ordine spagnolo dopo aver sostenuto un test a crocette. Per gli avvocati Stabiliti c’è poi un giro di studi che consentono la pratica, magari in cambio di compensi. Diversi Ordini e il Consiglio nazionale forense stanno contrastando questa pratica, ma l’Antitrust ha aperto una istruttoria sul tema. L’autorità garante si renda conto del problema: questi abogados non hanno sufficienti esperienze professionali né in Spagna né in Italia».

Finti professionisti. Il problema tuttavia non riguarda solo gli avvocati, ma anche altre categorie professionali. Tipico è il caso degli infermieri, una professione che fino a poco tempo fa ha visto una pioggia di arrivi dalla Romania, col riconoscimento automatico di titoli e percorsi di studio non sempre uniformi. Con la crisi gli italiani tornano a questo lavoro, ma si trovano di fronte a una concorrenza non sempre certificata. Ma non c’è solo il problema degli infermieri. Nelle periferie delle città italiane operano ormai ginecologi cinesi, ortopedici filippini, dentisti ucraini e romeni. “Professionisti” che di reale spesso hanno solo un camice bianco. Ma che offrono prestazioni a tariffe concorrenziali. Il problema è ormai sentito a Roma e in tante parti del Meridione (e non solo), dove le scarse conoscenze linguistiche degli immigrati favoriscono la creazione di un mercato di servizi parallelo a quello legale e riconosciuto dagli Ordini. Sempre più spesso Guardia di finanza, carabinieri e polizia individuano abusi. Come quello di una dentista filippina che lavorava a Centocelle e che è stata denunciata per esercizio abusivo della professione. O lo studio di Fiumicino dove lavorava una finta dottoressa ucraina. La crisi è tale che le cliniche dentali low cost che prima operavano all’estero stanno aprendo filiali in Italia per evitare anche il viaggio. Se questi sono il libero mercato e la concorrenza, Dio ce ne scampi.