Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 13 Venerdì calendario

L’INSPIEGABILE GERMANIA

La Germania appare spesso come un fenomeno inspiegabile. Tasso di disoccupazione al 5,3% – contro una media europea del 12,1% (dati Eurostat riferiti a luglio). Numero di occupati, 41,8 milioni, record storico. Le esportazioni volano. In effetti, c’è qualcosa di straordinario nella cosiddetta economia sociale di mercato tedesca. Sembra che Stato e società si muovano assieme: governo, parlamento, amministrazione pubblica, imprenditori, banche, sindacati; tutti rispettosi delle regole e dedicati al bene del Paese. Nella campagna per le elezioni del 22 settembre lo scontro politico (moderato) non manca. Ma, di base, prevale un senso di unità nazionale. In realtà, non è tutto così meraviglioso: l’eccezionalità tedesca è un fatto ma va qualificata.

LA SVOLTA NEI CONTRATTI
Le riforme del mercato del lavoro introdotte nella prima metà del decennio scorso dal governo di sinistra guidato da Gerhard Schröder, considerate la chiave del successo dell’economia, sono state una svolta: i disoccupati sono scesi dai 5,2 milioni del 2005 ai 2,9 di oggi. Una parte non indifferente di questo risultato è però dovuta al diffondersi – grazie alle riforme – di contratti temporanei e di salari molto bassi. Negli anni più recenti, i cosiddetti “minijob” hanno avuto un vero boom: quasi 7,5 milioni di tedeschi, in buona parte casalinghe e studenti, hanno oggi un posto di lavoro del genere, che permette di guadagnare 450 euro al mese senza pagare tasse. Posti che si conteggiano nelle statistiche dell’occupazione. Così come si conteggiano i lavori a tempo determinato, che in dieci anni sono quasi triplicati, a oltre 800mila: fino ai primi Anni Novanta, cioè alla riunificazione delle due Germanie, questa forma di occupazione era quasi sconosciuta. Nel complesso, i tedeschi che lavorano per un “basso reddito” – definizione che identifica un salario inferiore ai due terzi di quello medio nazionale – sono un quarto della forza lavoro. In certi servizi e in alcuni settori industriali, non è strano trovare lavoratori non qualificati (spesso immigrati) che guadagnano cinque euro all’ora.
Ciò non significa che il fenomeno tedesco sia fondato sui bassi salari: nell’industria tradizionale, quella d’eccellenza che si afferma sui mercati mondiali, è ancora vero il contrario. Significa però che sotto il mantello del successo economico del Paese quasi tutti lavorano ma non tutti prosperano. Nella Germania del consenso orizzontale, funziona: domenica 22 vedremo con quanta gioia.