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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

UN’EUROPA SEMPRE PIÙ NERA


In Polonia, nella regione di Lublino, c’è una Wall Street sotterranea dove i dividendi si staccano dalle pareti a colpi di dinamite e piccone. Per arrivarci bisogna percorrere una strada accidentata a un chilometro di profondità che è un groviglio nero di ascensori, tunnel, impianti di aerazione e binari per piccoli treni del sottosuolo. «Szczesc bose, che dio ti benedica», gli operai si salutano mentre infilano i candelotti esplosivi del nuovo muro di estrazione di carbone della miniera che garantirà il raddoppio della produzione e il 20 per cento del mercato nazionale. Tutto come un tempo. O quasi. Quaggiù non c’è più il canto dei canarini a segnalare la salubrità dell’aria, ma suona la campana del Listino di Varsavia. Perché Bogdanka Lubliesi spa è la prima miniera al mondo quotata al 100 per cento in Borsa. E secondo i principi del mercato ha imbastito un piano industriale per i prossimi tre anni che promette di far felici i suoi azionisti. O almeno questo è quello che si attendono i fondi pensione come Aviva e Ing, tra i principali investitori della società. Il 2012 è stato un anno complicato per Bogdanka, con 1,8 miliardi di zloty (360 milioni di euro) di fatturato, in lieve calo, pur mantenendo un utile netto pari al 19,4 per cento dei ricavi. Ma nei prossimi anni il piatto promette di essere ancora più sostanzioso.
D’ora in poi la cedola da staccare sarà pari al 60 per cento dei profitti, grazie a un piano di sviluppo che prevede, stando alle parole del vicepresidente Roger De Bazelaire, «l’espansione di nuovi giacimenti e un aumento della produzione da 7 a 12 mila tonnellate di carbone l’anno». Quotazione in Borsa, la nascita di una public company da manuale, un tentativo di scalata (fallito) alle spalle, ricche cedole in arrivo, una miniera che sponsorizza squadre di calcio e team motociclistici locali: il vecchio carbone in Polonia, a due passi dal confine con Ucraina e Bielorussia, si è rifatto il look.
«Siamo la miniera più sicura di tutta la Polonia», continua De Bazelaire, manager francese che si è fatto le ossa in diverse operazioni di privatizzazione nell’est Europa, «e anche la più efficiente, grazie a una gestione accurata di tutti i processi produttivi. Per migliorare i risultati contiamo di abbattere ulteriormente i costi operativi, anche grazie a progressive politiche outsourcing delle squadre che operano in miniera». Il nuovo corso di Bodganka, che fa storcere il naso ad alcune delle 18 sigle sindacali polacche, non è un caso isolato. Le vecchie miniere del paese, un settore che oggi impiega 100 mila persone e ha 32 impianti attivi per 16 miliardi di tonnellate di riserve, sono alle prese con una seconda fase di ristrutturazione difficilmente immaginabile qualche anno fa, quando si parlava di canto del cigno di "King Coal", derubricato come agente inquinante da museo e poco competitivo sul medio termine. C’è chi ha portato qualche quota delle miniere in Borsa, c’è chi come le aziende ancora di proprietà dello Stato, spesso travolte da bilanci in profondo rosso, chiedono salvataggio per poi puntare alla privatizzazione, e poi Bogdanka che ha abbracciato il mercato. Perché la Polonia, dagli antichi bacini della Slesia a quelli meno sfruttati di Lublino, è alle prese con l’ennesima svolta della sua storia. Il carbone costa poco, meno di 100 dollari la tonnellata. E la lignite, il parente ancora più povero e più inquinante, costa ancora meno.
L’energia che arriva nelle case e nelle industrie polacche è quasi completamente generata dalla combustione di carbone, fino al 90 per cento del totale. E il futuro sarà ancora nero. Il governo polacco presieduto dal premier Donald Tusk, forte di un tasso di crescita del Pil del 20 per cento negli ultimi 5 anni e ormai centro delle delocalizzazioni non solo industriali ma anche dell’It, spinge sull’acceleratore dell’energia low cost; dalle miniere alle centrali, non volendo sentir parlare di acquistare gas dalla Russia. E in cantiere ci sono aperture di nuovi impianti a carbone, come il megaprogetto da 3,7 miliardi di euro di Opole.
Il vento polacco sta scuotendo Bruxelles che ha reagito definendo i nuovi investimenti come "illegali", fuori dalle direttive europee e che seguiranno sanzioni. La Polonia ha firmato i trattati sulla riduzione delle emissioni impegnandosi a puntare anche sulle rinnovabili. Ma oggi a Varsavia fanno spallucce. Non solo perché il costo di compensazione sulla CO2 è in calo, a 7 dollari contro i 30 del 2006, ma perché King Coal è tornato a regnare ovunque. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia il carbone crescerà di almeno 500 mila tonnellate l’anno fino al 2017. Il che significa che la più inquinante tre le risorse energetiche aumenterà del 50 per cento nei prossimi anni.
A fare da traino non c’è solo la Cina, primo produttore mondiale, ma soprattutto l’Europa dove il carbone vale il 30 per cento della domanda di elettricità. «Il mercato energetico non fa sconti», dice De Bazelaire, «perché è il motore dell’economia e della competitvità. E per far girare questo motore abbiamo bisogno di combustibili a prezzi bassi. Soprattutto in Europa alle prese con la crisi economica. Per questo credo che Bogdanka diventerà un modello di efficienza anche per le altre miniere». Il principale alleato della svolta nera polacca è Berlino.
La Polonia consuma 77 milioni di tonnellate l’anno di carbone e il fabbisogno è coperto a malapena dalla produzione domestica. Varsavia tuttavia non è il primo consumatore del combustibile fossile del continente. In cima resta salda la Germania, che dopo la rinuncia al nucleare sta aprendo anch’essa nuove centrali a carbone, superando il 50 per cento di energia prodotta dal combustibile fossile. Il ritorno in miniera, sostengono gli analisti di Frost& Sullivan, ha però un mandante che è anche concorrente: lo shale gas americano. La ritrovata indipendenza energetica statunitense, grazie alle trivellazione dei campi di gas di scisto, ha scaricato sul mercato globale la produzione del carbone americano, facendo precipitare ulteriormente i prezzi. «Il carbone è tornato di nuovo popolare sebbene l’Ue intenda ridurre le emissioni di CO2 dell’80 per cento rispetto a quelle del 1990 entro sette anni», ha detto Harold Thaler, direttore settore industria di Frost&Sullivan. L’anno scorso i consumi, come le importazioni, di carbone sono cresciuti ovunque e a doppia cifra in tutta Europa. Del 24 per cento in Inghilterra, del 20 in Francia. E per paesi come la Polonia, cuore nero del continente, il problema sta nel rimanere competitivi nonostante l’invasione della materia prima low cost che arriva da oltreoceano.
Tutti d’accordo nel ritorno del carbone, tranne gli ambientalisti e un alleato insospettabile: Goldman Sachs. Mentre i tanti centri studi si affrettano a promuovere il carbone in prima classe delle fonti energetiche, gli analisti della banca americana ne hanno sentenziato la fine imminente, entro il 2020, sconfitto da gas ed energia solare, e da una sovraccapacità produttiva che renderà le miniere investimenti a sicura perdita. Chissà chi avrà ragione.