Vittorio Malagutti, l’Espresso 13/9/2013, 13 settembre 2013
SALVATE I SALVATORI DI ALITALIA
Distratti da problemi più gravi e urgenti, tipo le casse vuote e i debiti alle stelle, ai piani alti dell’Alitalia forse non ci hanno fatto troppo caso. Oppure è soltanto questione di giorni prima delle doverose dimissioni. Fatto sta che adesso, tra i consiglieri di amministrazione della compagnia c’è anche un latitante. Latitante in Svizzera, a Lugano, dove Paolo Ligresti si è rifugiato da metà luglio quando insieme al padre e alle sorelle è stato colpito da un mandato di cattura per i buchi in bilancio di Fonsai. L’erede di Salvatore Ligresti ha evitato il carcere grazie all’ospitalità della Confederazione, che gli ha nel frattempo concesso la cittadinanza elvetica. In Italia però non può mettere piede, pena l’arresto immediato.
Difficile, allora, che Paolo Ligresti possa partecipare alla prossima decisiva riunione del consiglio Alitalia, convocata per giovedì 26 settembre. Dopo mesi di duelli non proprio in punta di fioretto, gli amministratori di quella che fu la compagnia di bandiera nazionale sono chiamati a dare via libera ai conti semestrali, che potrebbero chiudersi in rosso per 200 milioni o forse più. Servono soldi il più presto possibile, meglio se subito, perché il patrimonio della compagnia è stato ormai quasi azzerato dalle perdite degli anni scorsi e di questi ultimi mesi.
I numeri descrivono una vera Caporetto. Nel 2009 i mezzi propri del gruppo superavano il miliardo di euro, somma raggiunta dopo l’intervento di Air France al fianco della cordata dei cosiddetti "capitani coraggiosi", gli imprenditori che nel 2008 avevano risposto alla chiamata dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e di Banca Intesa, all’epoca guidata da Corrado Passera. Il salvataggio gestito da Roberto Colaninno, con oneri per almeno 3 miliardi a carico del bilancio dello Stato, è andato a sbattere contro il muro della recessione internazionale.
Risultato: la dote miliardaria, garantita dai soci di partenza, tra cui anche Intesa, è stata spesa ormai quasi del tutto per ripianare le perdite. In più, a bilancio ci sono debiti (al netto dei crediti) per un altro miliardo. Di questo passo c’è il rischio concreto che gli aerei finiscano per restare a terra perché si è esaurito il carburante finanziario. Da qui l’esigenza di ottenere nuovi finanziamenti dalle banche, e anche, eventualmente, di negoziare un allungamento delle scadenze dei vecchi prestiti. Nel frattempo, l’amministratore delegato Gabriele Del Torchio (ex Ducati) in carica da sei mesi al posto di Andrea Ragnetti avrà il compito impegnativo di trovare la rotta per rilanciare il gruppo.
A questo punto però sembra molto difficile che i soci di Alitalia riescano a evitare quello che ormai rappresenta un passaggio obbligato verso il salvataggio della compagnia, il secondo in cinque anni. Nei prossimi mesi dovrà infatti essere varato un aumento di capitale. In altre parole gli azionisti saranno chiamati a metter mano al portafoglio per rifornire di mezzi freschi la società. Viste le premesse, non c’è da stare molto tranquilli. A febbraio quando Colaninno chiamò a raccolta i soci per finanziare un prestito obbligazionario da 150 milioni, le adesioni raccolte si fermarono a 95 milioni. Nella lista degli azionisti che si sono defilati spiccano alcuni degli imprenditori italiani proprietari di piccole quote, tra l’1 e il 3 per cento, come per esempio la Solido holding di Achille D’Avanzo e la Gfmc della famiglia Orsero. E non si ha notizia neppure che abbiano fatto la loro parte altri soci di maggior peso come la Fonsai ormai del gruppo Unipol oppure Carlo Toto, l’ex proprietario di AirOne girata a peso d’oro alla nuova Alitalia.
Se i vecchi azionisti non si muovono Colaninno e Intesa saranno costretti a guardare altrove per raccogliere capitali. Air France, che fino a un anno fa sembrava destinata a prendere il controllo del gruppo, adesso è alle prese con i propri guai di bilancio (1,2 miliardi di perdite nel 2012, altri 780 milioni nei primi sei mesi di quest’anno) e preferisce quindi stare alla finestra. Nei mesi scorsi si era parlato di un possibile interesse da parte di altre compagnie come la russa Aeroflot e la Etihad di Abu Dhabi. Anzi, secondo indiscrezioni, i contatti con quest’ultima compagnia sarebbero stati bloccati da Colaninno con il sostegno di Intesa. Di tutt’altro avviso era invece il vicepresidente Salvatore Mancuso, alla guida del fondo lussemburghese Equinocse.
Alla fine l’alleanza con il socio arabo vagheggiata da Mancuso con altri alleati in consiglio (tra questi l’immobiliarista Achille D’Avanzo) è stata accantonata. Non è detto però che, in mancanza di soluzioni alternative, anche quell’ipotesi venga rispolverata. Di sicuro la variegata compagnia dei "capitani coraggiosi" sembra destinata a perdere molti pezzi per strada. Alcuni, ormai la maggioranza, saranno costretti a chiamarsi fuori da una eventuale ricapitalizzazione più per cause di forza maggiore che per scelta strategica.
A ben guardare, infatti, il gruppetto di una ventina di imprenditori guidati da Colaninno è stato falcidiato da una vera epidemia di guai. Guai di bilancio, ma anche giudiziari. Almeno tre soci hanno subìto l’onta dell’arresto. Tra questi l’ex patron dell’Ilva Emilio Riva, che con il suo 10,6 per cento è l’azionista più importante di Alitalia, alle spalle di Air France. Anche Salvatore Ligresti, proprietario di un 4,4 per cento tramite Fonsai, è stato travolto dalle inchieste della magistratura che si sono sommate alle perdite di bilancio. L’Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, che possiede una quota dell’1,7 per cento, ha invece dovuto far ricorso al concordato preventivo per evitare il crack. Anche Caltagirone è stato arrestato e resta indagato per una maxi frode fiscale e per altre vicende edilizie.
Non se la passa bene neppure il deputato Pdl Antonio Angelucci, titolare dell’omonimo gruppo di cliniche private e attivo anche nell’immobiliare e nell’editoria, con i quotidiani Libero e il Riformista, che ha cessato le pubblicazioni. I finanziamenti pubblici ricevuti per le attività sanitarie così come per i giornali gli stanno costando indagini penali e della Corte dei Conti. Debiti in aumento e perdite in bilancio preoccupano anche altri azionisti come gli Orsero, D’Avanzo e i Carbonelli D’Angelo. Difficile allora che questi soci si mettano in fila per versare altri soldi nell’Alitalia in crisi. Il loro investimento di partenza, da pochi milioni fino ai 100 milioni e passa di Riva, è ormai andato in fumo. Qualcuno però allontana come può la triste realtà. Toto, per dire, valuta il suo 5,3 per cento 60 milioni. La stessa cifra messa a bilancio nel 2008, al momento del salvataggio. Da allora Alitalia ha mandato in fumo più di un miliardo, ma per Toto nulla è cambiato. Ottimista. O sognatore.