Nancy Porsia, l’Espresso 13/9/2013, 13 settembre 2013
STOP AGLI OLEODOTTI
[LIBIA]
La Libia è oggi costretta ad importare petrolio per scongiurare la paralisi energetica del Paese. Da circa un mese, file disordinate avvolgono i distributori di benzina a Tripoli mentre i black out sono entrati a far parte della quotidianità. A fronte della produzione di 1,4 milioni di barili di petrolio al giorno registrata lo scorso aprile, oggi la Libia conta una produzione giornaliera di 1.600 barili, esportati dal terminal di Brega, ad ovest di Tripoli.
Lo scenario stride con la quantità di oro nero che vanta la Libia, quinto paese esportatore di petrolio al mondo. Tuttavia l’attuale crisi energetica ha poco a che fare con i minerali che il Paese custodisce nel suo sottosuolo. Infatti il petrolio in Libia è al centro del braccio di ferro tra i poteri locali e regionali e il governo centrale. Il 17 agosto, i federalisti della regione orientale della Cirenaica hanno bloccato le attività dei terminal petroliferi ad est, accusando la società di Stato National Oil Corporation (NOC) di corruzione. Il modello dei federalisti dell’Est è stato ripreso prontamente ad Ovest, sotto la guida del clan degli Zintan, che accusano il governo di Ali Zeidan di essere infiltrato dai Fratelli Musulmani, artefici dell’attuale instabilità politica del Paese.
Presso gli impianti, i lavoratori sono affiancati dai miliziani armati, che con la loro presenza garantiscono la continuità delle proteste. Le perdite economiche stimate dalla NOC si aggirano intorno ai 5 miliardi di dollari. Una cifra significativa, se comparata al budget annuale del governo pari a 52 miliardi di dollari e quasi interamente dipendente dalle rendite dell’industria del petrolio.
Nancy Porsia