Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 13 Venerdì calendario

SE È PUTIN A DARE LEZIONI DI PACE


La campagna mediatica di Vladimir Putin ha preso in contropiede gli esperti di comunicazione della Casa Bianca. Il New York Times di ieri ha definito il capo del Cremlino “L’uomo del momento”. Non solo, Putin dialoga con il Papa, spiega come si possono risolvere i problemi del Medio Oriente oltre a quelli siriani. Accenna ai suoi problemi in Cecenia, che gli hanno dato saggezza sull’estremismo islamico. Pubblica un editoriale, sempre sul grande quotidiano americano, l’11 settembre, il giorno della ricorrenza del tremendo attacco che ha colpito l’America. Descrive i vantaggi del multilateralismo e i danni dell’unilateralismo. Arriva persino a criticare l’eccezionalismo americano: «È pericoloso convincere un paese della sua eccezionalità: siamo tutti diversi, nel nostro percorso democratico, nelle nostre culture, nei nostri valori, ma davanti a Dio siamo tutti uguali». Un colpo da maestro.
Così in questi giorni Putin, che ha favorito una legge antigay, che tiene i media russi in pugno e manda in galera i suoi avversari politici, diventa il messaggero della pace. Barack Obama, l’idealista, l’ex uomo del "yes we can", diventa il profeta della guerra.
È in questo contesto che si è aperto ieri a Ginevra il primo incontro fra il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e il segretario di Stato John Kerry. Si lavora per definire il linguaggio e gli obiettivi della risoluzione Onu che dovrebbe regolare il disarmo chimico della Siria. L’America potrebbe rinunciare al riferimento al capitolo 7 della Carta Onu che prevede l’uso della forza; Obama ha già chiesto ai suoi parlamentari di rimandare il voto per autorizzare il suo attacco alla Siria che gli avrebbe dato (se positivo) una mano più forte e carta bianca. Ha accontentato la Russia. Ma ora ci vogliono i risultati.
Il vecchio presidente Ronald Reagan, quando parlava di Russia e degli accordi con Gorbaciov, amava dire, «fidati, ma controlla». È il principio che a partire da ieri ha guidato la linea americana. Anche perché sono in molti a dubitare che l’operazione di disarmo di tonnellate di armi chimiche nascoste in mille depositi possa essere mai completata. Sicuramente non in tempi brevi. C’è chi dice che ci vorrà almeno un anno, anzi anni, per catagolare le armi con ispettori sul posto, rimuoverle caricarle sui camion, spostarle nei depositi del Palazzo di Vetro e poi distruggerle. John Kerry vuole indicazioni precise. Non si fida della Siria, che ha promesso di inviare la documentazione necessaria all’Onu per firmare i trattati contro l’uso di armi chimiche. E sono in molti a dire che l’operazione è una trappola.
Non è detto. Putin ha raggiunto l’apice della sua influenza. Ed è per l’America il garante del successo per il disarmo siriano. Putin non può permettersi di fare melina o di perdere la faccia per colpa di pasticci siriani. Ma questo lo sapremo in tempi brevi: l’Assemblea Generale dell’Onu si inaugura il 24 settembre.