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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

LA TEMPESTA È DIETRO L’ANGOLO


Sta per finire in Europa l’estate della stabilizzazione della paura: niente sorprese o strappi clamorosi, nessun evento drammatico sui mercati. Calma piatta in attesa del 22 settembre, delle elezioni tedesche che hanno fermato ogni alito di vento nell’eurozona. Dove emergono timidi segnali di ripresa economica: fragili, esposti ai sussulti della politica, ha avvertito l’altro ieri il presidente della Commissione Ue José Barroso. Comunque segnali.


Potrebbe allora diventare travolgente la tentazione di tirare i remi in barca, di dimenticare la crisi e con essa i sacrifici per uscirne risanati risanando l’euro.
Il dietro-front sarebbe un errore fatale, una mossa suicida per tutti. Ma soprattutto per l’Italia, la terza economia dell’eurozona che presto potrebbe ritrovarsi al centro di una tempesta quasi perfetta.
Perché resta la grande maglia debole della catena (insieme alla Francia che però continua, per ragioni politiche, a godere della speciale protezione tedesca) ma al tempo stesso è il paese la cui fattiva cooperazione è indispensabile per riportare fiducia e stabilità durature nell’unione monetaria.
Perché, nonostante le nostre dimensioni e il nostro mega-debito, siamo l’unico paese dell’arco mediterraneo che finora è riuscito a sfuggire alla gabbia dell’amministrazione controllata europea. All’irruzione della famigerata "troika".
Finita la tregua elettorale tedesca, formato il nuovo Governo a Berlino, potrebbe arrivare il momento della resa dei conti europei, del brutale richiamo all’ordine dell’Italia. Per la quale la strada del rigore nei conti e delle riforme strutturali non è un "optional" ma un obbligo ineludibile, che peraltro coincide con l’interesse nazionale prima che europeo.
Da giorni se ne avvertono i sintomi nell’aria. Lo confermano due nuovi avvertimenti arrivati ieri. Dalla Bce che, nell’ultimo bollettino mensile, esprime forti e chiari i timori di uno sfondamento a fine anno dell’obiettivo di contenimento del nostro deficit (2,9%), visto che il fabbisogno cumulato a fine luglio ha toccato i 51 miliardi (3,3%) contro i 28 del 2012. E dai mercati di nuovo nervosi, con lo spread che torna a crescere insieme ai rendimenti dei BTp.
Si prepara la riedizione del copione novembre 2011? La cronica instabilità politica rema contro decisioni che si impongono non solo per rispettare tabella di marcia e impegni europei ma per avviare davvero le riforme strutturali indispensabili per recuperare competitività e potenziale di crescita, i due pilastri in grado di assicurare la sostenibilità del nostro debito.
Finora si è fatto qualcosa sui conti ma non abbastanza, come denuncia la Bce, e non abbastanza sui tagli alla spesa pubblica. Poco o nulla invece sulle riforme. Che però sono diventate anche in Europa lo spartiacque per il rilancio economico, ora che anche a Nord va affermandosi l’autocritica sui danni prodotti dall’eccesso di austerità.
Con queste premesse, una caduta del Governo avrebbe conseguenze catastrofiche. Sia perchè, come ha messo in guardia il presidente del Consiglio Enrico Letta, avrebbe costi pesantissimi per imprese e famiglie italiane sia e soprattutto perché sarebbe quasi certamente l’anticamera del nostro ingresso nel club dei paesi a sovranità ufficialmente limitata.
«La Troika entra in un paese quando la sua classe politica ha fallito» sottolinea a Bruxelles qualcuno in contatto quasi quotidiano con le troike che di questi tempi si aggirano infaticabili tra Atene, Lisbona, Dublino e Nicosia.
È un modo indiretto per dire che nell’unione monetaria o i conti e i debiti, "fiscal compact" insegna, si mettono a posto decidendo da soli ma decidendo davvero, o le riforme si fanno ma sul serio oppure ci sarà qualcun altro, la Troika appunto, a farlo per noi. A quel punto, senza guardare in faccia a nessuno. Non è uno spauracchio teorico, è la realtà quotidiana dei paesi sotto programma.
L’Italia è «too big to fail». Per questo, da quando si è deciso che l’integrità dell’euro va difesa a tutti i costi, la questione italiana è diventata l’incubo inconfessato dei nostri partner. Le elezioni tedesche ci hanno concesso alcuni mesi di respiro in più: non ne abbiamo fatto il miglior uso, sprofondati come sempre nella cieca e sterile litigiosità della nostra classe politica. Il tempo è scaduto.
Potremmo presto pagare carissima l’insipienza collettiva. Salvo un soprassalto di intelligenza e volontà concreta , di cui per ora non si vede traccia. Oggi a Vilnius, alla riunione dei ministri finanziari dell’Eurogruppo, Fabrizio Saccomanni quasi certamente finirà sotto il torchio. Dovrà essere molto convincente nelle rassicurazioni. E poi nelle azioni del programma di stabilità di metà ottobre. Perché nel nord Europa e in particolare in Germania si respira la voglia matta di dormire sonni più tranquilli costringendo l’Italia sulla retta via. Una volta per tutte, con le buone o con le cattive. Paese avvisato...
Adriana Cerretelli