Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  settembre 12 Giovedì calendario

LA VERA POSTA IN GIOCO È IL NUCLEARE IRANIANO


Meglio bombardare la Siria oggi che l’Iran domani», sostiene Dennis Ross, ex consigliere per il Medio Oriente di Obama. Il vero obiettivo rimane Teheran: lo scopo di un possibile attacco militare contro Damasco è un messaggio agli ayatollah per far capire cosa li aspetta, dall’Occidente o da Israele, nel caso continuassero il programma nucleare di arricchimento dell’uranio.
Il pur temibile arsenale chimico siriano può essere utilizzato per massacrare ribelli e civili ma non rappresenta una minaccia diretta alla sicurezza internazionale o americana. L’Iran invece è una potenza ragguardevole e il regime con la repressione della protesta dell’Onda Verde nel 2009 ha dimostrato di essere saldo e capace di rigenerarsi con una nuova leadership. E lo spettro iraniano negli Usa è un argomento che funziona sempre, dal 1979, quando iniziò la rivoluzione islamica.
Quante chance ha la diplomazia di evitare uno strike americano e francese? Le premesse non sono incoraggianti. La proposta russa di far consegnare le armi chimiche a Bashar Assad è assai distante da quella della Francia: una risoluzione Onu vincolante, appoggiata da Usa e Gran Bretagna, che prevede entro un paio di settimane l’uso della forza in caso di inadempienza da parte di Damasco.
La risoluzione è concepita con l’intento di evitare che Mosca prenda tempo: è una sorta di ultimatum. Il documento ovviamente è già stato rifiutato dalla Russia che oggi a Ginevra discute un piano alternativo nell’incontro tra il ministro degli Esteri Sergei Lavrov e il segretario di Stato John Kerry.
La buona notizia è che l’incomunicabilità tra le due potenze è venuta meno, quella meno buona è che la crisi si gioca sul filo del rasoio e in pochi giorni. Se l’intenzione è seguire il percorso diplomatico servono approfondite discussioni in cui si tratterà su tutto, virgola dopo virgola. Ma è questo che vogliono Obama e gli Stati Uniti? Americani e russi hanno dimostrato di non fidarsi gli uni degli altri, altrimenti qualche sbocco in due anni l’avrebbero trovato.
La consegna e la distruzione dell’arsenale siriano è l’altro scoglio: è un’operazione quasi impossibile da attuare sul campo perché si sta combattendo una guerra feroce e gli ispettori dell’Onu dovrebbero essere accompagnati da uno schieramento di caschi blu per far osservare almeno un cessate il fuoco temporaneo. Il rischio è alto, con i miliziani pronti a sparare per far saltare l’intesa. Ma la questione strategica è la più inestricabile. L’obiettivo di Washington è cambiare i rapporti di forza sul terreno. Altrimenti che significa la punizione nei confronti di Assad se non avviare la liquidazione del regime alauita?
La soluzione diplomatica prolunga la vita a Bashar Assad e imbarazza gli alleati americani, dalla Turchia agli arabi del Golfo, che sulla partita siriana hanno puntato una posta altissima: smantellare la Mezzaluna sciita e iraniana in Medio Oriente, origine di tutta la vicenda.
Gli Stati Uniti forse non sono realmente interessati a una via di uscita politica ma questa volta Obama è stato più accorto, dando l’impressione all’opinione pubblica che la guerra si sta allontanando. Anche alla Casa Bianca prendono tempo, quello necessario a risalire nei sondaggi e superare le ostilità del Congresso: nel caso i russi non accettassero una risoluzione vincolante sarebbe più facile per il presidente americano presentare come ineluttabile l’attacco.
Il target è annichilire il potenziale di Assad che a Damasco ha già svuotato comandi e ministeri: le mezze guerre, anche quelle combattute senza schierare apertamente soldati sul terreno, non esistono e sono già perse in partenza. «Give peace a chance», cantavano John Lennon e la Plastic Ono Band ma non illudiamoci troppo.