Luigi Grassia, La Stampa 13/9/2013, 13 settembre 2013
L’ITALIA PUÒ VIVERE SENZA ACCIAIO?
Il gruppo Riva, che controlla anche la grande acciaieria Ilva di Taranto, chiude tutti gli stabilimenti. È un colpo grave per l’economia italiana?
Sì, se la chiusura sarà confermata il nostro Paese perderà una fonte importante di reddito, di occupazione e di introiti fiscali. Ci sarebbe da recriminare due volte perché quest’esito non deriverebbe da logiche di mercato (contro le quali c’è poco o nulle da fare), ma da problemi ambientali e vicende giudiziarie connesse.
Quanto è importante la siderurgia in Italia?
Forse si è diffusa l’idea che ormai noi italiani pesiamo poco, in un settore che (fra l’altro) viene percepito come non più all’avanguardia, meno tecnologicamente avanzato di altri. Ma in realtà l’Italia è uno dei grandi produttori mondiali di acciaio: è al secondo posto in Europa dopo la Germania e all’undicesimo assoluto. C’è stata una forte tendenza, nei decenni passati, a trasferire l’attività siderurgica dai Paesi sviluppati a quelli emergenti, ma da noi la produzione è cresciuta; ci sono state delle forti cadute legate alle crisi economiche, eppure il trend di medio-lungo periodo è stato positivo.
Che cosa dicono i numeri?
Nel 1990 in Italia sono state prodotte 25,5 milioni di tonnellate di acciaio (dato di Federacciai, cioè della struttura di Confindustria che ospita i produttori del settore), aumentate a 27,8 milioni nel 1995. Poi c’è stata una quindicina d’anni di crescita coronata dallo sfondamento di quota 30 milioni di tonnellate fra il 2006 e il 2008. Quindi nel 2009 è arrivato il crollo, traumatico, a 19,8 milioni di tonnellate per colpa della grande crisi economica globale. Ma già l’anno dopo si è assistito alla rimonta a 25,8 milioni e nel 2011 l’Italia ha migliorato le posizioni fondendo 28,7 milioni di tonnellate di acciaio. Nel 2012 purtroppo è tornata la recessione e il conto è sceso a 27,2 milioni, comunque lusinghiero, da settore portante della nostra economia.
Come stanno andando le cose nel 2013?
Male. Quest’anno la crisi nel settore si è sentita di più che nel 2012. Fra gennaio e luglio 2013 si è registrato ogni mese un calo rispetto al corrispondente mese del 2012, anche se la curva del regresso ha manifestato la tendenza ad appiattirsi, dal -21,6% di gennaio al -14,5% di luglio. La produzione cumulata fra gennaio e luglio nel 2012 era stata di 17,2 milioni di tonnellate, mentre nel gennaioluglio 2013 c’è stato un riflusso a 14,7 milioni. Andando avanti così, a fine anno potrebbero mancare da tre a cinque milioni di tonnellate e la produzione italiana scenderebbe a 22 o 24 milioni. Anche così ridimensionati resteremmo secondi in Europa e undicesimi nel mondo. Ma la produzione e l’occupazione del settore precipiterebbero nel baratro se davvero tutti gli stabilimenti nazionali del gruppo Riva venissero chiusi.
Qual è il panorama della siderurgia nel mondo?
I cambiamenti nel settore dell’acciaio sono stati drastici e questo fa apprezzare ancora di più la capacità delle nostre aziende di reggere le posizioni globali (finora). La Cina si è mangiata quasi tutto il mercato e adesso produce più di 600 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Fuori dai suoi confini restano grandi produttori (a lunga distanza) il Giappone con circa 150 milioni di tonnellate e gli Stati Uniti con un centinaio. Seguono India, Russia e Corea del Sud e poi la Germania, primo produttore dell’Europa occidentale, che in un’altra epoca storica fu numero due al mondo dopo gli Usa ma adesso si deve accontentare della settima posizione (con 32 milioni di tonnellate). La incalzano l’Ucraina, il Brasile e la Turchia, poi viene l’Italia insidiata da Taiwan (altri cinesi...) e dal Messico. Al 14° posto la Francia (che nella graduatoria del Pil viene prima dell’Italia). Non siamo messi male, ma sarebbe grave se ci distruggessimo da soli.
In che condizioni si trova l’Italia dal punto di vista dell’export?
Anche questo per noi è un aspetto lusinghiero. Il nostro acciaio è molto apprezzato nel mondo e di conseguenza quasi tutto quel che esce dagli stabilimenti viene esportato. Nel 2011 su 28,7 milioni di tonnellate fuse ne sono state esportate circa 20 milioni, con grande beneficio per la bilancia commerciale italiana. Ritorna il concetto: se per disgrazia le nostre acciaierie chiuderanno non sarà perché manca la domanda, tanto meno quella estera.
Come si è evoluta l’occupazione nel settore in Italia?
Almeno per ora non è stata molto influenzata dagli alti e bassi del mercato ma piuttosto dall’innovazione tecnologica. Nel 1990 l’acciaio in Italia pagava circa 56 mila posti di lavoro, poi ci sono state le razionalizzazioni che nel 1996 hanno fatto scivolare la cifra sotto i 40 mila. Da allora non ci sono stati altri tagli, anzi per qualche tempo il numero dei posti è tornato sopra i 40 mila. Di recente la forza lavoro ha ricominciato a erodersi, ma speriamo che si possa evitare il dramma delle chiusure collettive.