Marco Bardazzi, La Stampa 13/9/2013, 13 settembre 2013
TINA BROWN, STELLA CADUTA DEL GIORNALISMO AMERICANO
Geniale, glamour e superata. Tre parole per provare a riassumere il trentennale fenomeno Tina Brown e il suo epilogo appena annunciato: l’ex regina dei magazine newyorchesi molla l’editoria e l’addio ha ripercussioni molto più vaste di quel che sembra.
Tina era geniale. Nella memoria di chiunque abbia superato i 40 anni è rimasta la Demi Moore incinta di sette mesi, fotografata nuda da Annie Leibovitz e piazzata nel 1991 dalla Brown sulla copertina di Vanity Fair . Fu uno shock e un successo editoriale strepitoso che ha segnato per anni la cultura pop, americana e non.
Tina era glamour. Il critico dei media Michael Wolff ricorda quando la Brown, non ancora trentenne, arrivò a New York da Londra per prendere la guida di Vanity Fair : «Ogni giornalista e scrittore maschio nel mondo anglosassone prese una cotta per lei». Dettava legge nell’ambiente letterario, nella moda, tra le stelle di Hollywood e in tv. Quando passava tra i tavoli di Michael’s sulla 55° Strada, all’epoca il ristorante di quelli che contano nel media business di Manhattan, anche i vip giravano la testa per vedere con chi tra loro avrebbe cenato stavolta.
Ma Tina ormai era superata. Gli anni Ottanta e la New York delle «mille luci» di Jay McInerney erano il suo mondo. Gli anni Novanta li aveva cavalcati alla grande salendo di livello, con il passaggio dalla guida di Vanity Fair a quella del New Yorker , un’istituzione del giornalismo americano. All’inizio del nuovo secolo si era difesa bene, lanciando un nuovo magazine, Talk . Ma subito dopo aveva cominciato a perdere colpi. Il mondo stava diventando quello della rivoluzione digitale e lei era rimasta alle copertine patinate anni ’80. L’epoca di Tina era finita, cominciava quella di Arianna: a dettare legge non era più la Brown, ma la Huffington con il suo superblog.
Solo adesso però, a 60 anni, la giornalista britannica che aveva conquistato l’America si è definitivamente arresa. La sua è stata una carriera formidabile, dalla direzione del Tatler di Londra a quelle di Vanity Fair , New Yorker eTalk , al tentativo di sfondare nel mondo digitale con il sito Daily Beast, fino a quella che forse è stata la pietra tombale sul fenomeno Tina Brown: Newsweek . Il settimanale di informazione più importante degli Usa dopo Time si era fuso nel 2010 con il sito di Tina Brown, che ne aveva assunto la guida. L’impresa era ardua, perché Newsweek dopo ottant’anni di vita mostrava tutti gli acciacchi comuni tra i magazine cartacei in un’epoca digitale. Nel 2007 era ancora in attivo di 30 milioni di dollari, ma quando è passato nelle mani di Tina aveva perdite pari allo stesso ammontare. Era finita da un pezzo l’epoca delle costose copertine glamour firmate da Annie Leibovitz e finanziate da inserzionisti che non badavano a spese per fare pubblicità. Tina non l’aveva capito e la cura che aveva scelto per Newsweek lasciò sconcertati: la politica raccontata in chiave pop e tanta «leggerezza», su un settimanale che era celebre per il giornalismo d’inchiesta e i grandi reportage.
Fu un fiasco, sfociato in un evento che il mondo del giornalismo americano ha vissuto come un trauma: il 31 dicembre dell’anno scorso Newsweek ha cessato di esistere su carta ed è diventato solo digitale. E non era finita. All’inizio d’agosto la storica testata è stata venduta dal Daily Beast a una società semisconosciuta, IBT Media, che non ha ancora deciso cosa farne.
Tina ha dovuto definitivamente ammettere di non essere Arianna e ora si è fatta da parte. Lascerà il giornalismo per dedicarsi alle conferenze.
Cosa è andato storto? Secondo Mathew Ingram, ascoltato osservatore del mondo dei media digitali, la Brown non ha capito che il nuovo ecosistema «non è solo una faccenda di algoritmi: la guida deve darla ciò che la gente vuol leggere, non ciò che i direttori decidono debba essere la cosa di cui il lettore ha bisogno».
Ma l’addio di Tina Brown è una storia che va oltre le vicende di una firma leggendaria che ha perso il tocco magico. Perché è il culmine di un’estate in cui è sparito Newsweek , è stato svenduto il Boston Globe e Jeff Bezos, Mr.Amazon, ha comprato a un prezzo di favore un colosso come il Washington Post . Le mille luci di New York si stanno spegnendo non solo per la Brown, ma per un intero mondo editoriale. Mentre se ne accendono milioni di altre che prefigurano una nuova realtà, in gran parte ancora tutta da inventare.