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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

LA FINE DELL’EREDIT


È stato un pilastro dell’economia italiana, un modo di vivere e di progettare il futuro, il vincolo tra le generazioni. Ma adesso anche l’eredità, la casa del nonno dove passare le vacanze o da vendere se ce n’era bisogno, l’appartamento in città dove abitare una volta sposati, cambia faccia, si assottiglia, finisce in rosso. Da 95 a 75 miliardi: così è crollato il flusso stimato delle successioni di beni mobili e immobili dal 2000 al 2010. Gli anziani vendono la nuda proprietà della casa dove abitano (+ 40 per cento per questo genere di transazioni nel solo 2012, uno dei pochi indicatori in crescita sul mercato immobiliare) e hanno tutto il tempo di consumare il proprio piccolo o grande patrimonio dato che vivono molto più a lungo. Chi può magari se ne va (voglioviverecosi.com è il sito di suggerimenti per trasferirsi nei “paradisi dei pensionati”,ilBrasileoilKenya,doveconpochepretese e mille euro mensili si vive benino), chi non può dà fondo ai risparmi per pagarsi un’assistenza che né il sistema pubblico né i figli e le nuore sono più in grado di dargli. E caso mai si vendica nel finale, sposando chi lo ha accudito, come il novantenne grossetano che si è visto convocare dai Carabinieri perché i figli lo ritenevano “rimbambito”, o scrivendo testamenti segreti come il parroco dell’Appennino emiliano che morendo ha lasciato 800.000 euro alla signora rumena che badava alla parrocchia che poi si è vista far causa dalla diocesi.

Non mancano le alternative nobili, come i lasciti a enti benefici dei quali si celebra oggi la Giornata internazionale: in Italia sette grandi associazioni si sono unite in un network che ora promuove una campagna in favore dei testamenti solidali, basata su una ricerca Eurisko: un milione e mezzo di italiani è pronto a lasciare un buon ricordo di sé a chi ne ha bisogno. Come fecero del resto Giuseppe Verdi con la sua Casa di riposo per gli orchestrali a Milano, o Enrico De Nicola che morendo cancellò i debiti dei napoletani che si erano impegnati gioielli e corredo. «Sono i nostri testimonial — dice Rossano Bartoli, portavoce della rete che comprende Action Aid, Save the children, Lega del filo d’oro e Unicef — per diffondere una cultura che in Italia manca ancora e sfatare tabù e diffidenze. Lasciare qualcosa, anche poco, può voler dire salute e istruzione per migliaia di altre persone».
Più dei tabù, che pure impediscono a oltre due terzi degli italiani di fare testamento, ora a allarmare gli addetti ai lavori è la brutale riduzione del flusso di denaro che dal dopoguerra a oggi, e soprattutto dagli anni Sessanta in avanti ha costituito la base del benessere di milioni di famiglie. Alcune decine di miliardi letteralmente scomparsi dall’economia nazionale, forse sostituiti da altri rivoli che tuttavia non bastano a compensare l’emorragia. «Nel nostro paese — spiega Gabriele Noto, vicepresidente del Consiglio nazionale del Notariato — l’eredità di padre in figlio, e in tempi più recenti anche quella del coniuge che è diventato “legittimario” solo con la riforma del 1976, è considerata un diritto acquisito e inviolabile. Sia per chi deve lasciare, e ritiene naturale non essere gravato da troppe imposte, sia per chi deve ricevere e spesso avvia cause legali anche sanguinose se si ritiene leso (il record è di 35 anni per un processo civile a Palermo, ndr). Le spese per la successione sono tra le più basse d’Europa». Non è la paura delle tasse, dunque, ad aver fatto salire negli ultimi dieci anni il numero delle donazioni in vita, ma la necessità dei figli di ricevere quel che c’è, possibilmente prima di avere sessanta o settant’anni.
È l’altra faccia della medaglia: da un lato la “vendetta” di anziani che sono stati o si sentono trascurati, dall’altro la solidarietà economica verso figli assai più poveri dei padri. «Ogni volta che questo o quel governo discute di alzare la tassa di successione, le donazioni in vita si impennano — conferma Noto — Ma il vero problema è che il codice civile, pur ottimo, risale al 1942. Nel frattempo in Italia è cambiato quasi tutto, a cominciare dalle forme di famiglia. La nostra cultura giuridica in materia, molto diversa da quella dei paesi anglosassoni o scandinavi dove l’eredità è impossibile a causa del prelievo fiscale, si basa su un’idea di patrimoni mediopiccoli che passano di padre in figlio senza necessariamente doversi preservare per generazioni. Oggi gli italiani sono più preoccupati e vorrebbero pianificare in anticipo, abbiamo 75 sportelli gratuiti itineranti e la metà dei quesiti riguarda proprio questo».
C’è chi si separa e forma una nuova coppia ma non divorzia mai, con le inevitabili liti legali, chi ha paura di “finire all’ospizio” se rinuncia da vivo ai propri beni, chi (è il 26 per cento di quel milione e mezzo intenzionato a lasciare poco o molto in beneficenza) non ha alcuna intenzione di parlarne con i familiari. Così il discorso rituale ai figli che un tempo iniziava con “quando non ci sarò più…” è scomparso dalle cucine e dai salotti, e viene rinviato di anno in anno. «È una scelta egoista — osserva Marina Sozzi, che da anni studia il lutto e le sue forme e cura il blog sipuodiremorte. it — sia nei confronti degli eredi, che in mancanza di volontà chiare potrebbero litigare dopo la nostra morte, sia nei confronti della società. C’è poca comunicazione tra le generazioni in Italia, siamo più liberi ma anche più soli, come sostiene Bauman». Non è stato sempre così: «Nel Seicento e nel Settecento il testamento serviva a raccontare ciò che si era stati in vita, a cominciare dal proprio timore di Dio, accompagnato in concreto da generosi lasciti alla chiesa», ricorda Marina Sozzi. Che sottolinea: «Oggi invece si comincia a capire che nella società così com’è, con la vecchiaia lunghissima e l’eredità che arriva quando si è già vecchi a propria volta, solo il non profit potrà garantire forme di welfare adeguate. Per questo un’avanguardia sempre più nutrita comincia a ricordarsi col testamento delle associazioni che l’hanno assistita o di chi ha fornito cure palliative alla madre o al padre». Sono le donne, soprattutto, a lamentarsi online: «Ho sessant’anni, accudisco mia madre malata di Alzheimer, potrebbe diseredarmi?». La risposta è “no”: per la legge la quota legittima che spetta comunque al coniuge e ai figli varia tra il 50 e il 75 per cento, e quella disponibile anche con precise indicazioni può difficilmente superare il 25 per cento. Ma se l’eredità non c’è più perché la casa è stata venduta, o se quel 25 per cento è cospicuo, liti e delusioni si moltiplicano. E poi, che cosa succede con fidanzati, conviventi, primi e secondi matrimoni e ogni forma di coppie di fatto? Una revisione delle norme pare urgente, e potrebbe far ricomparire almeno una parte dei miliardi di euro scomparsi nella crisi e nel nulla. «Occorre ampliare e regolare la categoria dei “legittimari”, cioè di chi può ricevere, tenendo conto delle nuove forme familiari — dice Gabriele Noto — Oggi, inoltre, non è lecito che genitori e figli sottoscrivano patti in vita nei quali si afferma che determinate quote sono già state ricevute e altre andranno a compensare, e anche questo potrebbe essere cambiato, offrendo risposte alle preoccupazioni di molte famiglie». Nell’attesa però i nonni scelgono il fai da te: c’è chi vende le mura di casa, chi si sposa a novant’anni, chi regala a una onlus. Figli e vedove possono far causa. Ma non conviene: 1500 giorni, due anni e mezzo, è il tempo medio di un pronunciamento e la sentenza non è quasi mai decisiva.