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 2013  settembre 13 Venerdì calendario

LO SCHIAFFO DI LONDRA ALLE BANCHE TRICOLORI


NON sono tempi facili per le banche italiane. Come non bastassero i timori per le perdite sui prestiti offerti ai clienti e per l’esame della vigilanza europea che le aspetta, di fronte a loro si presenta una nuova trappola.

NESSUNO l’ha vista avvicinarsi, perché è sepolta in un codicillo di un regolamento di settanta pagine stipulato il 5 agosto a Londra. Ma quel passaggio sembra disegnato apposta per complicare l’accesso al finanziamento internazionale delle banche in Italia e obbligarle a spostare le loro attività nella City: l’opposto di ciò che serve ora che la materia prima essenziale per il paese è la fiducia.
Il regolamento in questione è stato redatto da London Clearing House Clearnet (Lch), la piattaforma controllata dal London Stock Exchange che garantisce gli scambi fra banche o grossi investitori. Lch è quella che gli addetti chiamano una «controparte centrale», un soggetto che si interpone fra chi offre e chi richiede certi titoli o del denaro e garantisce che nessuna delle parti perda soldi se l’altra fallisce. Alleata di Lch è Cassa compensazione e garanzia, l’entità che svolge lo stesso mestiere in Italia: entrambe sono parte del London Stock Exchange (Borsa di Londra o Lse), dato che l’intero gruppo Borsa italiana è controllato dai britannici dal 2007. Quella delle «controparti centrali» è la parte invisibile del sistema finanziario, la rete di condutture della liquidità di cui si dimentica sempre l’esistenza fino a quando non si rompe. Ma è attraverso questa rete che le banche si finanziano ogni giorno. Citi, il colosso di Wall Street, stima che in Italia gli istituti abbiano prestiti a breve termine per 70 miliardi di euro in ogni momento dato da parte di grandi banche globali come Morgan Stanley o JpMorgan. Il tutto intermediato da Cassa compensazioni, a fronte di titoli di Stato presentati in garanzia dagli italiani. Sono operazioni chiamate «repo» o «pronti contro termine», un flusso di denaro in prestito a scadenza di un giorno o di una settimana che permette alle banche di operare: senza di esso, il mondo del credito finirebbe in ginocchio in poche ore, in Italia come ovunque.
Il problema è ora che l’ingranaggio potrebbe incepparsi. Sono gli stessi manager della Borsa di Londra, in un atto di sottile sabotaggio, ad aver deciso di gettare sabbia nelle ruote italiane. La svolta prende la forma di una modifica alle norme che nel caso di «transazioni nel mercato italiano del reddito fisso» — si legge nel regolamento di agosto — spezza il legame decennale fra Lch di Londra e Cassa compensazione in Italia. Il gruppo della City annuncia che non interverrà più a garantire le banche globali impegnate nei prestiti a breve termine qualora la sua «alleata» (sic) italiana andasse in default. In altri termini, Londra non vuole più il rischio delle attività italiane che controlla. Così dissuade di fatto i grandi gruppi esteri dall’offrire prestiti a breve termine alle banche italiane, perché non sarebbero più garantite se esse si svolgono attraverso Cassa compensazioni.
È come sfilare il tappeto da sotto i piedi delle banche italiane. In un rapporto agli investitori, Citi sostiene che ciò può ridurre i prestiti e alzare gli interessi per il sistema creditizio tricolore e raccomanda di vendere Btp, bond e azioni degli istituti quotati a Milano. Per Unicredit o Intesa Sanpaolo sarebbe una strana nemesi: furono loro, in qualità di primi soci, a voler vendere il gruppo Borsa italiana al London Stock Exchange nel 2007 contro il parere di Mario Draghi e Tommaso Padoa-Schioppa (allora rispettivamente governatore e ministro dell’Economia). Fra l’altro, ciò rende più difficile per gli istituti usare titoli del Tesoro in garanzia presso Cassa compensazione per ottenere la liquidità di cui hanno bisogno.
A dire il vero, il mercato non se n’è accorto. I tassi sulle operazioni a breve termine da agosto sono persino scesi dallo 0,40% allo 0,26%. Per ora le banche non rischiano lo stesso credit crunch che le famiglie o le imprese subiscono da tempo. E potrebbero comunque sempre rivolgersi alla Bce, benché equivarrebbe ad ammettere di aver bisogno di una bombola ad ossigeno. Ma il rapporto di Citi trae conclusioni drastiche: «Lch Clearnet ha portato un colpo significativo alla posizione di finanziamento di molte banche italiane — scrive — creando potenzialmente pressione al rialzo sugli spread sovrani».
L’obiettivo di Londra è chiaro: proteggersi dal rischio Italia e spingere le banche del paese a venire nella City per finanziarsi. Ciò porterebbe in Gran Bretagna i guadagni su quelle operazioni invisibili ma svolte ogni giorno su scala colossale. In passato Lch aveva tentato di delocalizzare a Londra i fondi di Cassa compensazione, ma fu fermata dalla Banca d’Italia un anno fa. L’istituto centrale ha ingiunto a Cassa di mantenere i conti proprio in Via Nazionale e di investirli in titoli di Stato. Non è un caso: il portafoglio di Cassa vale ogni giorno fra cinque e dieci miliardi di euro ed è in grado di coprire un’asta del Tesoro anche nei momenti di massima tensione sui mercati. È una sorta di rete di sicurezza sulle emissioni di debito pubblico. Gianluca Garbi, fondatore di Banca Sistema ed ex top manager del gruppo Borsa Italiana, non nasconde l’irritazione: «Non so a cosa punti il London Stock Exchange — dice — . Ma non è la prima volta che prova a portare via i conti di Cassa e ha sempre fallito miseramente». Difendere le condutture invisibili del sistema finanziario diventa insomma un interesse vitale per le istituzioni. Sarà per questo che Londra ha scelto di sfidarlo nel momento della loro massima debolezza in Europa.