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 2013  settembre 11 Mercoledì calendario

LE VERE RAGIONI DIETRO L’IPOTESI DI MEDIAZIONE


Chi per una ragione chi per un’altra, nessuno davvero voleva questo bombardamento. E come è ovvio che sia, il bombardamento non ci sarà. Gli americani non verranno convolti, evitando ogni rischio collaterale di allargamento del conflitto ad altri soggetti. Senza fretta, le armi chimiche saranno sottratte al campo di battaglia e i siriani potranno continuare a massacrarsi fra loro, usando strumenti di morte più convenzionali e digeribili per il comune sentire internazionale.
Resta solo da capire a cosa abbiamo assistito in queste ultime tre settimane a Washington, a Mosca, a Damasco, Beirut, Gerusalemme, al palazzo di Vetro e al G20 di San Pietroburgo: a una reale tauromachia che aveva spinto il Medio Oriente sul ciglio del precipizio o a un ballo in maschera? L’idea di raccogliere tutto l’arsenale chimico siriano, trasportarlo in Russia ed eliminarlo davanti agli occhi degli ispettori Onu, a Mosca il ministero degli Esteri l’aveva avanzata una quindicina di giorni fa. Ma solo l’altro ieri Barack Obama, rispondendo a una domanda, diceva di essere favorevole a un conferimento alla Russia del gas siriano, se mai venisse proposto. E quasi nello stesso istante, a parte la differenza di fuso orario di 8 ore, a Mosca il ministro degli Esteri russo e quelli siriano avanzavano la proposta: quando si dice la coincidenza.
Perfino al Congresso di Washington hanno incominciato a preparare una risoluzione che approvi il bombardamento ma che dia tutto il tempo necessario alla proposta russa di essere realizzata: non si può fare in pochi giorni, sono almeno 50 le basi dotate di armi chimiche in Siria. Il bombardamento americano, teoricamente rapido e improvviso per essere efficace, assomiglia sempre di più al coro dell’Aida: la partenza è annunciata ripetutamente ma non parte mai.
Il sospetto, anche se è fantapolitica, è che russi e americani si siano messi d’accordo sin dall’inizio. Ognuno ha recitato la sua parte in libertà, i margini per la competizione e il vantaggio diplomatico non sono mai mancati. Ma il finale era già stato scritto: togliere le armi chimiche da un conflitto così pericoloso come quello siriano, nel quale il regime la tentazione l’aveva già soddisfatta più volte e i qaidisti potrebbero tentare di imitarlo con risultati se possibile ancora più disastrosi. Se la grande messinscena avrà successo, i gas usciranno di scena ma la guerra fra i siriani continuerà. Queste settimane non hanno offerto nulla che potesse servire alla loro riconciliazione.
In effetti non c’è niente che possa essere fatto in Siria per la Siria, oggi. Ma attorno sì. La proposta dei russi sulle armi chimiche è simile a quella avanzata nel 2009 per il nucleare iraniano: arricchire nelle centrali russe per scopi civili l’uranio iraniano. Ed è l’Iran la strada per un compromesso. Gli iraniani sono direttamente impegnati a fianco del conflitto siriano che rischia di essere il loro Vietnam: l’aiuto economico e militare garantito a Damasco è oneroso per un Paese sotto sanzioni da anni. Anche a Teheran vorrebbero vedere la fine di questo salasso che non dà garanzie di vittoria.
Ma più di una soluzione della guerra siriana, l’obiettivo dell’amministrazione Obama è agganciare l’Iran della rivoluzione islamica, dopo 35 anni di gelo assoluto. Cambiare l’equazione mediorientale che non porta ad alcun risultato, come Nixon e Kissinger avevano fatto con la Cina in Oriente. Allora, Nixon non aveva la presunzione di trasformare Mao in un sincero democratico. Oggi non è prevedibile che l’Iran possa diventare uno Stato laico per molto tempo. L’America deve costruire un dialogo con il Paese che c’è, come fu fatto con la Cina comunista. Quella fra Stati Uniti e Iran è l’unica vera Guerra fredda del mondo. Dissolverla ragionevolmente, offrirebbe l’opportunità di affrontare con maggiore ottimismo i nodi della regione: il nucleare iraniano, il conflitto siriano, le ambizioni di Hezbollah libanese, il disordine iracheno.