Andrea Morigi, Libero 11/9/2013, 11 settembre 2013
ERNA, LA VICHINGONA DI FERRO CHE VUOLE SNELLIRE LA NORVEGIA
A vederla, la premier norvegese designata Erna Solberg è il ritratto della vichinga. Tanto che gli esperti di comunicazione l’avevano giudicata «troppo grassa» per il ruolo di premier. Forse avevano dimenticato la silhouette di Gro Harlem Bruntland, che aveva governato tre volte fra il 1981 e il 1996 pur essendo piuttosto in carne. Ma alla sinistra, anche in Scandinavia, si tende a perdonare tutto.
Certo, la leader di Høyre (Destra) nel 2005, in effetti, aveva perso le elezioni, così come anche nel 2009. Poi, mentre lei cresceva di peso, anche politicamente, allo stesso tempo allargava la coalizione di centrodestra che lunedì ha sconfitto i laburisti guidati dal primo ministro uscente Jens Peter Stoltenberg. Le sono bastate poche mosse. Anzi, una. Semplicemente si è spostata al centro, a dimostrazione che l’agilità non sempre dipende dalle dimensioni.
I SOLDI DEL PETROLIO
L’unica vera cura dimagrante, ora, la imporrà all’assistenzialismo che pesa sui bilanci statali, magari togliendo alcuni ostacoli all’istituzione di scuole private e paritarie. Ad aiutarla, nel mantenimento delle promesse elettorali, saranno i 27 miliardi di corone (3,4 miliardi di euro) di proventi aggiuntivi assicurati nella prossima legge finanziaria dallo sfruttamento delle risorse petrolifere del Paese. Inoltre i rosso-verdi che hanno governato finora ne hanno utilizzati meno di quanti avrebbero potuto spenderne a fini sociali. Così lasciano in eredità ai successori altri 3,5 miliardi di euro di surplus. Ce n’è a sufficienza per accontentare tutti i partiti della nuova maggioranza. La Destra, che potrà evitare di applicare l’imposta patrimoniale; il Partito del Progresso, che potrà investire sulla manutenzione viaria abolendo i pedaggi autostradali; i cristiano popolari, che propongono di aumentare del 50% gli assegni familiari alle famiglie con prole; e infine Venstre (letteralmente e paradossalmente: la Sinistra) che intende raddoppiare gli investimenti sulla rete ferroviaria. Non sarà difficile mettere gli alleati intorno a un tavolo, specie se imbandito. Il primo incontro, con l’obiettivo di costruire la nuova squadra di ministri, si è svolto già ieri. Ma «un cambio di governo non ci sarà fino a cinque settimane da oggi» ha avvertito la Solberg, spiegando che la formazione del nuovo esecutivo «è un processo» e niente può essere considerato «concluso finché non c’è l’accordo definitivo» benché «abbiamo ottenuto un chiaro mandato per una nuova politica». Comunque, ha inviato un primo segnale agli altri partiti affinché non perdano troppo tempo nelle trattative sulle nomine: «Siamo d’accordo su un importante progetto comune e su una direzione nella quale tutti pensano che sia importante andare insieme. Tutti pensano che sia meglio così piuttosto che stare all’opposizione».
Insomma, ora si tratterà di tener fede al suo soprannome, Jern Erna, cioè «Erna di ferro», che la caratterizza senza farla troppo somigliare, se non per la stazza fisica, alla cancelliera tedesca Angela Merkel. Intanto, la cinquantaduenne ha già conquistato un primato: finora nessuna donna proveniente da Bergen aveva guidato un governo norvegese. L’ultimo suo concittadino a rivestire quella carica era stato Johan Ludwig Mowinckel, nel 1935. Ed è anche la prima conservatrice a sedersi sulla poltrona di primo ministro a Oslo. Perciò, potrebbe essere paragonata più alla scomparsa Margaret Thatcher, anche per il pragmatismo che la contraddistingue.
In precedenza, la Solberg era stata ministro degli Affari comunali e regionali, fra il 2001 e il 2005, nel governo di minoranza del cristiano popolare Kjell Magnus Bondevik. Proprio in quell’incarico, si era distinta per aver drasticamente ridotto i tempi per esaminare le pratiche dei richiedenti asilo privi dei titoli per ottenerlo. La sua riforma delle procedure di accettazione di immigrati, rifugiati e stranieri in cerca di permessi di soggiorno in Norvegia, in effetti, è uno dei fattori di maggior vicinanza al Partito del Progresso, guidato da un’altra biondona, Siv Jensen, che però stavolta ha perduto il 6,6% dei consensi, piazzandosi a un modesto 16,4%, con appena 29 deputati contro i 41 della scorsa legislatura. Un po’ del declino, secondo alcuni analisti, si deve all’effetto Breivik, l’auto - re della strage di Utøya del luglio 2011 il quale, prima di trasformarsi nel killer di 69 ragazzi, era transitato nel partito anti-immigrati, pur giudicandolo troppo moderato per i suoi gusti.
In ogni caso, fra le due leader, la competizione è accesa benché siano nello stesso schieramento. La Destra ha ottenuto un sorprendente, per quanto annunciato dai sondaggi, aumento del 9,6%, che la colloca al 26,8% con 48 parlamentari (+18). E lei ha festeggiato sobriamente, con un bicchier d’acqua, mentre suo marito si concedeva un bicchiere di vino, contro le tradizioni puritane.
RITORNO AL REALE
Il segreto del successo di Erna, felicemente sposata e madre di due figli di 16 e 14 anni, è la sua normalità. «Soluzioni autentiche a problemi autentici di persone autentiche» è stato il motto con cui ha riformato il proprio partito sonnecchiante dopo le sconfitte e, da quanto sembrava, definitivamente superato dal Partito del Progresso. Invece, la strategia del ritorno al reale ha sottratto terreno agli alleati e contemporaneamente ha messo all’angolo gli avversari laburisti, centristi e di estrema sinistra, privando entrambi degli strumenti principali della propaganda politica.
«Più ideologia, meno voti»,hanno deciso i norvegesi nella tornata elettorale che ha visto la maggior partecipazione alle urne dal 1997. E hanno premiato Erna, perché l’ha fatta finita con la retorica immigrazionista senza cedere al razzismo e con l’assistenzialismo senza smantellare lo stato sociale, ma guardando al futuro di un Paese che, per non aver mai aderito all’Unione Europea, ha ottime speranze di continuare a prosperare.