Antonio Ferrari, Corriere della Sera 12/09/2013, 12 settembre 2013
LO ZAR PUTIN TORNA IN MEDIO ORIENTE GRAZIE ALLA CRISI SIRIANA (E A OBAMA)
Almeno uno dei grandi leader del mondo ha ragioni di gratitudine nei confronti di Bashar al Assad, che tanti considerano un reietto, un delinquente, un criminale da ripudiare. È il presidente russo Vladimir Putin che in pochi giorni, grazie alla crisi siriana ha ricevuto, con gli interessi, quanto non era mai riuscito ad ottenere in anni e anni di potere assoluto, coltivato con piglio dittatoriale: l’attestazione di essere un credibile e abilissimo diplomatico.
La sua mediazione per disinnescare la pericolosissima mina mediorientale, che esplodendo avrebbe potuto trascinare il pianeta verso un conflitto globale, si sta rivelando determinante. E potrebbe essere davvero vincente, sempre che prevalga il clima collaborativo e disteso che si sta respirando in queste ore, dopo settimane di autentica paura.
Mosca e Damasco sono legate indissolubilmente da decenni. Almeno dalla guerra dei Sei giorni del 1967, quando le superpotenze si schierarono: gli Stati Uniti con Israele e l’Unione Sovietica con gli arabi. In realtà, non con tutti gli arabi. Il Cremlino aveva e ha conservato un rapporto speciale solo con Damasco. Al punto che, negli anni Ottanta, la Siria era considerata il satellite mediorientale dell’impero sovietico. Il rapporto non è cambiato dopo l’arrivo di Gorbaciov. Uno dei primi ambasciatori della perestrojka, Felix Fedotov, fu inviato proprio a Damasco e in un’intervista che mi diede per il Corriere disse che la Siria, «amico leale, seguendo le strade fondamentali del nazionalismo, dell’unità araba e del socialismo, aveva realizzato una felice osmosi tra l’educazione francese e le tradizioni mediterranee». Ma oltre queste considerazioni filosofiche, la Russia ha in Siria un’importante base navale, a Tartous, e quella di Damasco è l’unica via percorribile per rilanciare un ruolo di grande potenza anche nel Mediterraneo, ruolo che il crollo dell’Unione Sovietica aveva enormemente ridimensionato, rendendolo quasi irrilevante. Ora Putin ritrova l’amico di sempre e trova il modo (forse il pretesto) per presentarsi da protagonista.
In sostanza, la guerra che nessuno voleva, a cominciare da coloro che all’inizio l’avevano preannunciata (gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia), probabilmente non si farà più. La proposta di Mosca di porre sotto il controllo internazionale e poi di distruggere gli arsenali siriani di gas venefici è tale da poter essere salutata con soddisfazione. Se a questo si somma la richiesta a Damasco di aderire alla Convenzione di Parigi sulle armi chimiche del 1993 (che la Siria non aveva sottoscritto), si può dire che è diventata inutile la presenza delle navi da guerra che, nel Mediterraneo orientale, già avevano caricato i missili per colpire.
La «piena disponibilità» espressa dal ministro degli Esteri siriano Walid Moallem ad accettare la proposta russa è la prova che finalmente è stata imboccata la strada per risolvere questa crisi. Non certo per risolvere il gigantesco problema rappresentato da una guerra civile feroce, già costata decine di migliaia di morti (forse centomila), quasi mezzo milione di feriti, quattro milioni di sfollati e due milioni di profughi, fuggiti nei Paesi vicini. Sarebbe però esiziale limitare gli anatemi al conteggio delle vittime del gas, che sono una minima parte del bilancio di un conflitto devastante. Non si può infatti condannare l’utilizzo del sarin (senza sapere con certezza chi l’abbia usato: se il regime o i ribelli), ritenere accettabili gli altri strumenti di morte ed evitare di accogliere l’appello di papa Francesco contro i commercianti illegali di armi che si moltiplicano a ogni guerra.
La vittoria diplomatica di Putin, nonostante i dubbi affiorati nel G20 di San Pietroburgo, rende ora meno decisivo il voto del Congresso, al quale il presidente Barack Obama ha chiesto il consenso a prescindere dalla risoluzione che si sta prospettando al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Tutto sommato, a ben vedere, l’aiuto di Mosca potrebbe servire allo stesso presidente americano, quasi a far ritenere che vi sia stato un abilissimo gioco delle parti. Infatti, poco prima dell’annuncio del Cremlino, era stato il segretario di Stato, John Kerry, a prospettare che soltanto la consegna dei depositi di armi chimiche alla comunità internazionale avrebbe potuto impedire l’attacco.
In questo nuovo clima, dopo la grande paura, potrebbe essere rilanciata la possibilità di giungere finalmente a una conferenza internazionale per mettere assieme le parti, privilegiando i moderati ed escludendo gli estremisti. Se avverrà, si potrà dire che questa crisi è stata persino salutare, e il riconoscimento a Putin sarebbe più che meritato.
Antonio Ferrari