Giovanni Caprara, Corriere della Sera 12/09/2013, 12 settembre 2013
MA I GHIACCI DEL POLO NORD SI STANNO SCIOGLIENDO OPPURE NO?
Per i ghiacci dell’Artico i dati appaiono a prima vista contrastanti: crescono o calano? Ora siamo nella stagione della riduzione e settembre è il momento che segna la minima estensione. Quest’anno, secondo le rilevazioni della Nasa, la superficie perduta non sarà da record come accadde l’anno scorso quando si è scesi ben al di sotto della media scandita tra il 1981 e il 2010, non raggiungendo neanche i quattro milioni di chilometri quadrati. Era il peggior valore registrato dagli anni Settanta.
Nel 2013 l’estensione misurata è poco sopra i cinque milioni di chilometri quadrati, comunque un milione in meno rispetto alla media di riferimento degli ultimi trent’anni. Il recupero sembrerebbe suggerire che le cose non vanno malissimo però nemmeno bene come si vorrebbe.
Ma ieri sono emersi i primi dati sui volumi dei ghiacci artici che invece tagliano gli entusiasmi, se qualcuno riesce ad averli. Gli scandagli del satellite Cryosat dell’agenzia spaziale europea Esa, costruito e lanciato proprio a questo scopo, certificano che il 2013 segna il record di minor volume dei ghiacci artici: meno di 15 mila chilometri cubi, la quantità più bassa degli ultimi tre anni. Quindi la consolazione arrivata da una ripresa dell’estensione viene cancellata dalla rilevante perdita del volume. La conseguenza è ancora più grave di quanto possa apparire da un confronto di cifre. E la ragione sta nel fatto che esistono due tipi di ghiaccio in Artico: quello stagionato e persistente da molti anni e un altro che si forma ogni stagione invernale e poi se ne va.
Il primo è spesso tre-quattro metri, il secondo è ben più sottile: nemmeno due metri. «I dati del nostro satellite e di quelli raccolti da altri veicoli spaziali negli ultimi dieci anni — spiega Tommaso Parrinello, responsabile della missione Cryosat — ci mostrano che la diminuzione purtroppo adesso riguarda tutti i ghiacci artici, compresi quelli più vecchi. Avremo bisogno di approfondire ma la tendenza è chiara perché si nota come ad essere intaccate siano le aree vicino alla Groenlandia, quelle più stagionate».
Il guaio è che mentre il ghiaccio annuale si ricostituisce più facilmente, per ripristinare il più vecchio, invece, occorrono circa cinque anni. «Progressivamente, se si continua a perdere — aggiunge Parrinello — la prospettiva è una scomparsa totale dei ghiacci artici in poco più di un decennio, dopo il 2020».
A rendere inquietante la scena favorendo il peggio è il fatto che il Polo Nord si è rivelato una zona anomala nel panorama delle cifre del riscaldamento globale della Terra. Qui, infatti, la temperatura media risulta essere più alta del resto del pianeta di circa 2,5 gradi mostrando quindi una vulnerabilità particolare.
Nella costante perdita del prezioso ghiaccio un fatto ha determinato una crisi che sembra irrecuperabile: «Nel 2007 si è verificato un crollo consistente che ha squilibrato il sistema — ricorda Carlo Alberto Ricci, che ha diretto l’European Polar Board e ora presiede la Commissione per l’Antartide —. Una massa d’acqua calda originata nel Pacifico è entrata nel Mare Artico dallo stretto di Bering intaccando e sciogliendo soprattutto il ghiaccio pluriennale. Da allora la situazione è andata peggiorando e nessuna lieve ripresa ha permesso di guadagnare ciò che era andato distrutto». Il quadro rimane a tinte fosche.
Giovanni Caprara