http://www.presentepassato.it/Dossier/Guerrapace/Documenti2/doc2_7.htm, 12 settembre 2013
Le guerre del futuro Gary Stix, in Le scienze n. 33 - 1, marzo 1996 pag. 84 Gli strateghi statunitensi puntano oggi su versioni migliorate delle tecnologie sperimentate nella guerra del Golfo, ma forse si stanno preparando per il conflitto sbagliato Samo a Fort Leavenworth, al confine tra Kansas e Missouri: qui George Patton, Dwight Eisenhower e Colin Powell hanno appreso le tattiche e si sono addestrati all’uso delle armi che avrebbero impiegato in battaglia
Le guerre del futuro Gary Stix, in Le scienze n. 33 - 1, marzo 1996 pag. 84 Gli strateghi statunitensi puntano oggi su versioni migliorate delle tecnologie sperimentate nella guerra del Golfo, ma forse si stanno preparando per il conflitto sbagliato Samo a Fort Leavenworth, al confine tra Kansas e Missouri: qui George Patton, Dwight Eisenhower e Colin Powell hanno appreso le tattiche e si sono addestrati all’uso delle armi che avrebbero impiegato in battaglia. In questo luogo, che in passato ha visto combattere pellerossa e visi pallidi, lo scorso maggio una nuova generazione di comandanti militari ha scrutato gli schermi dei computer per gettare uno sguardo sul futuro della guerra. Sugli schermi, un contingente nordcoreano avanzava nella zona demilitarizzata; missili balistici a corto raggio con testate chimiche colpivano le città della Corea del Sud. Infine divisioni statunitensi e dell’esercito sudcoreano, appoggiate dai marine, da una brigata francese e da una britannica, respingevano lentamente le truppe degli invasori. A una delle unità statunitensi, denominata forza di intervento mobile, era stato affidato il ruolo di contingente di combattimento digitale del futuro. Immagini del campo di battaglia, fornite da sensori collocati al suolo, su aerei o su satelliti, permettevano al comandante sul campo di avere, anche di notte, una visione completa del territorio conteso. Una prospettiva "dal punto di vista di Dio" del campo di battaglia che ha aiutato a consolidare la vittoria. Le ostilità erano del tipo che il Department of Defense classifica come "Desert Storm-equivalenti": un’azione a distanza contro uno "Stato criminale", quali vengono considerati l’Iran, l’Iraq o, appunto, la Corea del Nord. Per il Pentagono gli Stati criminali rappresentano con ogni probabilità il nuovo nemico, le aspiranti potenze nucleari che costituiscono la vera minaccia del dopo-guerra fredda. Secondo la "Bottom-up review 1993" dell’Amministrazione Clinton, il documento che valuta lo stato di efficienza delle Forze armate, gli Stati Uniti sarebbero in grado di combattere quasi simultaneamente due Desert Storm. Ma i giovani ufficiali, guardando le immagini di quegli schermi a colori, potrebbero assumere una atteggiamento sbagliato. La classica potenza criminale basata su tecniche di combattimento pesanti, di stile sovietico, è forse una specie in via di estinzione. Gli esperti di politica, i guru della tecnologia e l’industria bellica hanno cominciato a studiare una serie di altre potenziali minacce, da una neonata superpotenza o una potenza regionale capace di mettere in campo tattiche di combattimento radicalmente modificate, a legioni di hacker mercenari in grado di far crollare banche e borse valori per mezzo di virus informatici e altro software concepito per nuocere. Il vasto numero di scenari dà una misura del rischioso mutamento che ha messo in crisi l’establishment della pianificazione militare. Senza l’incombente presenza di una superpotenza, nuove minacce potrebbero spuntare da ogni dove. Intanto, il più pressante investimento di risorse militari è richiesto da aree come Bosnia e Haiti, vale a dire da conflitti di piccola scala che spesso trasformano il mestiere di soldato in qualcosa di più simile a un’operazione di polizia. La competenza tecnologica dell’esercito statunitense è stata sviluppata in decenni di guerra fredda con l’Unione Sovietica. Negli anni ottanta, sono stati i sovietici a introdurre il concetto di guerra a distanza, che consiste nella capacità di individuare e distruggere il nemico senza ingaggiare un vero e proprio combattimento. Ma gli Stati Uniti, potendo disporre di aerei-radar per la sorveglianza e di missili anticarro già molto perfezionati, hanno fin da subito dimostrato di possedere un chiaro vantaggio in un contesto del genere. Si replica Desert Storm La terza guerra mondiale non c’è stata, ma la guerra del Golfo sì. Le Forze armate statunitensi hanno presentato la vittoria schiacciante sull’Iraq come prova della validità di un approccio tecnologico al combattimento, basato sull’acquisizione di informazioni da aerei e satelliti, sull’impiego di bombardieri invisibili e di missili a guida laser. (Non si dà, a quanto pare, molta importanza al fatto che, malgrado il totale dominio dei cieli, le forze alleate non siano riuscite a distruggere le installazioni coinvolte nel programma nucleare iracheno né molte rampe mobili per il lancio di missili.) Dopo la fine delle ostilità, grandi sforzi sono stati profusi dai vertici militari per esaltare i pregi della missione nel Golfo. E i nuovi wargame, come l’esercitazione di Fort Leavenworth, sono stati orientati al miglioramento del progetto digitale dei campo di battaglia, in vista di prossime guerre combattute in modo ancor più efficiente. Un gruppo di analisti della difesa, sia interni sia esterni al Pentagono, ha cominciato ad approfondire concetti di guerra altamente tecnologicizzata che vanno ben oltre la mera replica di Desert Storm. L’ispirazione per alcuni di questi "esami di coscienza" viene dall’Office of Net Assessment del Pentagono, un ufficio di pianificazione guidato da Andrew Marshall, ex stratega della guerra fredda. Una ragione per rianalizzare il problema è che, entro pochi decenni, a fronteggiare gli Stati Uniti non sarà più una piccola potenza criminale regionale, bensì quello che potrebbe essere definito un "concorrente alla pari": forse una nuova superpotenza come la Cina, una risorgente Russia o magari anche l’India. In un conflitto futuro Stati Uniti e alleati potrebbero anche non detenere un monopolio, o anche un vantaggio strategico, nel campo della tecnologia avanzata. Inoltre le potenze regionali hanno imparato la lezione della guerra del Golfo e stanno cercando modi per contrastare le armi intelligenti, i computer e le comunicazioni satellitari. Andrew F. Krepenevich, Jr., ex colonnello dell’esercito già collaboratore di Marshall, dirige il Defense Budget Project, un gruppo di studio con sede a Washington che studia sistematicamente i continui cambiamenti di fisionomia della guerra. Krepenevich mostra articoli di giornali tecnici pubblicati nel Terzo Mondo in cui si prende la guerra del Golfo a esempio di che cosa evitare nel confronto con una "superpotenza extraregionale", una locuzione criptica per dire "Stati Uniti". In un articolo pubblicato dopo la guerra del Golfo, V. K. Nair, ufficiale indiano in pensione, spiegava come una nazione in via di sviluppo avrebbe potuto contrastare lo "sconsiderato avventurismo" degli Stati Uniti: per esempio sfiancando le forze navali con missili convenzionali lanciati da terra o da sottomarini. "La possibilità di perdere una o più portaerei costituirebbe per gli Stati Uniti un rischio del tutto inaccettabile in termini economici e umani" scriveva Nair. Nei mercati mondiali di armi, è disponibile una vasta scelta di armi avanzate. I missili balistici a corto raggio, per esempio, sono ormai una sorta di "bene di consumo". Krepenevich fa notare che -al contrario delle armi nucleari, spesso frutto di lavoro segreto in laboratori nazionali - i sistemi elettronici per impieghi bellici sono prodotti da società commerciali. Se Stati Uniti e Unione Sovietica sono riusciti con efficacia a impedire ad altri l’accesso alle tecnologie necessarie per fabbricare un’arma nucleare, nessuno riuscirebbe a porre vincoli sul commercio dei chip di memoria o dei microprocessori che costituiscono il cervello delle armi "intelligenti". Una vera terra di nessuno Gruppi di studio ed esperti di strategia hanno cominciato a riflettere su cosa significherà combattere nel XXI secolo. Molte delle loro speculazioni su quella che è spesso definita "una rivoluzione in campo militare" cercano di immaginare un modo per combattere contro un’altra grande potenza senza far ricorso alle armi nucleari o per rimanere abbastanza alla larga dal nemico da evitare una minaccia nucleare, chimica o batteriologica. La guerra del futuro, infatti, potrebbe permettere agli strateghi di guerra nucleare di riciclare qualcuno degli scenari concepiti per un confronto con i sovietici. Un tale conflitto potrebbe infatti basarsi su vettori per testate nucleari (come i cruise o altri missili a lungo raggio), armati però con testate convenzionali. La distruttività e la precisione dei sistemi d’arma, congiunte con la capacità di individuare il nemico ovunque si trovi, fanno immaginare che su ogni fronte tutto sarà nascosto, e l’idea di scontro ravvicinato, ancora valida nella guerra del Golfo, svanirà definitivamente. Michael Mazaar, del Center for Strategic and Intemational Studies, descrive il conflitto "senza ingaggio", una guerra combattuta a distanza che fa a meno della concentrazione di truppe o armi. Missili lanciati da centinaia o migliaia di chilometri di distanza dal bersaglio, o anche dal suolo degli Stati Uniti, potrebbero convergere contemporaneamente in un solo punto o su più bersagli. In questo scenario di guerra postmoderna, le portaerei, i carri armati, i caccia e i bombardieri cessano di avere un ruolo primario. La maggior parte delle forze statunitensi potrebbe essere stanziata in patria. Durante i primi atti di un conflitto, missili a lungo raggio dovrebbero distruggere le difese aeree o altre infrastrutture fondamentali. Poi sarebbero necessarie piattaforme di trasporto per mettere in campo un gran numero di missili, molto meno costose dei sottomarini e delle portaerei utilizzati attualmente. Alcuni analisti hanno anche accarezzato l’idea di Boeing 747 caricati di missili o di rimorchiatori sottosuperficie in grado di trainare chiatte stipate di proiettili. La US Navy, infatti, ha cominciato a prendere in considerazione la costruzione di una nave-arsenale, una sorta di petroliera caricata con centinaia di missili Cruise a lancio verticale o altri proiettili. La nave-arsenale, che sarebbe in grado di spostarsi sotto il pelo dell’acqua, potrebbe costare meno di un quinto di una portaerei da 4,5 miliardi di dollari. Invece che di un equipaggio di migliaia di persone, essa necessiterebbe solo di una cinquantina di uomini. Grandi cambiamenti si verificheranno anche nel conflitto terrestre. Almeno nelle sue prime fasi, la maggior parte dei soldati potrebbe essere tenuta a distanza dal campo di battaglia. La ricognizione e la localizzazione degli obiettivi saranno effettuate sempre più spesso da aerei privi di pilota, versioni altamente innovative di quelli che hanno volato durante Desert Storm e il conflitto bosniaco. Minuscoli sensori a basso costo potrebbero essere schierati a centinaia o migliaia nell’aria e a terra, a formare una rete in grado di rilevare momento per momento l’andamento di una schermaglia. L’acquisizione elettronica di informazioni si basa attualmente su aerei dotati di sofisticati rivelatori. Con questi mezzi operano due sistemi: l’Advanced Warning and Control System (AWACS), dell’aeronautica, e il Joint Surveillance Target-Attack Radar System (JSTARS), dell’esercito. Dal momento che la visione della battaglia diverrà sempre più cruciale, gli aerei AWACS o JSTARS saranno sempre più presi di mira: colpiti questi, scenderebbe l’oscurità sul campo di battaglia illuminato elettronicamente. La sicurezza offerta da un gran numero di rivelatori potrebbe ovviare a questo pericolo. Una ricerca svolta presso il Lincoln Laboratory del Massachusetts Institute of Technology si è proposta la costruzione di aerei radiocomandati più piccoli dei normali modellini. Minuscoli velivoli come questi, in gran numero, potrebbero fungere collettivamente da osservatori del campo di battaglia. La Sikorsky Aircraft ha realizzato un veicolo a forma di disco volante, dotato di motori rotativi, che potrebbe agire da ricognitore o disseminare mine e sensori. "Se hai 1000 velivoli privi di equipaggio, puoi anche permetterti di perderne 100" commenta Martin C. Libicki della National Defense University. Almeno in teoria, anche le armi basate a terra diverranno intelligenti, numerose e relativamente economiche. Si impiegheranno robot-killer, che avranno un aspetto più simile a quello di una mina che non a Terminator. La Textron Systems Division, per esempio, ha già messo a punto un dispositivo robotizzato che utilizza sensori per individuare un carro armato o un elicottero e poi lancia proiettili contro di essi. 1 pochi uomini inviati sul campo di battaglia costituirebbero unità adibite a operazioni speciali, come ricognizioni o valutazioni dei danni subiti o arrecati. I contingenti dispiegati sul terreno potrebbero spostarsi a bordo di elicotteri invisibili ai radar o su jeep adattate, cioè provviste di una leggera corazzatura, di sensori e di dìspositivi per le comunicazioni e per il disturbo elettronico. Nelle fasi terminali del conflitto interverrebbero truppe di fanteria armate in modo convenzionale e il combattimento avrebbe termine con l’occupazione del territorio. La guerra del futuro potrebbe diventare una battaglia per il controllo dello spazio, dato che da entrambe le parti si cercherà di lanciare e proteggere satelliti per le comunicazioni e la sorveglianza. La necessità di progettare armi laser o a energia cinetica per mettere fuori uso i satelliti nemici potrebbe forse dare agli ormai attempati scienziati della Strategic Defense Initiative la possibilità di rispolverare le antiche ricerche. Potrebbero essere necessari lanci di veicoli a singolo stadio per costituire una rete di satelliti sull’area interessata da un conflitto. I cambiamenti più importanti sono relativi non alla tecnologia ma al modo in cui questi sistemi - sempre più rapidamente - vanno trasformando l’organizzazione militare. "La vera innovazione può essere la capacità di integrare sensori e armi per coordinare le forze efficacemente" dice Andrew Marshall dell’Office of Net Assessment. Nel 2020 l’immagine di insieme che emergerà dalle maglie di sensori renderà i comandanti militari più simili a controllori "spaccasecondo" del traffico aereo che non a strateghi o tattici. Lo stesso comandante potrà ordinare bombardamenti dal cielo, da terra o dal mare, o anche dallo spazio. Talora l’informazione relativa all’individuazione del bersaglio sarà trasmessa al soldato da un satellite o da un velivolo privo di equipaggio. La guerra elettronica Parlando di guerre ad alta tecnologia, ci si chiede se la tecnologia informatica potrà mai essere in grado di rendere inefficaci le apparecchiature, militari convenzionali, consentendo magari una invasione telematica degli Stati Uniti. Una battaglia a colpi di bit sarebbe intesa a distruggere il patrimonio di informazioni del nemico, le sue reti finanziarie, elettriche, di telecomunicazioni e di controllo del traffico aereo. Attacchi diretti alle strutture militari non sarebbero da escludere: già ora violare un computer governativo è una sorta di rito d’iniziazione per gli hacker. Inoltre si deve considerare che più dei 95 per cento delle comunicazioni militari transita su canali civili. Daniel T. Kuehl è un professore di strategia militare presso la National Defense University che in passato ha lavorato per lo Strategic Air Command. Attualmente insegna alla School of Information Warfare and Strategy, fondata due anni fa nell’ambito dell’Accademia militare. Essa contempla corsi di guerra cibernetica simili a quelli che sono recentemente entrati in voga tra i militari. Gli studenti di Kuehl torneranno alle forze armate e alle cariche governative addestrati a fronteggiare attacchi alle risorse dell’informazione. "Come fate a sapere che siete oggetto di un attacco e chi ne è l’autore7" chiede Kuehl ai suoi allievi. Altri punti di discussione sono: i militari sono in qualche modo responsabili della difesa del mercato finanziario sottoposto a un attacco? Una nazione dovrebbe dichiarare guerra quando un importante sistema finanziario viene fatto crollare con mezzi elettronici? E dovrebbe replicare con armi convenzionali o nucleari? Quando si vince un conflitto del genere? Gli Stati Uniti dovrebbero condurre manovre offensive per distruggere o confondere i database che un nemico usa per scegliere i bersagli? La teoria toffleriana delle onde Queste domande spesso sono mescolate a una buona dose di sociologia popolare. La School of Information Warfare and Strategy è il primo programma accademico a prevedere un corso sulle idee degli autori di cassetta Alvin e Heidi Toffier, forse più noti come consulenti di Newt Gingrich. I Toffier hanno avuto una influenza enorme sui militari. In una monografia intitolata Envisioning Future Warfare, Gordon Sullivan, capo di stato maggiore dell’esercito da poco a riposo, cita Alvin Toffler in 10 riferimenti bibliografici su 38. Nella scuola il mondo viene rappresentato in base alla teoria dell’"onda." di Toffler: la società - e la guerra stessa -stanno attraversando l’era postindustriale dell’informazione che fa seguito a una "seconda onda" industriale caratterizzata dall’uso di carri armati e bombardieri, a sua volta succeduta a una "prima onda" di economia agricola in cui venivano impiegati moschetti e lance. "Non appena la guerra della terza onda ha preso forma, ha cominciato a emergere una nuova generazione di "guerrieri della conoscenza": intellettuali con e senza uniforme si sono dedicati all’idea che la conoscenza possa vincere, o prevenire, le guerre" scrivono con convinzione i Toffler in War and Anti- War. I corpi d’élite di guerrieri della conoscenza non sono in grado di sostituire completamente le divisioni convenzionali costituite da 20.000 armati. Per spiegarne il motivo John I. Alger, decano della scuola di guerra dell’informazione, si abbandona al "tofflerese": "La maggior parte del mondo è dotata ancora di armi tipiche della seconda onda, e noi dobbiamo ancora considerare la distruzione fisica come una minaccia per gli Stati Uniti". Questa visione delle guerre a venire può emergere dalla lettura di troppi trattati futuristici. Non tutti, nell’establishment della Difesa, sono entusiasti di abbracciare i nuovi metodi di combattimento così in fretta. I militari tengono ancora in gran conto le loro portaerei e gli aerei da combattimento. La ritrosia deriva anche dal timore che le nuove tecnologie possano non funzionare come ci si aspetta. I due fronti che si bersagliassero vicendevolmente con gragnole di missili potrebbero riattualizzare in forma apocalittica la situazione di stallo delle guerre di trincea, in cui ognuna delle parti infieriva sull’altra senza però riuscire a spuntarla definitivamente. E sommergere di ulteriori informazioni i soldati può non dare a essi una migliore comprensione di una battaglia in corso. Le truppe statunitensi lottano con gli intoppi dell’era dell’informazione fin dai tempi del Vietnam. Invece di facilitare le operazioni belliche, l’espansione dell’infrastruttura per la comunicazione in Indocina condusse alla rigogliosa proliferazione del personale di supporto. Risultava adibito alle comunicazioni ben il cinque per cento delle truppe, ovvero l’equivalente di una divisione. Nel suo libro del 1985, Command in War, lo storico Martin van Creveld della Hebrew University nota che "la costituzione di un sistema di comunicazioni resa possibile dalla rivoluzione tecnologica, e necessaria per affrontare le conseguenze della specializzazione e della complessità, si è trasformata a sua volta in una fonte di specializzazione e complessità. La cura è diventata parte della malattia". Le cose non sono necessariamente cambiate. La US Army ha dichiarato la sua intenzione di avvalersi dell’alta tecnologia per ridurre la dimensione dei suoi contingenti. Ma lo scorso agosto, in un’esercitazione che ha visto lo spiegamento di unità corazzate per sperimentare i sistemi di comunicazione digitale, i soldati hanno scoperto - a quanto riferisce il bollettino indipendente Inside the Army - di dovere spendere più tempo di quello richiesto da un’esercitazione normale solo per inserire informazioni nei computer o per effettuare i necessari collegamenti. Dopo l’esercitazione, un ufficiale ha commentato che, ai fini della capacità di combattimento, un miglioramento dell’efficienza di acquisizione del bersaglio dei nuovo carro armato M1A2 sarebbe molto più importante di queste innovazioni. In un’altra esercitazione del 1994, un battaglione "digitale" è rimasto disorientato quando un avversario non automatizzato ha acceso fuochi per ingannare i sensori a infrarosso dispiegati da forze hi-tech. Ma quel che è più importante, i soldati digitali non si sono comportati meglio delle altre unità - equipaggiate convenzionalmente - che hanno combattuto uno stesso avversario. Il conflitto a bassa intensità Se i militari stanno cercando di capire quale sarà la natura della guerra nel prossimo secolo, è possibile che stiano andando nella direzione sbagliata. A detta di alcuni, i generali devono ancora imparare la lezione, ovvero adattare i metodi di combattimento al tipo di conflitto prevalente dalla seconda guerra mondiale in poi. Questo argomento rappresenta una bordata alla scuola di pensiero militare associata a Karl von Clausewitz, l’ufficiale dell’esercito prussiano i cui scritti sulla guerra sono spesso condensati nello stereotipo secondo cui la guerra è una continuazione della politica con altri mezzi. Questa nozione di politica e conflitti armati che si intersecano si può collegare all’idea che il moderno Stato e i suoi eserciti sono i soli amministratori legittimi della violenza organizzata. Chiunque altro imbracci armi è un fuorilegge o un bandito. Un numero di storici delle cose militari ha dichiarato che lo scenario alla Clausewitz, di Stati che combattono altri Stati, è completamente sepolto. Nel suo libro The Transformation of War - pubblicato, con macabra ironia, il giorno in cui fu sferrato l’attacco - terrestre della guerra del Golfo nel 1991 - vari Creveld sostiene che i tempi della guerra moderna e i costi dei sistemi d’arma avanzati stanno rendendo sempre meno probabile il combattimento tradizionale. In un’era nucleare, tutte le parti devono sottoporsi a restrizioni o rischiano il mutuo annientamento. Questa misura di autocontrollo, crede vari Creveld, si estende anche all’uso di armi chimiche e batteriologiche. Poche nazioni oserebbero impiegarle per timore che la rappresaglia, da parte dello stato attaccato o di uno dei suoi alleati più potenti, possa essere di tipo nucleare. Sfortunatamente l’economicità delle armi chimiche e batteriologiche potrebbe allettare i gruppi terroristici, che di solito sono ben poco trattenuti dalle minacce di ritorsione. In un mondo popolato dalle armi nucleari e dalle loro cugine, la guerra non èscomparsa ma si è semplicemente trasferita in un altro teatro. Van Creveld fa notare che nella maggior parte dei conflitti - si pensi alla Somalia, al Ruanda e anche alla Bosnia - non sono Stati diversi a fronteggiarsi; inoltre queste ostilità non comportano l’impiego di armamenti avanzati. Delle circa 100 guerre combattute dalla fine della seconda guerra mondiale, più di 80 sono state classificate come conflitti a bassa intensità, molti dei quali sono guerre civili o ostilità etniche. Spesso a innescarle è la scarsità delle risorse (si veda l’articolo Scarsità di risorse e degrado come causa di violenti conflitti di Thomas F. Homer-Dixon, Jeffrey H. Boutwell e George W. Rathjens in "Le Scienze" n. 296, aprile 1993). Nonostante la denominazione, questi combattimenti "a bassa intensità" assumono spesso le caratteristiche del genocidio. La guerra civile nigeriana ha comportato la morte di oltre un milione di persone dal 1967 al 1970, e i tumulti tra indù e musulmani in India costarono la vita di un milione di persone tra il 1947 e 1949. Le nette categorizzazioni sulla natura della guerra esposte nell’universo di von Clausewitz sono andate completamente smarrite. La tutela della pace è perciò passata all’ordine dei giorno. Sfortunatamente, è un ordine del giorno che sconcerta molti in un’élite militare che ha passato anni nel prepararsi ad arrestare orde di carri armati sovietici sul confine tra le due Germanie. Questi ufficiali, inoltre, ancora sperimentano un persistente effetto da sindrome post-Vietnam, secondo cui i soldati dovrebbero lasciare le caserme solo per proteggere l’interesse nazionale da minacce definite. In un manuale della US Army del 1993, questa attività quasi poliziesca è relegata in un capitolo dal titolo orwelliano "Operations Other Than War". Vari settori delle Forze armate vanno addestrandosi a ciò che ricade sotto l’inevitabile acronimo OOTW. L’esercito, per esempio, ha allestito un istituto per la tutela della pace nel suo Anny War College di Carlisle, in Pennsylvania. Ma i militari e il Congresso hanno una relazione decisamente ambivalente con i conflitti di questo tipo. Il presidente del Comitato dei capi di stato maggiore John Shalikashvili, ha commentato lo scorso anno: "II mio timore è che ci si stia lasciando incantare da operazioni estranee alla guerra e che si smetterà di pensare a combattere e vincere le guerre della nostra nazione". Ciò nonostante i militari hanno dedicato qualche sforzo a ideare armi e tattiche più adatte alla prossima Somalia di quanto lo siano il bombardiere 132 o il sottomarino Trident. La US Army, il Departnient of Energy, l’Advanced Research Projects Agency e altri istituti di ricerca hanno lavorato su tecnologie che dovrebbero minimizzare gli spargimenti di sangue, o quantomeno l’imbarazzo dal punto di vista delle relazioni pubbliche in caso di affari sporchi e brutali. Al Lawrence Livermore National Laboratory è stato ideato Lifeguard, un sistema di sensori a infrarossi che potrebbe essere utilizzato dai tutori della pace o anche dalla polizia per individuare il luogo preciso da cui partono le pallottole dei cecchini. L’Advanced Research Projects Agency ha equipaggiato i soldati statunitensi in missione di pace in Macedonia con un dispositivo dotato di ricevitore satellitare che emette segnali acustici quando ci si avvicina a meno di 500 metri dal confine serbo. Sconfinare inavvertitamente potrebbe provocare un incidente internazionale. Una serie di tecnologie inusuali ha iniziato a contribuire alla tutela della pace. Le armi "non letali", progettate per tramortire o immobilizzare, risparmiano la vita a chi ne è colpito. Una sostanza chimica che renda una strada scivolosa o appiccicosa, rendendola impraticabile, non attrae eccessivamente il biasimo dell’opinione pubblica. "Piuttosto che sparare a un ragazzo di 14 anni, lo si può fermare incollandolo" dice Andrew J. Bacevich della Nitze School presso la John Hopkins University. "Così si può condurre un’operazione senza subire gli strali dei mass media per i vostri comportamenti inumani e crudeli". "I marines hanno steso un miscuglio di schiuma appiccicosa, filo spinato e piccoli oggetti acuminati per tenere a distanza folle di somali durante la ritirata della forza di pace delle Nazioni Unite all’inizio di marzo" dice Charles S. Heal, l’ufficiale dei marines che ha coordinato l’uso di quelle armi. Le truppe si assicurarono cinque minuti di tregua prima che i somali mettessero a terra tavole o usassero altri espedienti per attraversare la barriera. Le esibizioni di forza sono forse state efficaci a Mogadiscio. Puntando il laser di mira delle armi da fuoco sui trasgressori, si riusciva a mantenere alla larga dalla pista di atterraggio dell’aeroporto i fedeli dei "signore della guerra" Mohammed Farah Aidid. "Quei ragazzi avevano visto abbastanza film di Schwarzenegger per sapere come funzionava", dice Anthony Fainberg del disciolto Office of Technology Assessment. Come tutte le tecnologie militari, anche le armi non letali inducono all’adozione di contromisure. "La sabbia sparsa su un terreno ricoperto di materiale appiccicoso presumibilmente si incollerebbe (che altro potrebbe fare?) e formerebbe una superficie simile alla carta vetrata su cui guidare o camminare" scrive Richard L. Garwin dell’IBM, per lungo tempo consigliere sulle tecnologie per la difesa e il controllo degli armamenti. "Prima di spargere la sabbia, il semplice accorgimento di attaccare una pila di fogli di carta alle suole... permetterebbe di fare un passo per pagina: abbastanza per attraversare rapidamente una fascia di terreno ricoperto da materiale appiccicoso." Anche le armi non letali potrebbero comunque essere mortali. Anche spruzzare un sottile strato di vernice sul parabrezza di un veicolo in movimento potrebbe causare una fatale perdita di controllo del mezzo. Recentemente sono stati messi al bando i laser che acciecano in modo permanente le vittime: anche questo tipo di arma era classificato come "non letale". Rappresaglia a bassa tecnologia I soldati dotati di anni che non uccidono sono di fronte a un dilemma fondamentale nel combattere una guerra. "Parafrasando von Clausewitz - dice van Creveld - chi pensa di poter muovere guerra senza massacri dovrebbe guardarsi da un nemico che arrivi e gli tagli la testa." Mentre in Occidente si mettono a punto armi più "benevole e miti", altrove gruppi risoluti di combattenti non dimostrano sempre una pari delicatezza. L’emblema della macchina da guerra postindustriale è la cosiddetta Technical somala, una pickup scoperta con un’arma automatica montata sul tetto. Inoltre, un signore della guerra somalo e il suo clan non devono necessariamente acquisire un vantaggio strategico definitivo per avere la meglio. Molto probabilmente, l’impatto delle immagini televisive che mostravano un soldato americano ucciso e trascinato per le strade di Mogadiscio ha contribuito alla decisione degli Stati Uniti di sospendere la caccia ad Aidid e di fissare una data per la ritirata delle truppe. Il capo tribù può condurre una guerra dell’informazione con tecnologie anteriori a Thomas Alva Edison. Gli scherani di Aidid in Somalia si passavano informazioni sull’attività delle truppe americane nell’aeroporto battendo stecche di legno su bidoni vuoti. Per evitare le intercettazioni, Aidid aveva bandito l’uso del telefono. Messaggi in codice come i battiti di tamburo lasciano indifferenti intere schiere di sensori all’infrarosso. La tecnologia sofisticata, un prerequisito per il dominio strategico in un teatro regionale di guerra, può perciò affondare miseramente nel caos di una Saigon o di una Mogadiscio. "Stiamo avendo molte idee brillanti su come combattere una guerra del Golfo in modo più efficiente" sottolinea Libicki della National Defense University. "Ma raramente pensiamo a che cosa ci permetterebbe di combattere più efficacemente la guerra del Vietnam." La disparità tra la guerra intesa come tour de force tecnologico e le realtà di conflitti a basso livello deve ancora essere ricomposta dai capi dei grandi eserciti. Il bombardamento di precisione può avere successo in Bosnia. Ma la decisione di procedere con bombardamenti aerei è stata messa in crisi quando alcuni soldati delle Nazioni Unite sono stati fatti prigionieri per essere usati come scudi umani presso gli obiettivi militari serbi. La guerra a distanza può rapidamente confondersi nelle ambiguità delle OOTW. Le necessità di tutela della pace possono vanificare i complessi stratagemmi dei pianificatori nucleari, che hanno definito la natura della guerra nell’ultimo mezzo secolo. Il fragile equilibrio della guerra fredda ha lasciato il posto a un nebbioso tempo di pace. VAN CREVELD mARTiN, The Transformation of War, Free Press, 1991. AFTERGOOD STEVEN, Monitoring Emerging Military Technologies in "Federation of American Scientists Public Interest Report", 48, n. 1, gennaio-febbraio 1995. LIBICKI MARTINc., The Mesh and the Net: Speculations on Armed Conflict in a Time of Free Silicon, su World Wide Web in fittp:flw.ndu.edu/ndu/itiss/inacnair/menair28/m028cont.litin].