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 2013  settembre 12 Giovedì calendario

SE HANNO UN PO’ D’ONORE PRENDANO I MIEI RAPITORI

Ho incontrato Ahmed nella piccola casa di campagna che la brigata di Jabhet al Nusra, l’Al Qaeda siriana usava come base alla periferia di al Qusayr. Città morta dove gli abitanti frequentavano solo le cantine e le rovine. I sermoni delle pietre in Siria oggi predicano il nichilismo, rampognano la gente che si ostina a viverci.
Gli uomini che mi avevano rapito, appartenenti a un altro gruppo di ribelli, Al Faruq, avevano bisogno di un altro rifugio, la casa dove ormai da più di un mese ero tenuto prigioniero era sotto il tiro di Hezbollah e dei soldati di Bashar al Assad che stringevano, implacabili, il cerchio attorno alla preda. Avevo paura di non vederlo tornare la sera, il viso con un che di silenzioso ardore represso: era quello tra i terroristi che parlava meglio l’inglese, si fermava spesso dopo la preghiera a chiacchierare e i suoi compagni facevano, curiosi, crocchio intorno a noi. I «terroristi»: sì, ma i soli che trattavano con dignità me e il mio compagno di prigionia Pierre Piccinin, politologo, storico e giornalista per meriti di guerra, per averla vissuta e raccontata sul campo, senza violenze e umiliazioni.
Ahmed ci ha raccontato la sua storia. La sua rivoluzione è iniziata disertando e unendosi a una brigata di combattenti della Armata siriana libera, studenti soprattutto che lottavano per un paese senza Bashar, dove tutte le confessioni e tutte le etnie trovassero posto e parità. Il padre di Ahmed è stato giustiziato dai soldati per vendicare la sua diserzione. Dopo un anno la brigata, sotto le bombe degli aerei, senza armi potenti, senza denaro, era già ridotta a due uomini; Ahmed e un suo compagno. Lui non ha voluto rassegnarsi, farsi avviluppare una stanchezza senza rimorsi e ha scelto una brigata islamista. Non perché sia un fanatico e sogni il martirio o il califfato Ma perché gli uomini dalle lunghe galabia nere si battono con vigore, hanno armi nuove e soprattutto non gozzovigliano e hanno un terribile, implacabile «onore». Ora andava avanti così, con periodi forse di stanchezza di paura con una timida leggerezza di cuore.
Non so se Ahmed è ancora vivo. L’ho lasciato il giorno in cui ci hanno portato alla vecchia prigione. Gli uomini del jihad non si sono ritirati come hanno fatto le brigate delle altre formazioni ribelli. È, la sua, la storia della involuzione della rivoluzione siriana: i primi eroi sono scomparsi, uccisi e perduti, l’Armata siriana libera è evaporata. Le rivoluzioni sono zeppe di rese simili. Oggi è il tempo dei jihadisti che si preparano, eliminato Bashar, ad andare alla conquista dei paesi vicini e poi del magrebh e poi… E poi, loro alleati, per ora, i banditi, gli sciacalli e le iene, formazioni come quella di al Faruq che mi ha sequestrato che dietro una verniciatura di islamismo e di ideali rivoluzionari, nascondono traffici, avidità di rivalsa sociale, che sequestrano e taglieggiano, prendono senza pagare case, cose, vite. Ho visto in una caserma di Al Faruq i miliziani contare, a sacchi, pacchi di dollari americani e le stesse banconote uscite dalle tasche dei miei carcerieri per comprare, vestiti, telefonini, computer, cibo. Alleanza provvisoria: uno degli emiri della brigata islamista mi ha detto, il viso crepacciato come quello di una guida alpina, la bocca segnata da un sorriso di disgusto: noi non amiamo questi islamisti “moderati”, quando il califfato sarà in piedi vedremo che fare di loro…».
Come è accaduto in Somalia, gli islamisti elimineranno i banditi e imporranno la loro legge. In una terra dove i rapporti possono ormai essere solo di ricatto di saccheggio di ratto di sopraffazione, di qualsiasi cosa, salvo rapporti liberi scambievoli liberatori; di pietà.
La rivoluzione che ho amato non esiste più. E mi ha tradito. Non la rinnego, ma non ne riconosco i volti, i modi, i sogni. Nei cinque mesi della nostra detenzione più volte la disperazione ci ha travolto. E abbiamo pianto, senza pudore, davanti ai nostri carcerieri. E tutte le volte la reazione è stata lo sghignazzo, la beffa, l’irrisione crudele. La pietà nei confronti di chi soffre, la vista della sofferenza non provoca in questi finti rivoluzionari la reazione automatica, semplice, umana, di tendere la mano, di offrire il compenso di un sorriso, di un gesto gentile. Piangere nella Siria che, forse, gli americani vogliono aiutare con qualche bomba tardiva, è una vergogna, un segno di debolezza. Solo la violenza, la forza pura contano.
In un’altra stazione del nostro calvario di 152 giorni, un pomeriggio, è comparso un bambino, quattro cinque anni non di più, con gli occhi scaltri e cauti che spiavano nella nostra stanza prigione i due strani animali occidentali vestiti di stracci. Abbiamo sentito gli strilli del bambino che giocava con i nostri carcerieri. Ci hanno fatto uscire, una delle poche volte, all’aperto. Il bambino era il figlio di uno dei sequestratori e giocava, felice, con la pistola del padre. A un certo punto un altro carceriere ha puntato il mitra contro quest’ultimo e ha gridato al bimbo: guarda, ammazzo tuo padre. Dapprima uno sguardo di terrore; poi, il piccolo viso duro, si è messo accanto a papà e ha fatto il gesto di sparare all’aggressore. I cinque ridevano soddisfatti. Chi in questa terra potrà gridare: lasciate che gli innocenti vengano a me?
La rivoluzione sequestra ormai e tiene prigionieri due giornalisti di paesi che la stanno aiutando e hanno condannato il regine di Assad, che ospita i suoi sedicenti vertici politici e militari tra cui c’è anche il gruppo di Al Faruq. Questa è una rivoluzione che ha perduto il suo onore. Per lavare questa macchia deve condurre una inchiesta e arrestare i responsabili del nostro sequestro e condannarli in modo esemplare: per i reati che hanno commesso contro di noi e contro la rivoluzione. Se non lo farà, allora i suoi leader che partecipano alle conferenze a Roma, a Bruxelles che hanno una ambasciata a Parigi, proveranno di essere solo parolai, senza potere sui gruppi armati forze che operano nel loro paese, parassiti che si fanno pagare, da noi, i conti negli alberghi di lusso dove sono ospitati.