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 2013  settembre 07 Sabato calendario

ADDIO CORRIDOIO (E ZONA DI TREGUA)

Achille Campanile, nel suo «Manuale di conversazione» aveva ironizzato sulla vita in una reggia sei-settecentesca, con tutta quella infilata di stanze, saloni, ambienti uno dentro l’altro: per passare da una ala all’altra del palazzo servi, dignitari e cortigiani dovevano necessariamente attraversare anche locali «privati» con i conseguenti inchini, genuflessioni, scappellamenti e magari imbarazzi, a seconda del rango (e dell’attività) delle persone incontrate. Il film «La famiglia» di Ettore Scola, recentemente riproposto in tv, racconta 80 anni di storia di una famiglia romana attraverso una grande casa e un lungo corridoio, visto come elemento spaziale di raccordo tra gli ambienti ma anche tra le «fasi» del film. Un ambiente scelto non a caso: un territorio «neutrale» in cui si muovono i protagonisti ma anche in grado di dare una idea di profondità spaziale, di continuità. Da diversi anni a questa parte, una superficie in via di estinzione: «Non ci sono più i corridoi perché sono venuti meno gli spazi di transizione — spiega l’architetto Mario Botta —. La casa di una volta era più povera ma molto più ricca: l’habitat aveva una serie di «prolungamenti» (atri, cortili, pianerottoli) che arricchivano l’abitare. Oggi questi spazi sono scomparsi. Una volta la casa di ringhiera aveva il bagno comune in fondo al ballatoio. Era povera ma ci si conosceva tutti. Oggi uno ha l’aria condizionata e l’ascensore che lo porta direttamente in casa ma non sa chi ci sia nell’appartamento accanto». Una tendenza, quella raccontata da Botta, confermata dall’architetto milanese Patrizia Sbalchiero, attiva soprattutto negli interventi di ristrutturazione e riqualificazione, in Italia e all’estero: «Tendenzialmente cerco di eliminare i corridoi: uno spreco di spazio, soprattutto oggi che gli appartamenti sono più piccoli che in passato. Anche se mi sono capitati committenti che li hanno richiesti espressamente, per ricreare la struttura originaria della casa».
Una caratteristica, questa, che negli antichi palazzi non esisteva, come sottolineava Campanile: gli ambienti erano uno dentro nell’altro e per passare da un estremo all’altro dell’edificio, era necessario attraversarli tutti o quasi. Una mancanza di privacy pressoché assoluta. Un problema, questo, risolto con «l’invenzione» del corridoio, ambiente di servizio nato con lo scopo di smistare le funzioni domestiche, isolando i singoli locali. «Uno spazio che sta scomparendo — riprende l’architetto Sbalchiero — un po’ per una questione di moda ma soprattutto perché è cambiato lo stile di vita, il modo di abitare. Anche negli edifici di nuova costruzione va riducendosi e un bravo progettista dovrebbe essere in grado di evitare lo spreco di preziosi metri quadri poco utilizzabili». «Il corridoio è una tipologia povera di tipo ottocentesco. In realtà, però — prosegue Botta — è l’intera città ad essersi "impoverita". Una volta esistevano viali alberati, piazze, spazi di aggregazione collettiva. Oggi, si arriva con la macchina nel parcheggio sotterraneo e si sale direttamente in casa o nel centro commerciale. Le case di una volta erano molto più "flessibili". E umane».
Uno tra i primi a rendersi conto che quello nei corridoi è fondamentalmente spazio inutilizzato è stato Mies van der Rohe: nella villa Tugendhat a Brno (fine anni 20) un unico locale di soggiorno di quasi 300 mq ingloba in un insieme fluido salotto, sala da pranzo e sala della musica. Gli ambienti di servizio, quelli per la servitù e la zona notte sono collegati al resto della casa mediante disimpegni, più che veri e propri corridoi. E nei Lake Shore Drive Apartments di Chicago, abitazioni di 60 mq ideate dall’architetto nel 1949, sono scomparsi pure questi: l’ingresso si trasforma in cucina, che diventa soggiorno che, a sua volta, si tramuta in camera da letto. Da cui si accede al bagno.
«A volte problemi strutturali impongono di mantenere i corridoi — continua l’architetto Sbalchiero — come un muro di spina nelle costruzioni in mattoni o altre caratteristiche costruttive». Altre volte, invece, sono i regolamenti locali a prevedere disimpegni e «spazi di compensazione» tra i locali dell’abitazione. «In ogni caso — aggiunge Sbalchiero — anche nel vano più angusto è importante ricreare la sensazione di massimo spazio. Io, ad esempio, ricorro spesso a pareti scorrevoli, in grado di aprirsi sugli ambienti. Tra le tendenze attuali, invece, vanno molto le porte a tutt’altezza e allineate, e aumentare la sensazione di ariosità».
Marco Vinelli