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 2013  settembre 12 Giovedì calendario

La vigilia della battaglia decisiva è diventata un’antivigilia. Così, fra il capo e le sue truppe continuano a non esserci grandi contatti

La vigilia della battaglia decisiva è diventata un’antivigilia. Così, fra il capo e le sue truppe continuano a non esserci grandi contatti. Berlusconi se ne sta ad Arcore, e qui le versioni sono due. Visto da sinistra, se ne sta lì, chiuso dentro Villa San Martino, perché non vuole farsi vedere invecchiato, depresso e titubante. Visto da destra, ha sì momenti di avvilimento e perfino di rabbia, ma non è depresso: cerca una soluzione, da uomo pratico qual è. È vero che ha passato un’estate da recluso, quasi fosse già agli arresti domiciliari: è venuto a Roma solo un paio di volte, il 4 agosto per la manifestazione di via del Plebiscito e la settimana scorsa. Ma questo non deve trarre in inganno, secondo quelli che gli vogliono bene: «Che c’è di strano?», ci diceva l’altro ieri Giuliano Ferrara, «Berlusconi è un re e i re non vanno in giro: stanno a Palazzo». Dove riceve, quando occorre, la sua corte. A Villa San Martino Berlusconi sta facendo, da più di un mese (anche ieri ne ha fatta una) riunioni su riunioni, incontrando il suo gruppo dirigente: Alfano, Santanchè, Verdini, i capigruppo, alcuni ministri (Lupi e Quagliariello). Falchi e colombe tutti insieme: «In quel gruppo dirigente», ci dice un deputato, «si incontrano e a volte si scontrano opinioni diverse quando non addirittura opposte: ma la figura del traditore non c’è». Le truppe invece sono a Roma. Non che si sentano abbandonate, però insomma. La riunione dei gruppi con Berlusconi, che avrebbe dovuto tenersi ieri, è saltata. E così i fedelissimi del Pdl (perché in questo momento sono tutti molto più fedelissimi di quanto si creda, anche se la fedeltà viene declinata in modalità diverse) si ritrovano alla Camera o al Senato o in giro, un po’ come capita. Non ci sono riunioni organizzate ma conciliaboli di parlamentari smarriti, che si interrogano su quel che succederà senza potersi dare una risposta. Sono gruppetti occasionali, non correnti. «E nessuno», giurano, «ha rapporti di intelligence con il nemico». Assicurano che sono ben pochi, ammesso che ci siano, quelli che stanno architettando - una volta che Silvio dovesse ordinare lo shutdown - il sostegno a un Letta bis. Pare che nessuno si illuda più che sia possibile costruirsi un futuro nel centrodestra dopo aver voltato le spalle a Berlusconi: i precedenti (Fini) non sono incoraggianti. Quel che però è certo è che, più o meno segreta, prima delle elezioni era circolata una lista di proscrizione con tutti i nomi di quelli che, a babbo morto, sarebbero stati pronti ad accorrere in soccorso al vincitore. In quella lista c’erano anche nomi grossi, pure ministri ed ex ministri: Quagliariello e Sacconi, per dirne due. Gli interessati hanno smentito, e d’altra parte sono stati comunque ricandidati. Ma si dice che la Santanchè e Verdini, una nuova lista l’abbiano già mostrata al Cavaliere. Sarebbe solo l’ennesima puntata di uno scontro interno che ormai è alla luce del sole. Tutti dicono di voler difendere Berlusconi. Ma i falchi sono per la rottura, la crisi di governo, le elezioni subito. Le colombe per la Realpolitik. Sul perché i falchi facciano i falchi, fra le colombe circolano due ipotesi. Una benevola, l’altra velenosa. L’ipotesi benevola ce la racconta questa naturalmente anonima colomba: «I falchi sono tutti figli di culture politiche minoritarie. Galan e la Prestigiacomo vengono dal Pli, Verdini dal Pri, Capezzone dai Radicali e la Santanché non si sa bene da dove ma direi dai missini. Fateci caso: tra loro non c’è un ex democristiano o un ex socialista». Forse il solo Ignazio Abrignani, che è stato scajoliano, ha respirato qualcosa di democristiano. Ma per il resto i falchi «non hanno una cultura politica d’insieme, di governo: preferiscono lo stare ai margini, il “meglio soli”. A cosa mirano? A guidare, in futuro, un partito da dieci per cento; nei casi più romantici, all’ultima raffica di Salò». Quest’altra colomba ci illustra invece la seconda ipotesi, quella appunto velenosa: «Secondo me c’è in loro della malafede. Sapete qual è il sogno della Santanchè? Berlusconi a San Vittore e lei fuori dal carcere che fa le conferenze stampa. Così diventa il nuovo leader». Le colombe insistono su un punto: «Passiamo per traditori o pappamolla, ma in realtà siamo noi quelli che vogliamo davvero il bene di Berlusconi. Gli altri gli prospettano vie d’uscite improbabili, come le elezioni subito, che lo porterebbero alla rovina». E quale sarebbe il bene per Berlusconi? Forse lo possiamo chiamare il male minore: «Lui decadrà da senatore, è scontato e inevitabile. Allora bisogna non lasciarlo isolato». Per capire che cosa voglia dire «isolato» per uno del Pdl, bisogna prima psicanalizzare l’uomo - e non solo il parlamentare - di centrodestra italiano: «Noi siamo in un lebbrosario, nel quale ci hanno messi la stampa perbene, la finanza perbene, la cultura perbene e così via. Chi è di centrodestra, in Italia, ha la lebbra. Ora fra noi e il lebbrosario ci sono però le larghe intese, il governo Letta e il Quirinale. Sono queste tre entità che ci permettono di non essere tagliati fuori. Abbandonarle sarebbe un suicidio». Il ragionamento delle colombe è poi questo: nel momento in cui Berlusconi è necessario per la stabilità e la ripresa,Berlusconi è sdoganato. Nel momento in cui dovesse far saltare il governo, tutte le colpe sarebbe sue: lo spread, la crisi economica, il caos istituzionale. Questa posizione nel partito è largamente dominante. Ma nel Pdl non si usa andare alla conta. Decide il capo. E il capo è ferito. È convinto di aver subìto un’ingiustizia che non riesce ad accettare. Dovesse far prevalere l’orgoglio sul calcolo, e decidere che è meglio la bella morte, tutti, o almeno quasi tutti, lo seguirebbero: anche le colombe. Perché sarebbe difficile trovare il coraggio, o la viltà, di lasciarlo solo.