Luca M. Possati, L’Osservatore Romano 12/9/2013, 12 settembre 2013
UN KALASHNIKOV A TESTA
«C’è un’arma ogni dodici persone nel mondo, il mio compito è armare le altre undici». Le parole di Yuri Orlov, il personaggio protagonista del film Lord of War (2005), interpretato da Nicolas Cage e ispirato a una storia vera — quella di Ludwig Fainberg, criminale narcotrafficante israeliano, catturato e condannato nel 1999 dalle autorità statunitensi — sintetizzano alla perfezione l’essenza, terribile, del mercato clandestino delle armi nel mondo. Una piaga che ha dimensioni spaventose, in continua metamorfosi: secondo un rapporto dell’Unodc (United Nations Office on Drugs and Crime), nel 2010 il valore complessivo del mercato legale ammontava a circa 1,58 miliardi di dollari, mentre quello dell’illecito raggiungeva i 320 milioni di dollari l’anno. Ma in realtà, nelle tasche dei grandi cartelli criminali finiscono molti più soldi, ed è impossibile tracciare un bilancio attendibile o anche solo definire i contorni del fenomeno. Secondo il rapporto annuale del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) nel 2012 si sono spesi nel mondo 1.753 miliardi di dollari per le armi. A ciò si aggiunge un altro aspetto, nuovo, e ancor più complesso: quello del traffico clandestino su siti specializzati in rete che violano ogni tipo di controlli.
Il primo problema concerne l’interazione tra il mercato legale e quello illegale. La maggior parte delle armi vendute illegalmente proviene dal mercato legale, e viene sottratta e fatta circolare grazie a una serie di particolarissime metodologie che sfruttano le lacune dei controlli da Stato a Stato. Inoltre, la sua stessa natura — anzitutto il fatto che le armi sono merci durevoli, a differenza per esempio dei farmaci, e quindi non hanno bisogno di un aggiornamento — rende il loro traffico qualcosa di particolarmente subdolo: dipendente, e spesso nascosto, da altri traffici più remunerativi, in primis quello della droga o degli organi. E non bisogna dimenticare, ovviamente, il sostegno del terrorismo e l’appetito dei mercati emergenti. Poli attrattivi del traffico sono soprattutto le zone di guerra, dove sono attivi piccoli gruppi di miliziani perennemente affamati di armi.
Dalla comunità internazionale finora sono giunti pochi veri segnali di contrasto. Lo scorso aprile, con 154 voti a favore, 3 contrari e 23 astenuti, l’assemblea delle Nazioni Unite ha approvato il primo trattato sulla compravendita delle armi convenzionali: entro due anni sarà molto più difficile vendere armamenti a Paesi sottoposti a embargo, che violano diritti umani o che hanno rapporti con terrorismo e criminalità organizzata. La questione ha tuttavia creato una spaccatura nel Consiglio di sicurezza. Ha pesato l’astensione di Mosca: quello dell’antico territorio sovietico — data la presenza di un enorme arsenale — resta ancor oggi uno dei mercati illegali di armi più prolifico al mondo.
Se questa è la situazione generale, un capitolo a parte, inesplorato e intricato, è rappresentato dal traffico in rete, che avviene in quella zona franca chiamata dagli esperti deep web, la parte profonda, nascosta di internet. Nel deep web esistono siti dove è facilissimo comprare armi di ogni tipo a poco prezzo o addirittura assoldare un killer, e tutto senza lasciare tracce. Siti come Silk Road, la «via della seta»: il suo indirizzo non si raggiunge con i comuni browser, perché bisogna installare tor, un software che garantisce l’anonimato sviando i controlli e mascherando le tracce. Nessuna transazione rintracciabile: niente PayPal, niente carte di credito. Si paga — riferiscono fonti specializzate — solo con Bitcoin, una moneta elettronica peer-to-peer (da computer a computer) nata nel 2009, che equivale a circa quattro euro e non è emessa da banche o Governi ma da un network di computer. Si basa sulla crittografia a chiave pubblica, e non è individuabile come i normali sistemi di pagamento in internet: i trasferimenti sono anonimi. Inizialmente Silk Road vendeva solo droga: Lsd, hashish afghano, ecstasy, eroina, metanfetamine. Dal 2012 si è specializzato in armi e documenti falsi. Due senatori del Congresso americano, Charles Schumer e Joe Manchin, hanno chiesto al Dipartimento di giustizia di chiudere Silk Road, ma non è stato possibile.
Un altro “luogo privilegiato” è The Armory, sempre basato sulla tecnologia tor. Una volta effettuato l’accesso, l’utente, in pieno anonimato, può scegliere tranquillamente tra le offerte di armi proposte dagli altri utenti o fare richiesta per un’arma precisa. Con un semplice clic chiunque compra un kalashnikov AK-47 e lo riceve comodamente per posta impacchettato in un’elegante custodia da violoncello, tempo una decina di giorni.
La cosa più sconvolgente è che in futuro grazie a questi siti nel deep web non saranno soltanto le organizzazioni criminali a potere vendere armi, ma anche privati cittadini. Come Zhou Zhaoping, trentunenne dalla provincia di Juangsu, che nel 2012 è finito in manette con l’accusa di aver venduto in nero grandi quantità di armi in tutta la Cina. Un giorno non serviranno più i trafficanti: a quel punto, le undici persone mancanti evocate da Orlov si saranno già armate da sole.