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 2013  settembre 11 Mercoledì calendario

PERCHÉ L’ITALIA È MENO FELICE?


Stretta tra Slovenia e Slovacchia, l’Italia è solo al quarantacinquesimo posto nella classifica della felicità delle nazioni nel mondo. Che cosa significa?

Ogni anno l’Onu pubblica il «World Happiness», il rapporto che mappa gli indici di soddisfazione. In 12 mesi il nostro Paese ha perso ben diciassette posizioni.

Chi ha redatto il rapporto?

A elaborare lo studio sono stati esperti mondiali in diversi campi economia, psicologia, statistica, sondaggi - tra cui il «guru» della Columbia University Jeffrey Sachs, consigliere speciale del Segretario Generale Onu, Ban Ki-moon. La classifica riguarda gli anni 2010-2012.

Chi guida la «hit parade del sorriso»?

I Paesi del Nord Europa fanno la parte del leone: in testa c’è la Danimarca, seguita dalla Norvegia, dalla Svizzera, dall’Olanda e dalla Svezia. Canada, Finlandia, Austria, Islanda e Australia completano la top ten davanti a Israele.

E gli Stati Uniti?

Sono stabili al diciassettesimo posto, dietro Panama e Messico. Ma il Nord America è il continente con il tasso di felicità più elevato.

Quali sono i Paesi meno felici?

Il Togo, il Benin e il Burundi. La Siria è al 148° posto.

Con quali criteri è stato compilato il rapporto?

Il rapporto parte da un presupposto fondamentale: i valori immateriali sono responsabili per la felicità delle Nazioni tanto quanto fattori più tangibili, come il Pil o la ricchezza personale. «Il benessere dipende anche dalla cultura e dalla forza delle nostre relazioni», è la tesi del premier britannico David Cameron, che è stato il primo a lanciare un indicatore della felicità.

Perché è utile misurare la felicità?

«Sempre più leader mondiali spiega nell’introduzione l’economista Sachs - parlano dell’importanza di un indice della felicità come guida per le loro Nazioni e per il mondo. C’è una crescente domanda a livello globale che le politiche siano più strettamente allineate con quel che importa davvero alla gente, per come essa stessa definisce quel che la rende felice».

Quali sono i criteri con cui si stabilisce il grado di soddisfazione?

Sarebbero sei, secondo gli autori dello studio, i fattori che contribuiscono al 75% delle variazioni della felicità di una Nazione di anno in anno: Pil, durata media della vita, la sensazione di avere qualcuno su cui contare, la libertà di fare le proprie scelte di vita, la libertà dalla corruzione e la generosità dei propri connazionali.

Come si spiega il crollo dell’Italia?

Gli esperti puntano il dito sull’erosione del Welfare e sulla persistente crisi economica. «La povertà è diventata la principale malattia degli italiani - spiega l’economista Giuseppe De Marzo, che ieri sera a Grosseto ha partecipato al lancio della campagna «Miseria Ladra», ideata dall’Associazione Libera di Don Luigi Ciotti . «I dati Istat ci dicono che sono ormai più di 8 milioni i cittadini e le cittadine che vivono una condizione di povertà relativa e poco meno di 3 milioni e mezzo quelli in povertà assoluta. L’Italia è in Europa il Paese meno sicuro per nascere. Il 32,3% di chi ha meno di 18 anni è a rischio povertà».

Perché i Paesi scandinavi continuano a correre?

«Nell’Europa del Nord le città «funzionano», con servizi di ogni genere: traffico automobilistico sempre più scarno, aree conviviali sempre più estese. Tutto ciò dà una sensazione di benessere», spiega Paolo Cacciari, tra i promotori del Festival della Decrescita di Venezia. Il Welfare è fondamentale. «Sapere di avere un futuro tutelato dalla collettività prosegue lo studioso - rasserena e rende più felici».

Come farà l’Italia a recuperare posizioni in classifica?

Secondo il sociologo Domenico De Masi gli italiani devono scommettere su se stessi. «Per certi versi noi dovremmo essere strafelici: abbiamo clima, natura, opere d’arte», dice. Purtroppo, prosegue, «ci rende infelici il disorientamento. Non abbiamo più una coscienza della nostra utilità come società. Senza parametri di navigazione, senza sapere cosa sia bene o male, libertà o schiavitù, rischiamo seriamente di andare a sbattere».

Quali sono le risorse su cui puntare?

Secondo Giuseppe De Marzo «possiamo tornare a parlare di speranza e a ricostruire un noi collettivo. Soprattutto se sapremo guardare alle parti più vive del Paese».