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 2013  settembre 11 Mercoledì calendario

CHIEDIMI SE SONO FELICE

Il mondo è leggermente più felice, noi italiani molto meno. Lo dice l’ultimo «World Happiness Report» elaborato per le Nazioni Unite in vista della prossima Assemblea generale. A tirare un po’ in su il dato globale è il benessere percepito in alcuni Paesi in via di sviluppo. A tirare giù noi, la crisi economica in atto con i suoi pesanti contraccolpi psicologici e sociali. Le cifre sono da prendere con le pinze: nulla è più difficile da misurare della felicità. A leggerle, comunque, fanno male. L’Italia perde 17 posizioni, precipitando al 45° posto nella graduatoria planetaria, tra Slovenia e Slovacchia. I migliori restano i soliti noti, i Paesi nordici, con la Danimarca in testa seguita da Norvegia, Svizzera, Olanda e Svezia. Anche gli ultimi sono sempre gli stessi, una sfilza di Paesi africani a cui si aggiunge la Siria (peggio di tutti il Togo). Ma la stabilità generale si infrange nel cuore dell’Eurozona: la notizia di quest’anno siamo noi, assieme agli altri Paesi economicamente travagliati indicati con l’acronimo «Pigs» (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna). Perdiamo tutti molte posizioni, più di quelle che si potevano prevedere sulla base degli indicatori economici. Crolla ma sta meglio di noi la Spagna, al numero 38. Per non parlare dei cugini francesi che ci guardano dall’alto in basso, posizionati al numero 25, una casella sopra la Germania.
L’assunto che persone appartenenti a culture diverse rispondano in modo omogeneo a domande sulla felicità è discutibile, lo studio dunque ha dei limiti. La classifica, inoltre, presenta qualche anomalia che sfida il buonsenso: davvero è meglio vivere in Costa Rica (12) e in Messico (16) che negli Stati Uniti (17)? Se è così, bisognerebbe spiegarlo a chi attraversa illegalmente il confine. Possibile che Israele, sempre sotto la minaccia della guerra e del terrorismo, sorrida serenamente all’undicesimo posto? E che dire degli Emirati Arabi Uniti? Sono nella parte alta, al quattordicesimo posto, nonostante la condizione delle donne sia tutto fuorché felice. Il contentometro è forse impazzito?
La fotografia della felicità internazionale è stata scattata in base all’autovalutazione di centinaia di migliaia di cittadini, intervistati tra 2010 e 2012 sul grado di soddisfazione per la propria vita. Sei le variabili conteggiate: il prodotto interno lordo pro-capite, l’aspettativa di vita, il sostegno sociale nei momenti difficili, la percezione della corruzione, la diffusione della generosità, la libertà di fare le proprie scelte. Sarebbe proprio quest’ultimo il fattore che spiega meglio il deprimente giudizio espresso dagli italiani: sentiamo il ventaglio delle opportunità restringersi davanti ai nostri occhi. Più che la felicità, è la speranza di scegliere liberamente cosa fare che rischia l’estinzione. Eppure anche così i conti non tornano, ammette il rapporto: i sei fattori messi insieme spiegano appena un terzo del calo subito dall’Italia e dagli altri Pigs. Un altro terzo è dovuto alla disoccupazione che spegne il sorriso anche a chi un lavoro ce l’ha ma teme di perderlo, oppure annovera dei disoccupati fra i propri cari. Resta da spiegare la terza fetta di felicità perduta. Il rapporto se la cava suggerendo che sia l’effetto combinato dell’incapacità degli individui, delle comunità, dei governi di fare ciò che ci si aspetta da loro per fronteggiare la crisi. La decrescita, ahimè è infelice. Uno degli autori e ispiratori del rapporto, Jeffrey Sachs della Columbia University, ha presentato i dati augurandosi che le politiche vengano allineate a quello che davvero importa alla gente, non solo agli indicatori economici e finanziari. Giusto. Ma forse aveva ragione anche l’Economist quando scriveva che, visti i risultati non proprio brillanti ottenuti dai governi con il Pil, l’ultima cosa che ci possiamo augurare è che inizino a occuparsi di «gaudio interno lordo».
Negli ultimi anni di austerità, notava il settimanale britannico, sembra che la felicità sia diventata sempre più materia di studio per gli economisti. Chissà se torneranno a occuparsene i filosofi quando l’economia avrà ripreso a girare forte e bene.
Anna Meldolesi