Francesco Billi (vedi note), 9 settembre 2013
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DEL 9 SETTEMBRE 2013
Oggi la Giunta delle elezioni del Senato presieduta da Dario Stefano (Sel) avrà davanti a sé un percorso lineare da compiere: data la legge Cancellieri-Severino-Monti del 2012 (decadenza del parlamentare condannato a pena superiore a due anni), il senatore Silvio Berlusconi (condannato a quattro anni per frode fiscale nel 2013) deve perdere «di diritto» il suo seggio a Palazzo Madama. Sì o no, prendere o lasciare. [1]
Ma non andrà così. Perché il relatore Andrea Augello (Pdl) – anche sulla base dei sei pareri pro veritate depositati dai giuristi mobilitati da Berlusconi – ha già predisposto una «batteria» di questioni pregiudiziali (accolte dal Pdl e, tutto sommato, non ancora respinte al mittente dal Pd) che avrebbero come orizzonte tattico quello di sollevare un «interpello» davanti alla Corte di giustizia dell’Unione Europea del Lussemburgo per poi arrivare almeno al 15 ottobre prima di aprire formalmente la procedura di contestazione (inevitabile) contro Berlusconi. Che, solo a quel punto, verrebbe chiamato a difendersi in udienza pubblica in giunta al Senato. [1]
Repubblica sabato sosteneva addirittura l’ipotesi che i legali del Cav. stiano preparando un ricorso alla corte di Appello di Brescia per la revisione del processo, vista la presenza di un fatto nuovo (il fatto nuovo sarebbero delle carte svizzere su Agrama mai acquisite in dibattimento che dimostrerebbero come Agrama non sarebbe quel «socio occulto» nel commercio dei diritti televisivi disegnato nella sentenza ma «l’intermediario ufficiale ed esclusivo tra la Paramount e molte tv europee»). [2]
Liana Milella: «Non è la grazia da chiedere, quasi come un’elemosina, a Napolitano. Bensì una mossa che avrebbe il vantaggio, qualora dovesse effettivamente risultare vincente, di cancellare del tutto la condanna, quella macchia sulla fedina penale che Berlusconi considera “insopportabile e ingiusta”. Mossa che, ancor prima di eliminare la condanna, produrrebbe l’effetto di sospendere subito la pena liberando così il Cavaliere dall’incubo di dover scegliere entro il 15 ottobre se scontare un anno agli arresti domiciliari oppure con un affidamento ai servizi sociali». [2]
Intanto, dopo un lungo stato di incertezza sul da farsi, a cui ha contribuito un partito diviso tra falchi e colombe, l’ex premier si sarebbe convinto a mantenere la linea di sostegno al governo Letta, separando insomma il proprio destino da quello dell’esecutivo. Ha deciso per il momento di chiudere nel cassetto il video messaggio che aveva già registrato, di annullare gli appuntamenti pubblici che aveva già in programma. «L’ha fatto come si fa con una pistola nella fondina, con il dito sempre pronto sul grilletto. Perché come sostiene Brunetta se oggi in Giunta al Senato il Pd facesse precipitare la situazione, allora sarebbe il finimondo». [3]
Per anni a Berlusconi hanno detto che era entrato in politica per salvarsi, ora gli dicono che deve uscire dalla politica per salvarsi. Verderami sul Corriere: «Se il Cavaliere recalcitra, è un po’ perché non vorrebbe sottomettersi a un atto che sa di contrizione, un po’ perché vorrebbe che la clemenza si estendesse all’interdizione, che lo atterrisce quanto la decadenza da parlamentare e l’ineleggibilità. Il fatto è che Berlusconi teme di rimanere senza scudo giudiziario ma anche senza voce, “e io voglio poter parlare ancora agli italiani”. È un’angoscia, la sua, pari quasi alla perdita della libertà personale e alla prospettiva di finire nel mirino di una nuova offensiva giudiziaria appena fuori dal Parlamento. È un’ansia claustrofobica, è la paura dell’isolamento». [3]
Verderami dice anche che Marina, preoccupata per i contorcimenti del padre, ha riunito fratelli e sorelle in modo da convincere il genitore: «Se non vuoi firmarla tu la grazia, lo facciamo noi. Siamo pronti». [3]
Qualcuno molto addentro sostiene che in tutto questo ci sia lo zampino di Confalonieri. Sebbene manchino conferme ufficiali, si dice che Napolitano abbia incontrato sia il presidente di Mediaset sia Gianni Letta. Magri sulla Stampa: «Quando sono in gioco questioni serie, a cominciare dalla stabilità politica con una guerra vera alle porte, non c’è da stupirsi che la diplomazia si metta al lavoro. E addirittura adesso c’è chi, tra le persone più care al Cavaliere che sono i figli e la compagna Francesca, si spinge a fantasticare un pubblico discorso in cui Napolitano riconosca a Berlusconi l’onore delle armi, gli prometta la grazia per l’oggi e per il domani, gli chieda in cambio di tornare nella trincea del lavoro e dell’impresa da dove aveva iniziato, dicendo definitivamente addio alla politica... Se il Capo dello Stato avesse questo coraggio, assicurano gli intimi, lui mollerebbe senza esitare falchi e colombe al loro destino, scegliendo la libertà». [4]
La pensa al contrario Antonio Padellaro, direttore del Fatto Quotidiano: «Berlusconi ha capito che un eventuale aiutino dal Colle (la grazia, ma assai meglio la commutazione della pena in ammenda) può arrivare solo innalzando il livello dello scontro. Finché la decadenza da senatore resta nell’ambito della pura applicazione della legge Severino, egli non ha scampo. Il Pd gli dovrà per forza votare contro nella Giunta e in aula, per non perdere la faccia e soprattutto la metà dei voti alle prossime elezioni, che potrebbero non essere lontanissime. Se invece tutto si trasforma nel caso politico del leader del Pdl, colonna della maggioranza abbattuto dall’alleato Pd, ecco che l’inevitabile crisi di governo potrebbe aprire al pregiudicato nuovi spazi di trattativa». [5]
Padellaro immagina che, dopo il voto sfavorevole in Giunta, le cose andranno così: i ministri berluscones si dimettono per solidarietà. Rapido giro di consultazioni e il capo dello Stato spedisce Enrico Letta in Parlamento a verificare se esiste ancora una maggioranza. Si apre un dibattito durante il quale si cerca di far passare l’idea che un leader di tale stazza, prima di essere affondato, meriti almeno un approfondimento sulla costituzionalità della contestata Severino. E qui si rivela prezioso l’apporto dei cosiddetti scudi umani di centrosinistra che da settimane insistono per approfondire le ragioni del reo. Finisce che i ministri berluscones rientrano all’ovile governativo, mentre la Giunta comincia le audizioni di giuristi dei più svariati colori (il necessario pluralismo). Tempi previsti piuttosto lunghi, ma con il possibile ricorso alla Consulta si potrebbero perfino superare i 14 mesi di Previti. In un clima politico positivo, al Quirinale si prendono in esame le varie ipotesi di clemenza. [5]
Altri invece, sempre a sinistra, credono che gli ultimatum del Pdl siano niente di più di un semplice e formidabile bluff. Napolitano, si sa, considera un’opzione irricevibile quella di sciogliere le Camere dopo quattro mesi di governo e in più occasioni ha fatto capire che far saltare la grande coalizione significherebbe rompere il patto sottoscritto da Pd e Pdl per convincerlo ad accettare la rielezione alla presidenza della Repubblica. E le conseguenze della rottura di questo patto le dice Giorgio Tonini, senatore Pd con familiarità con gli ambienti quirinalizi: «Una delle ragioni che mi porta a credere che quella di Berlusconi sia una mano di poker priva delle carte giuste per far saltare il banco si trova in un passaggio del discorso d’insediamento di Napolitano dello scorso 25 aprile: “Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese”. In linea di principio significa che con una rottura del Pdl il presidente sarebbe messo di fronte a una chiara violazione del patto e potrebbe lasciare il Quirinale facendo scegliere a questo Parlamento il nuovo capo dello Stato. E visto il ruolo d’equilibrio esercitato in questi anni da Napolitano dubito che Berlusconi voglia correre il rischio di ritrovarsi ai domiciliari con al Quirinale un presidente eletto da Pd e M5s». [6]
Dunque, come un paziente a cui viene controllata continuamente la pressione, così i Berlusconi e i berlusconiani verificano ora per ora l’umore del Cav., i suoi ultimi convincimenti. Attorno a lui si muovono gli avvocati che studiano i ricorsi del cliente, i figli che sorvegliano le mosse del padre, i dirigenti di partito che si alimentano delle parole del leader e ne alimentano le diverse tendenze. Il bollettino è aggiornato senza sosta. Tutti sono in attesa e circondano il Cavaliere, che in fondo vive già da sorvegliato. [3]
Note: [1] Dino Martirano, Corriere 7/9; [2] Liana Milella, Repubblica 7/9; [3] Francesco Verderami, Corriere 7/9; [4] Ugo Magri, Stampa 6/9; [5] Antonio Padellaro, Fatto Quotidiano 5/9; [6] Claudio Cerasa, Foglio 6/9.