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 2013  settembre 10 Martedì calendario

L’ALTRO DE GREGORI

Se hai scritto una canzone come Il bandito e il campione, l’hai fatta ascoltare a tutti i discografici di Milano e hai ricevuto solo no o hai sbagliato mestiere tu o lo hanno sbagliato loro.
Non so se Luigi Grechi abbia mai trovato una risposta alla domanda. Oggi non se la fa più. Dall’anno scorso il suo vero nome non gli fa più paura, se lo è ripreso, pur sapendo che tutti avrebbero cominciato a chiamarlo “l’altro De Gregori”. «Grechi era il nome di mia madre. Cambiare nome ha senso da giovani, quando si hanno dubbi sulla propria identità, problemi che oggi non ho più. Me lo ha suggerito Francesco: sarebbe ora che tornassi al tuo nome».
Luigi (Grechi) De Gregori, quindi. Nato a Padova nel 1944, sette anni prima del fratello. Professione folksinger, dopo dieci anni da bibliotecario, una tradizione di famiglia. Una decina di album all’attivo, anche autoprodotti, l’ultimo è Angeli & Fantasmi. Un premio Tenco, molti concerti.
L’imprinting musicale è quello del Folkstudio, un mito romano che in parte va sfatato. «La scuola romana dei cantautori c’era perché c’era il Folkstudio, non viceversa. Era un posto unico. Ma che un locale con quella caratura internazionale fosse nato nella Capitale è una pura coincidenza». Anche oggi si parla di una scuola romana: Silvestri, Cristicchi, Britti. «Tre nomi degnissimi, tre romani che scrivono canzoni, non parlerei di scuola romana. Roma non è come Napoli, non esiste una vera e propria tradizione».
Da ragazzi lui e Francesco si scambiano i primi dischi. «Mi ha fatto conoscere Jannacci, i Gufi, Nanni Svampa, io gli ho fatto ascoltare Dylan, Pete Seeger, Joan Baez. Francesco dimostrava un talento musicale innato, soprattutto con l’armonica, che è sempre stato il suo strumento preferito».
I primi soldi li guadagna suonando in tour con il fratello. C’è anche Luigi sul palco, il 2 aprile del 1976 al Palalido di Milano, quando un gruppo di autonomi interrompe il concerto di Francesco De Gregori e sale sul palco. «Io vivevo a Milano, conoscevo tutti, sapevo quello che sarebbe successo. C’era in atto una vera e propria guerra per il controllo degli spettacoli, attraverso la fornitura del servizio d’ordine: Lotta Continua, Movimento studentesco, Potere operaio, eccetera. Francesco non aveva nessun servizio d’ordine per cui bastarono un centinaio di persone per prendere in mano la situazione».
Oggi Luigi De Gregori vive di concerti, gira l’Italia a caccia di occasioni per suonare. «Sono in cerca di un agente ma per quello che faccio io non c’è un circuito. Il country è per ubriaconi che si vestono da cowboy, il folk in Italia è solo cornamuse e tamburelli».
Con il fratello condivide anche la passione per la politica. Ha letto la sua intervista al Corriere della Sera. «Abbiamo ricevuto una buona educazione, l’abitudine di leggere libri e di guardarci intorno. Non sono iscritto a nessun partito, mi considero un vecchio militante del Pci, ho seguito tutte le mutazioni della sinistra, spesso turandomi il naso. Mia madre era insegnante, il papà bibliotecario: in tutti questi anni la scuola e la cultura sono state smantellate, un anno dopo l’altro. Oggi è difficile avere ancora fiducia». Il ’68? «Di buono ha lasciato poco, di approssimativo tanto, ha spesso distrutto senza ricostruire». Matteo Renzi? «Per quello che ne so è una persona ambiziosa e attiva, se si vuole prendere questa gatta da pelare che se la prenda, è il suo momento».
La storia di Girardengo e Sante Pollastri gliela racconta il suo amico Giancarlo Cabella, che ora non c’è più. «Lui era di Novi Ligure e mi parlò di questa strana amicizia tra il campione di ciclismo, originario di Novi, e il “feroce bandito” anarchico. Una storia che parlava da sola». Molte leggende, ma qual è la verità? «Sante Pollastri era una persona riservata. Su chi l’aveva tradito disse soltanto: “a bagassa”, senza fare nomi. Al processo non si difese, si limitò a spiegare: “ho le mie idee”. Nel carcere fu un detenuto modello, arrivò anche a sedare una rivolta, per questo fu graziato dal presidente Ronchi e tornò a Novi Ligure. Il suo è stato un percorso di redenzione: credo che tutto quel sangue gli pesasse».
La storia della canzone non è meno avventurosa. «L’ho incisa nel 1990 nella mia prima cassetta autoprodotta: la vendevo nei concerti, la usavo come demo per cercare un contratto. Francesco mi disse subito: “E’ un gran pezzo”. Andai da tutti i discografici di Milano che invece mi dicevano: “Di questa roba non frega niente a nessuno”».
Tre anni dopo Il bandito e il campione dà il titolo a un album dal vivo di Francesco De Gregori. La canzone scritta da Luigi è l’unica incisa in studio. Vende 500mila copie. “E chi sarà il campione già si capisce”.