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 2013  settembre 11 Mercoledì calendario

VITA DI WILLY BRANDT IN MUSICAL

Un po’ Opera da tre soldi e un po’ Cabaret. A Lubecca va in scena il musical Willy Brandt- die ersten 100 Jahre, i primi cento anni di Herbert Framm, che vide la luce nella città di Thomas Mann e dei Buddenbrock, nel dicembre del 1913, alla vigilia della Grande Guerra. E a vent’anni, appena Hitler giunse al potere, se ne fuggì in Norvegia.
Tornò dodici anni dopo, alla sconfitta del III Reich con la divisa norvegese e il nome di battaglia: Willy Brandt. Un «tradimento» che molti dei suoi connazionali non gli perdonarono, come non perdonarono un’altra che se ne andò all’estero, Marlene Dietrich, che tornò in patria come cittadina americana. Perfino Adenuaer, nella foga elettorale, si lasciò scappare una battuta di cattivo gusto: «Cosa vuole quel figlio di nessuno?», allusione alla madre nubile di Willy.
Lubecca è una tranquilla cittadina a 50 chilometri a Nord di Amburgo, patria del marzapane, e con due premi nobel, Thomas Mann e, appunto, Willy. Neanche a Mann hanno perdonato di aver «messo in piazza» i pettegolezzi locali nel suo primo romanzo. E la casa di famiglia ospita una banca, e solo da pochi anni al primo piano è stata trasformata in museo, con mobili dell’epoca ma non quelli dei Mann.
E Brandt preferì rimanere a Berlino, dove iniziò la carriera politica, e divenne borgomastro.
L’attore che lo impersona, Andreas Hutzel, ha preferito mettersi sul volto la maschera di Willy: meglio un bravo interprete che qualcuno che abbia una vaga rassomiglianza con l’originale. Forse, a leggere le recensioni, lo spettacolo non è eccezionale, ma non importa: dimostra come i tedeschi, in fondo, sappiano maneggiare la loro storia recente senza i nostri complessi e falso rispetto. Sarebbe possibile in Italia in musical sulla vita Berlinguer, o di Togliatti, o di De Gasperi? Abbiamo girato un film su Andreotti, ma il teatro è un’altra cosa. Peggio, se il protagonista canta duetti e si esibisce in passi di danza contornato da girls in calze nere e giarrettiere.
Le donne non mancano nella vita di Willy, tra mogli e amanti. Bonn era un paese trasformato in capitale provvisoria, e tutti sapevano tutto di tutti. Il Cancelliere, in campagna elettorale, vagava per il paese in vagone letto, e saliva a bordo una nostra collega bionda.
Ma nessuno ne scriveva, la vita privata non era argomento politico, anche perché i politici non mettevano in scena la famiglia per guadagnare qualche voto. E lei, la giornalista, non ne approfittò mai per conquistare uno scoop.
In scena appaiono anche i due Günter, la spia Guillaume, che provocò, senza volere, la caduta di Brandt, e il nobel Grass, trasformato in gobbo e giullare di corte, impegnato nella propaganda elettorale. Ma l’agente segreto era una pedina avvelenata: i servizi segreti lo avevano scoperto da almeno un anno, e lo usarono al momento giusto per eliminare Willy e la sua scomoda Ostpolitik. I compagni socialdemocratici arrivano sul palcoscenico con la toga dei senatori romani, per congiurare contro il loro Cesare venuto dal Baltico. Non mancano neppure le battute su Willy Weinbrandt per alludere al debole di Willy per il cognac (Weinbrand in tedesco). Breznev canta da basso, e Helmut Schmidt da baritono, tra ragazze vestite da SS o da studentesse del ´68. E Willy canta il refrain «Ein bische Frieden», un po’ di pace, tra Adolf Hitler e Kennedy. L’ opera di Michael Werner non è un capolavoro, spesso cede a un’overdose di kitsch, ma il pubblico si diverte, applaude, perfino si commuove. Che cosa pretendere di più?