Andrea Tarquini, la Repubblica 11/9/2013, 11 settembre 2013
RUDOLF HESS, LE CONFESSIONI SEGRETE DEL GERARCA NAZISTA IN FUGA
«Io volevo realizzare il grande sogno del Führer: la pace tra Germani e britannici, contro il nemico comune, la Russia bolscevica. Non vollero mai credermi». L’appunto dattiloscritto è uno dei tanti, in quel fascicolo di oltre trecento pagine ingiallito dal tempo, e con la dizione “most secret” in alto a destra della copertina beige, che ora riemerso per caso dall’oblio grazie a un misterioso collezionista andrà all’asta negli Usa. È una scoperta sensazionale, ci dice e ci dirà molto di più su uno dei grandi gialli irrisolti della Seconda guerra mondiale: quella spettacolare, avventurosa fuga di Rudolf Hess, il delfino di Hitler, arrivato da solo nel Regno Unito pilotando un bimotore Messerschmitt 110, per proporre una pace separata. Arrivò persino a scrivere a Sua Maestà Re Giorgio VI (il padre di Elisabetta, quello immortalato ne Il discorso del Re). Non convinse nessuno. Non si seppe mai se Hess agì per conto di Hitler, da incoraggiato o da solo. Mai, fino alla sua misteriosa morte, il suicidio per impiccagione negli anni Ottanta nel carcere militare britannico di Berlino-Spandau, di cui era rimasto ultimo ospite. Ultimo criminale nazista condannato a Norimberga e sopravvissuto.
«L’atterraggio di fortuna fu avventuroso», scrisse Rudolf Hess in quei suoi appunti, quasi le sue Le mie prigioni, redatti poi in anni di reclusione di lusso nel Regno Unito fino al processo di Norimberga. «Ero ancora impegnato a cercare di piegare il mio paracadute e di liberarmene, quando il signor David McLean mi scoprì. Non opposi resistenza, mi presentai come “capitano Alfred Horn della Luftwaffe”». Ma quando i soldati della Home Guard e gli agenti dello MI5 vennero da McLean a prenderlo in consegna, capirono subito per memoria fotografica chi avevano davanti a loro.
Trecento pagine e passa, scritte pazientemente con una vecchia nera Remington, pagine piene di correzioni e annotazioni a penna, ecco quanto andrà all’asta e chi sa a qual prezzo sarà venduto. Hess cercò senza successo di usare quel suo diario segreto come sua merce di scambio per difendersi al processo di Norimberga. Ma come materiale processuale il documento non fu reso pubblico, poi sparì. Non si sa come è finito nelle mani di un ignoto collezionista, che dietro lauto compenso (da 200 a 300mila dollari) lo ha offerto alle autorità degli Alleati di allora. Senza dire quasi nulla su come l’aveva comprato, «l’ho avuto da fonti anonime». «Non è un falso», assicurano dopo averlo esaminato gli esperti del Bundesarchiv, l’archivio federale. Insomma non siamo di fronte a un bis della bufala dei diari taroccati di Hitler, questa è roba vera.
Londra si occupò subito del giallo di Hess messaggero o fuggitivo, al massimo livello. Non c’era tempo da perdere per capire cosa stesse succedendo, mentre la Royal Air Force e le sue squadriglie speciali polacche e cecoslovacche combattevano da sole nel mondo contro il vittorioso Reich Millenario, e nei cieli sopra il Tamigi stavano per infliggergli la prima sconfitta. Per primo, rivelano i diari segreti di Hess, «venne a trovarmi il duca di Hamilton, alto ufficiale della Raf, responsabile della difesa aerea sulla Scozia. Spero in lui», aggiunse Hess, «magari è avversario di Churchill, sarebbe pronto a spodestarlo e a riprendere la politica dell’appeasement prima di Churchill». Il duca di Hamilton visitò Hess in una prigione d’oro, una caserma della gloriosa Highland Light Infantry a Glasgow. «Come il Führer, gli dissi — prosegue Hess nelle trecento pagine segrete — anch’io, ed ebbi l’impressione che anche Lord Hamilton la pensasse così, giudicavo la guerra tra i nostri due paesi una sciagura per tutti, tante vittime senza uno scopo degno».
Poi continuò con la sua opera di persuasione: «Mio Lord, capisco che per ragioni di prestigio il governo britannico non può accettare l’offerta di pace del Führer senza una ragione e un’occasione precisa, ma proprio volando qui da voi ho voluto creare la circostanza adeguata. Adesso, con me ministro del Reich venuto a consegnarsi a Voi, il governo di Sua Maestà ha l’occasione di dichiararsi pronto a negoziati sulla base delle proposte che vi ho portato, quelle del Führer».
Proposte precise, e anche a lingua biforcuta: dividiamoci l’Europa, lasciateci liquidare la Russia sovietica, ridateci le colonie perse in Africa nel 1914-18, vivremo in pace da popoli anglosassoni superiori. «Il duca sembrò colpito», annotò Rudolf Hess, «ma non riuscii a smuoverlo dalla sua convinzione che la Germania voleva solo dominare il mondo. Mi promise di esporre ogni mia proposta a Londra alle persone giuste, ma poi con tono di monito mi sussurrò: “Mi creda, la Germania sta andando incontro a tempi difficili”».
Lord Hamilton sapeva di cosa parlava, Hess forse non lo aveva capito. Churchill gli pose un efficace tranello: inviò a visitarlo Lord Simon, ex capo della diplomazia, favorevole all’appeasement con Berlino. Con quel sicuro amico a Hess si sciolse la lingua. Fino a riconoscere infine
che aveva agito da solo, senza alcun mandato di Hitler, e che le sue offerte di pace erano riletture di vecchie proposte del Führer. Fu un monologo di Hess più che un dialogo, protocollato in 71 delle 300 pagine. «Sì, è vero, lo ammetto, sono venuto qui senza ordine del Führer, ma espongo le sue idee, dividiamoci le sfere d’influenza per evitare nuove guerre». Poi, sentendosi non creduto, sbottò in una minaccia: «Se l’Inghilterra non accetterà adesso proposte d’intesa, poi un giorno sarà costretta a farlo». Nulla da fare, Churchill non si lasciò convincere. All’attacco nazista all’Urss reagì con lo storico discorso ai Comuni — «anche patti col diavolo pur di far sparire Hitler» — e inondando l’Urss di armi modernissime, dagli aerei all’elettronica. Invano Hess (rivela sempre egli nei diari segreti) incontrò per fare pressing il magnate dei media anglocanadesi Lord Beaverbrook, pubblicando una “Dichiarazione sull’intesa atlantica”, Londra e Berlino contro il bolscevismo. Vistosi incompreso e respinto, tentò il suicidio gettandosi da una tromba delle scale. Riuscì solo a rompersi una gamba. Scrisse a re Giorgio VI denunciando tentativi dei medici di avvelenarlo, chiedendo inchieste indipendenti sulle minacce alla sua vita e invitandolo a temere più la Russia che la Germania quale nemico dell’Impero. Invano, finì condannato all’ergastolo a Norimberga. E là nel carcere alleato di Spandau, decenni dopo, il suicidio (ma di recente in Inghilterra si è tornato a parlare di “omicidio”) gli riuscì alla perfezione, fino a regalare ai neonazisti un nuovo martire.