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 2013  settembre 09 Lunedì calendario

SINDACI STAR, CIO’ CHE RESTA DEI PARTITI

Un vecchio adagio politicista prevede che siano le leggi elettorali a creare i sistemi politici e non viceversa. Questo non è mai stato tanto vero come nel caso dei sindaci, uniche star rimaste alla politica italiana fatta eccezione per il pencolante Cavaliere. Di più: il sistema di voto entrato in vigore nel 1993 è stato il necessario antecedente della “discesa in campo”. Spiega Roberto D’Alimonte, che insegna Sistema politico italiano alla Luiss: “Credo che l’influenza maggiore che ha avuto l’attuale legge elettorale sui sindaci sia stata quella di accentuare l’evoluzione della politica italiana nel senso della personalizzazione, della leaderizzazione. Anche per via di quella legge, la competizione è sempre meno partitica e più influenzata dalla figura dei candidati”. Questo processo, in larga parte positivo, ha però creato una figura del tutto nuova sulla scena pubblica italiana: il ruolo di primo cittadino si scioglie e si confonde con la politica nazionale, le strategie mediatiche si fanno ossessive e gli staff della comunicazione si gonfiano fino alla cinquantina e più di addetti della Giunta romana di Gianni Alemanno (non che gli siano serviti a molto, effettivamente).
1. La politica del folklore mediatico
Prima delle biciclettate di Ignazio Marino nei Fori (non) pedonalizzati, Walter Veltroni era già il prototipo del sindaco star. Si diceva fosse capace di ricordarsi il nome di tutti i cronisti che lo seguivano e di parecchi di quelli che non lo seguivano nemmeno: li blandiva con grazia, li annegava di affetto e sorrisi. Questo potere inclusivo e sentimentale è stata la cifra del successo dell’ex segretario Pd. Le sue inaugurazioni di vie intitolate a martiri rigorosamente bipartisan erano diventate un classico: un assassinato Br e uno dei Nar, via Agostino Di Bartolomei per i romanisti e via Luciano Re Cecconi per i laziali. E poi il glamour che già aveva catturato il suo predecessore Francesco Rutelli, resuscitatore del centro storico della città eterna: la Festa del Cinema, la mostra su Valentino all’Ara Pacis, le feste al Colosseo, i concerti, i poster giganti a sostegno di questa o quella battaglia d’alto impegno civile. Anche Milanohaavutoilsuosindacostaredessendola città della moda ne ha riassunto lo stile sbarazzino in una solo foto: è quella indimenticabile di Gabriele Albertini ritratto con le mutande ascellari bianche di Valentino (ancora lui). Fuori dalle grandi città lo stile è stato spesso assai meno cool, ma sempre assai attento all’effetto che fa: lo “sceriffo” Giancarlo Gentilini a Treviso fece smontare le panchine nel parco davanti alla stazione per impedire di sedersi alle “decine di negri” che vi stazionavano alla domenica; a Taranto un altro Giancarlo, Cito, traversava a nuovo il mar Piccolo mostrando sul pelo dell’acqua la mascella mussoliniana. Michele Emiliano e Leoluca Orlando, pur diversissimi, se la giocano invece per lo più da “difensori civici” con annessi blitzanti-fannulloni a portata di fotografo, sport in cui è versato pure Luigi De Magistris, il quale però ultimamente pare aver perso la connessione sentimentale con la sua Napoli. Persino Vittorio Sgarbi ha provato senza successo a darsi un nuovo volto facendo il sindaco mediatico in quel di Salemi, Sicilia, in un tourbillon di ospiti illustri e progetti falliti.
2. Quel che resta dei partiti
Eppure non è solo folklore mediatico la parabola dei sindaci star, ma pure tutto quel che resta dei meccanismi di selezione di classe dirigente nella politica italiana: ad oggi vale soprattutto per il centrosinistra – escluso il tecnosindaco di Pavia, Alessandro Cattaneo, detto “il Renzi del Pdl” - ma una volta sparito Silvio Berlusconi anche la destra dovrà rivolgersi lì. Ancora D’Alimonte: “L’espressione ‘partito dei sindaci’ non la amo, ma ha il pregio di sottolineare il peso crescente dei primi cittadini in quel che resta dei partiti. Il sindaco, d’altronde, ha un contatto diretto coi cittadini, è uno che risolve i problemi della gente, se è capace, e questo ha ovvi effetti sul suo consenso e peso politico. Faccio un esempio: qui in Toscana uno dei candidati alla segreteria regionale del Pd sarà probabilmente il sindaco di Pontassieve, Marco Mairaghi. Lo sponsorizza, in chiave anti-Renzi, il presidente della regione Enrico Rossi, che poi è l’ex sindaco di Pontedera”. Condivide Elisabetta Gualmini, politologa e presidente dell’Istituto Cattaneo: “L’importanza dei livelli della politica è cambiata e i sindaci, fin dagli anni ’90, rappresentano una speranza di cambiamento per gli elettori. I motivi sono in sostanza due: il sistema elettorale che gli consente un rapporto diretto coi cittadini e il fallimento della politica nazionale (e regionale), travolta dagli scandali e in crisi di credibilità”.
3. Trampolino di lancio (e paracadute)
Di fronte a leadership nazionali o addirittura europee lontane e astratte, la figura sindaco è l’ultimo baluardo del sistema della rappresentanza davvero funzionante. E così l’uomo del muro anti-immigrati di Padova, Flavio Zanonato del Pd, ora si ritrova superministro dello Sviluppo. Di fronte allo “spappolamento dei partiti e delle loro strutture burocratiche sul territorio” (ancora Gualmini) il primo cittadino è l’unica forma di politica riconoscibile: eletto spesso “saltando l’intermediazione dei partiti”, è alla sua intermediazione che i partiti - per contrappasso - devono rivolgersi per tornare a incontrare gli elettori. Questo concede ai sindaci un potere enorme, quello della legittimazione democratica: “Per questo quella carica è diventata ambita: è un trampolino di lancio per la politica nazionale”. La scalata al Pd di Matteo Renzi, certo, è il caso di scuola e lo è almeno per due motivi: è un sindaco, certo, ma soprattutto - ricorda D’Alimonte - “lo è diventato sfidando e battendo l’apparato del suo stesso partito alle primarie”. Che il processo sia ormai ben compreso a Roma è evidente dalle ultime amministrative (anche qui, Veltroni è un precursore): i leader nazionali espulsi o in via di espulsione dalla stanza dei bottoni hanno preso a puntare sui Comuni. È il caso di Piero Fassino a Torino (con l’annessa poltrona Anci che tanto bene ha portato al ministro Graziano Del-rio) o dei rientri di Leoluca Orlando e Enzo Bianco a Palermo e Catania. La poltrona di sindaco, infatti, può essere un ottimo trampolino di lancio, ma anche un discreto paracadute: il salto nella dimensione nazionale non sempre è un salto di qualità.

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SI CREDE OBAMA, MA RICORDA DI PIU’ I SUOI NEMICI VELTRONI E D’ALEMA -
LA SIGNORIA FIORENTINA di Matteo Renzi si concluderà nel maggio 2014. Difficilmente vorrà continuare a fare il sindaco, sempre che lo abbia mai fatto fino in fondo. Quasi mai presente in Consiglio comunale, sarà ricordato solo per la pedonalizzazione di piazza Duomo. Divorato da un’ambizione sfrenata, il boy scout di Rignano sull’Arno – “n u ovo” ma nell’apparato politico fiorentino (Ppi, poi Margherita e Pd) dall’adolescenza – già sconfitto alle primarie dello scorso novembre da Bersani, vuole ritentare l’assalto al palazzo romano. Potesse farci un pensierino non disdegnerebbe neppure il Soglio Pontificio. Vuole vincere sotto le insegne del Pd, prendendosi anche i voti di destra e con idee molto lontane da quelle della sinistra tradizionale, a partire dalle ricette economiche di Pietro Ichino (nel frattempo passato a Scelta Civica di Monti). Nonostante questo pare un predestinato alla vittoria, in un panorama arido di attori di livello (ma chi è Cuperlo?). Si propaganda come una via di mezzo tra Kennedy e Obama, ma “l’amerikano” a cui somiglia di più è Walter Veltroni, simile la retorica, anche se con una base culturale decisamente inferiore a quella dell’ex sindaco di Roma. Altre somiglianze: antipatia e insofferenza verso chi non la pensa come lui, stile D’Alema. Sì, proprio Veltroni e D’Alema. Viva la Rottamazione.