Il Post 10/9/2013, 10 settembre 2013
DA DOVE VIENE GIANNI CUPERLO
Gianni Cuperlo, con le primarie del Partito Democratico che presto dovranno essere fissate, è uno dei tre candidati finora annunciati (Cuperlo, Civati e Pittella), che si aggiungono alla tentennata ma quasi certa partecipazione di Renzi. Renzi e Civati sono noti protagonisti da alcuni anni del fronte dei potenziali rinnovatori del PD; Pittella, vicepresidente del Parlamento Europeo è un outsider molto poco conosciuto e che molto difficilmente avrà un ruolo rilevante nella competizione. Cuperlo, infine, associa invece una lunga biografia di rilievo nel PD e nei partiti che lo hanno preceduto a una propria limitatissima visibilità “mainstream”, col risultato che molti potenziali elettori del PD non sanno di lui praticamente niente o neanche ne conoscevano il nome prima degli ultimi mesi.
Ma Cuperlo, che ha compiuto 52 anni il 3 settembre, è stato segretario della FGCI e poi della Sinistra Giovanile (le organizzazioni giovanili del Partito Comunista Italiano e del Partito Democratico della Sinistra), poi ha fatto parte della segreteria nazionale dei DS, è stato a lungo stretto collaboratore di Massimo D’Alema ed esperto partecipante di tutti i successivi sviluppi del partito che fu il PCI e che oggi è diventato il PD. Sempre rimanendo un passo indietro rispetto alle visibilità mediatiche dei suoi colleghi, e un passo avanti per cultura e studi che vanno oltre la politica (malgrado sia quello che le è più legato, a oggi non è ancora chiaro quale investimento su di lui voglia fare la parte più antica e tradizionale della leadership del PD, nelle primarie per il segretario).
Gianni Cuperlo si chiama Giovanni ed è nato a Trieste (Cùperlo, accento sulla prima sillaba). Si è laureato al DAMS di Bologna con Mauro Wolf e una tesi sulla comunicazione di massa. Pietro Folena, dirigente della FGCI quattro anni più vecchio di lui, nel 1987 lo portò a Roma a fare il capo degli universitari della FGCI. Ines Loddo, anche lei dirigente dei giovani comunisti, diventò allora la sua compagna (poi moglie e madre della loro figlia: alcune versioni raccontano che il fidanzamento nacque durante un viaggio in Corea del Nord).
Nel 1988 Cuperlo diventò segretario nazionale della FGCI. «Era il più eterodosso dei candidati», ha spiegato Folena: mise d’accordo i pugliesi Nichi Vendola e Franco Giordano, i romani di Nicola Zingaretti, i milanesi di Alex Iriondo e gli emiliani Paolo Amabile e Paolo Fedeli; non piaceva molto ai napoletani di Andrea Cozzolino ma fu eletto con grandi consensi, anche se per carattere e atteggiamento non è mai stato un trascinatore. I suoi interventi sono sempre articolati e profondi, mai banali. Non è tipo da risse, polemica diretta, scontro. Evitava di andare in tv, prima di trovarsi infine queste settimane in un ruolo da potenziale leader e con un bisogno di visibilità. Il suo essere schivo in molti momenti è stato probabilmente un vezzo, ma anche il tratto della sua presenza nel partito: che è stata alterna, fatta di fugaci momenti da protagonista – nel 2008, quando Renzi e Civati erano ancora troppo ignoti, si parlò di lui e Zingaretti per un’estate di ipotesi sul rinnovamento del PD – e di lunghi periodi di silenzio.
L’esperienza di ultimo segretario dei giovani del PCI fu importante, perché Cuperlo fu costretto a prendere decisioni delicate e dirompenti a cui non era incline: e in questo periodo costruì un rapporto di grande complicità con Massimo D’Alema. Nel 1990 fu lui a chiudere la FGCI e fu lui che materialmente staccò la targa da via dell’Ara Coeli (l’entrata laterale della sede del PCI). Se la portò a casa e la tenne come un cimelio. Poi nell’aprile del 2009 la mise in una teca e la portò come regalo alla festa per i 60 anni di D’Alema alla Casa del Jazz di Roma.
Dopo ebbe un ufficio a via delle Botteghe Oscure per occuparsi di propaganda ma con Veltroni legò poco, nonostante molti interessi comuni. Aiutò invece D’Alema nella competizione per la segreteria del luglio del 1994, nelle prime “quasi primarie” della politica italiana: i militanti volevano Veltroni ma il comitato centrale scelse D’Alema grazie soprattutto al lavoro di Claudio Velardi, Giovanni Santilli e Marco Minniti. Con loro nacque la nuova idea di uno staff del segretario indipendente dagli organi dirigenti del partito. Velardi ne diventò la guida e Cuperlo lo sceneggiatore. Studiava, arrotondava pensieri, documentava, scriveva decine di discorsi che D’Alema non usava quasi mai ma che apprezzava molto. «Il testo scritto è come la mia coperta di Linus, non mi serve, ma devo sapere che c’è», diceva.
Cuperlo guadagnò allora la sua principale fama, quella di “ghost writer di D’Alema”. In quel periodo esce il libro “Un Paese Normale” (edito da Mondadori), sintesi del pensiero dalemiano e manifesto di quella fase politica della sinistra di governo. Ma Cuperlo non fu mai un “ideologo” di D’Alema – che non ne aveva bisogno né inclinazione ad averlo – quanto più un arricchitore culturale e di idee del discorso e del pensiero di D’Alema: essendo Cuperlo stesso più un dalemiano biografico che un comunista ideologico (anche se oggi la parte identitaria di quel periodo la rivendica molto, in contrapposizione alle sovversioni rinnovatrici di questi tempi).
Data la limitata propensione di Cuperlo a lavorare in gruppo e nello staff, nacquero attriti con Velardi e Fabrizio Rondolino, altro collaboratore di D’Alema, che con l’andare del tempo divennero più espliciti. Ma lavorare con D’Alema in quegli anni era come stare “sul palco d’onore della Scala della politica italiana”, disse poi Cuperlo. Nel dicembre del 1996 organizzò una serata al teatro Olimpico in cui Morricone eseguì il nuovo inno del PdS inaugurando il congresso dell’Eur (quello che rimase famoso per lo scontro tra D’Alema e Cofferati), e Vittorio Gassman declamò Gramsci. Nessuno sentì poi più parlare di quell’inno ma l’operazione mediatica funzionò. Come fece molto discutere lo slogan di Cuperlo che campeggiava all’Eur: “Il futuro entra in noi molto prima che accada”, citazione del poeta boemo Rainer Maria Rilke. Nella campagna elettorale del 1996 fu Cuperlo ad avere l’idea di usare “La Canzone Popolare” di Ivano Fossati come inno dell’Ulivo, che vinse con Romano Prodi.
Nel febbraio del 1997 Cuperlo andò a fare il segretario del presidente della commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali e contribuì intensamente alla definizione del testo condiviso che fu celebrato da D’Alema e Berlusconi in una puntata di Porta a Porta il primo luglio del 1997. Fu il punto più alto del “dalemismo realizzato”, ma già a settembre Berlusconi fece saltare tutto. L’anno successivo cadde il governo Prodi e un discusso traffico di accordi portò D’Alema alla guida del governo: Cuperlo scelse di presidiare il partito in un ufficio al sesto piano di Botteghe Oscure, per cercare di resistere – invano – alla “dedalemizzazione” operata dal nuovo segretario, Walter Veltroni.
Alla fine del 1999 Cuperlo andò a occuparsi di comunicazione nel secondo governo D’Alema, lavorando con Mauro Masi al Dipartimento Economia e Informazione della Presidenza del Consiglio. Ma con la rapida fine di quel governo si trasferì alla Fondazione ItalianiEuropei, creata da D’Alema, con Nicola Latorre e Andrea Romano.
Tornò al partito nel 2001 entrando stavolta in segreteria come responsabile della comunicazione, ma anche con Piero Fassino segretario il rapporto non fu facile. Troppo diversi caratterialmente, troppo lontani culturalmente: Fassino condivise solo la proposta della colonna sonora degli appuntamenti del partito: “Il Cielo è Sempre Più Blu” di Rino Gaetano, ma subì malvolentieri il contratto con l’agenzia di comunicazione Proforma e non apprezzò la campagna “Domani è un altro giorno”.
Nel 2006 Cuperlo si candidò alla Camera e arrivò primo dei non eletti, ma subentrò a Milos Budin dopo la sua nomina a sottosegretario nel governo Prodi (nel frattempo aveva aperto, tra i primi dei politici, un suo blog, oggi abbandonato in favore del sito della sua campagna). Fu confermato anche nel 2008: con la sua fama di studioso fu assegnato alle più diverse commissioni per scrivere programmi e progetti. Si è occupato intensamente di temi etici, ha lavorato con Barbara Pollastrini al ministero delle Pari Opportunità e poi alle attività del PD per i 150 anni dell’Unità d’Italia: ma in aula non è intervenuto più di tre volte in sette anni, e quando non lo guardava quasi nessuno. Dopo aver appoggiato Bersani sia alle primarie contro Franceschini che a quelle contro Renzi, è stato inserito nel “listino bloccato” per le candidature del PD nel 2013 ed eletto di nuovo alla Camera dei Deputati. Ancora in quel momento – con tutta probabilità – non pensava minimamente di rischiare di essere candidato alla segreteria del suo partito.